Anselm Kiefer a Palazzo Strozzi ci mette al centro del suo universo mentale


Recensione della mostra “Anselm Kiefer. Angeli caduti”, a cura di Arturo Galansino (a Firenze, Palazzo Strozzi, dal 22 marzo al 21 luglio 2024).

Da qualche tempo a questa parte Firenze si sta impegnando a ridisegnare la propria identità artistica aprendosi al contemporaneo, inclusione non facile in una città il cui immaginario è universalmente legato alle meraviglie storiche di cui è depositaria. Esemplare a questo riguardo è la scelta di ospitare periodicamente in Piazza della Signoria, non senza polemiche, sculture monumentali di Jeff Koons (2015), Urs Fischer (2017), Jan Fabre (2016) e Francesco Vezzoli (2021), invitati a misurarsi con uno degli scenari più complessi e ambiti per gli artisti di tutto il mondo. Sembra convergere in quest’ottica anche la più recente programmazione espositiva della Fondazione Palazzo Strozzi, che sta progressivamente intensificando nel suo palinsesto la presenza di grandi nomi internazionali, come Ai Weiwei (23 settembre 2016 - 22 gennaio 2017), Bill Viola (10 marzo 2017 - 23 luglio 2017), Marina Abramovi? (21 settembre 2018 - 20 gennaio 2019), Tomás Saraceno (22 febbraio 2020 - 01 novembre 2020), Jeff Koons (2 ottobre 2021 - 30 gennaio 2022), Olafur Eliasson (22 settembre 2022 - 22 gennaio 2023), Yan Pei-Ming (07 luglio 2023 - 03 settembre 2023) e Anish Kapoor (07 ottobre 2023 - 04 febbraio 2024). A completare quello che pare si stia consolidando come un format distintivo dell’istituzione, la presenza di interventi site-specific in scala ambientale realizzati dai protagonisti delle mostre all’interno del cortile storico, la cui fruizione è offerta allo sguardo della cittadinanza e del popolo dei turisti indipendentemente dall’acquisto del biglietto necessario per accedere ai piani superiori. Competere con l’attrattività dei massimi esponenti dell’arte medievale e rinascimentale proponendo grandi maestri del contemporaneo amati anche dal grande pubblico internazionale: questo sembra essere l’attuale orientamento di Fondazione Palazzo Strozzi per contribuire all’auspicata “rinascita” contemporanea di Firenze. Che sia un indirizzo duraturo o una fase di passaggio propedeutica a un futuro aprirsi al sostegno della ricerca artistica, si tratta senz’altro di un’operazione frontale e non esente da contraddizioni. Le tensioni più evidenti appaiono legate sia alla valorizzazione delle specificità del palazzo storico, raffinato gioiello architettonico quattrocentesco con il quale ogni volta si invoca il dialogo, sia più in generale all’idea di rispondere all’eccellenza creativa stratificatasi nei secoli in città con la temporanea importazione di articolati congegni di meraviglia sempre a rischio di risultare concettualmente preconfezionati. Si inserisce in questo contesto anche la nuova eclatante mostra in corso: Anselm Kiefer. Angeli caduti, dedicata ad Anselm Kiefer, l’artista contemporaneo vivente che forse più di ogni altro ha legato la sua espressività a un’interpretazione monumentale dello spazio incline a risucchiare ogni preesistenza strutturale nel proprio travolgente universo estetico. E forse proprio per questo, vedremo, si tratta di una delle mostre più riuscite anche dal punto di vista della simbiosi tra le opere e la loro ambientazione.

Il percorso espositivo, dunque, come ci attendiamo (e le mostre precedenti, in particolare quella di Anish Kapoor e Reaching for the Stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye, ci hanno abituati bene!), si apre nel cortile con Engelssturz (Caduta dell’angelo), 2022-2023. Il soggetto di questo dipinto, alto oltre sette metri, è la cacciata degli angeli ribelli dal Paradiso per mano dell’arcangelo Michele, episodio dell’Apocalisse solitamente associato alla lotta tra Bene e Male. L’opera, dal cui titolo deriva quello di tutta la mostra, è per molti aspetti paradigmatica della poetica dell’artista tedesco, la cui portata simbolica ed espressiva è indelebilmente inscritta nella materia e nelle sue trasformazioni alchemiche. Anzitutto le dimensioni colossali, associate a una solidità strutturale (potremmo dire ontologica) che predispone i suoi lavori a essere esposti alle intemperie atmosferiche senza soffrire nella sostanza, pur restando disponibili ad accogliere i cambiamenti morfologici e cromatici da essi eventualmente provocati. Poi quella peculiare stratificazione di materiali che, a partire dagli anni Novanta, ha espanso il suo concetto di pittura con l’inclusione di terra, piante essiccate, cenere, paglia e altri oggetti i cui reciproci assestamenti e conflitti trasformano ogni lavoro in una titanica epopea della materia. Tali inserimenti manifestano l’attitudine di Anselm Kiefer a rielaborare i rifiuti del mondo attraverso un incessante processo di costruzione, demolizione e ricostruzione in cui anche la storia, nello specifico quella tedesca all’indomani della seconda guerra mondiale, diventa un materiale plasmabile. Allo stesso tempo, il significato attribuito a ciascuno di tali elementi è da interpretare più come un’allusione ai molteplici interessi filosofici, letterari e scientifici dell’artista, sempre più culturalmente onnivoro, piuttosto che come componenti di un preciso dispositivo simbolico calibrato sulla singola opera.

Allestimenti della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti
Allestimenti della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti
Allestimenti della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti
Allestimenti della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti
Allestimenti della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti
Allestimenti della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti
Allestimenti della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti
Allestimenti della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti
Allestimenti della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti
Allestimenti della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti
Allestimenti della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti
Allestimenti della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti
Allestimenti della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti
Allestimenti della mostra Anselm Kiefer. Angeli caduti

La domanda di fondo sottesa a tutta la sua produzione è, infatti, sempre la stessa, ovvero il significato ultimo del nostro essere al mondo. Tale ricerca, suscitata all’inizio della sua carriera dalla volontà di immergersi nell’orrore dell’allora recente storia tedesca rompendo ogni paralizzante reticenza, nel corso del tempo si è orientata con decisione verso la categoria hegeliana della totalità. Un’aspirazione universalistica di questa portata e l’inesauribilità dell’interrogativo da cui è sostenuta non sono certo alla portata di tutti e la grandezza di Anselm Kiefer sta proprio in questo, nel sapersi confrontare con l’incommensurabile e con l’indicibile senza uscirne sconfitto, anzi traendo sempre nuova linfa dalla medesima impossibilità. Se da un lato, dunque, guardare uno dei suoi smisurati dipinti è come vederli tutti, dal punto di vista della folgorante intuizione della domanda esistenziale che al loro cospetto ci travolge quasi quanto l’impatto estetico, dall’altro ogni opera in sé appare come un brulicante frammento di infinito, pronto a rigenerarsi a ogni nostro nuovo sguardo.

E ancora, infine, la costante presenza della parola scritta, con quella calligrafia in corsivo, ormai resa iconica dalla sua fama, che richiama gli esercizi degli scolari sulle pagine di quaderno con le righe che contengono le lettere. La familiarità con la scrittura, nata dall’abitudine mai abbandonata dagli anni giovanili di annotare la sua vita in un diario, è naturalmente confluita nella sua pratica artistica, assieme alla fascinazione per i libri, considerati sia come fonte di sapere sia come oggetti in sé significanti. In Engelssturz il titolo dell’opera appare dunque tracciato in alto a sinistra, mentre la parola che identifica il personaggio principale è scritta a destra nell’alfabeto ebraico, a testimonianza di quanto il sincretismo culturale che alimenta la sua poetica sia capillare e profondo.

Accediamo dunque al piano nobile per visitare la mostra, che ha il merito di scandire in un percorso non didascalico ma esaustivo (per quanto sia possibile con un’artista così instancabile e fecondo nella sua produttività) i principali ambiti su cui si impernia la sua ricerca. Nella prima sala campeggia Luzifer (2012-2023), proseguimento ideale del dipinto di apertura in cui vediamo il precipitare di Lucifero negli inferi di una materia accidentata e sofferente in cui gli angeli che l’hanno preceduto sono allusi da tuniche vuote in parziale decomposizione. Il cielo non è più l’incorruttibile fondo oro di Engelssturz, ma un malato verde-blu ossidato ottenuto sottoponendo i materiali a procedimenti di elettrolisi. In questa lotta tra Bene e Male, filosoficamente riconducibile alla dualità tra l’essenza spirituale dell’anima e la sua incarnazione nella materia, non sembrano esserci vincitori e vinti, ma una fatale e ciclica interdipendenza. In Dialettica negativa (1966) Theodor Adorno, autore di riferimento per l’artista, dichiara: “Dopo Auschwitz, nessuna poesia, nessuna forma d’arte, nessuna affermazione creatrice è più possibile”. Se l’ala dell’arcangelo Michele qui è una vera ala d’aereo appuntita e ammaccata che si protende nello spazio antistante, reperto bellico insegna di distruzione e morte, la risposta dell’artista all’impossibilità stigmatizzata dal filosofo di Francoforte sta nel delicato compromesso tra caos e ordine di cui ogni suo lavoro è una provvisoria manifestazione. Non quindi la bellezza come sublimazione risolutiva, ma la vertigine di molteplici possibilità sempre in atto in una scala spazio-temporale che travalica i confini dell’umano e il quotidiano impegno dell’artista a coglierne e a rielaborarne le connessioni senza mai assurgersi a demiurgo regolatore di un artificiale assetto definitivo.

Si accede poi a un’altra stanza mozzafiato, dedicata all’imperatore romano Eliogabalo, personaggio fondante della cosmogonia artistica di Kiefer fin dagli anni Settanta. Di origini siriane, Eliogabalo era, per diritto ereditario, l’alto sacerdote del dio sole (El-Gabal) e, quando venne acclamato imperatore dalle truppe orientali in opposizione a Macrino, tentò di sostituire a Giove, signore del pantheon romano, la nuova divinità del Sol Invictus, che aveva gli stessi attributi del dio solare di Emesa, sua città d’origine. Si fronteggiano qui due dipinti a tutta parete interamente rivestiti di foglia oro, su ciascuno dei quali campeggiano enormi girasoli, inframmezzati da una tela verticale bianca in cui un altrettanto monumentale girasole riversa a pioggia i suoi semi (veri) su un uomo disteso a terra. Questi fiori, potenti simboli di morte e rinascita a lui cari per la connessione con le feste pagane di celebrazione della vittoria della luce sulle tenebre e per l’assimilazione dei loro semi alle costellazioni del cosmo, sono onnipresenti nella sua poetica. Affascinato fin da giovane dal loro aspetto decadente al momento della piena fioritura, che li rende un simbolo della condizione esistenziale umana, l’artista ha piantato nelle serre del suo studio-residenza a Barjac, in Francia, una particolare varietà giapponese che produce fiori sovradimensionati, spesso inseriti nei suoi dipinti e nelle installazioni scultoree.

Anselm Kiefer, Engelssturz (Caduta dell‘angelo) (2022-2023; emulsione, olio, acrilico, gommalacca, foglia d’oro, tessuto, sedimento di elettrolisi e carboncino su tela, 750 × 840 cm)
Anselm Kiefer, Engelssturz (Caduta dell‘angelo) (2022-2023; emulsione, olio, acrilico, gommalacca, foglia d’oro, tessuto, sedimento di elettrolisi e carboncino su tela, 750 × 840 cm)
Anselm Kiefer, Luzifer (Lucifero) (2012-2023; emulsione, olio, acrilico, gommalacca, foglia d’oro, sedimento di elettrolisi, tessuto e stampa fotografica su tela su carta, 330 × 760 cm)
Anselm Kiefer, Luzifer (Lucifero) (2012-2023; emulsione, olio, acrilico, gommalacca, foglia d’oro, sedimento di elettrolisi, tessuto e stampa fotografica su tela su carta, 330 × 760 cm)
Anselm Kiefer, Für Antonin Artaud: Helagabale (Per Antonin Artaud: Eliogabalo) (2023; emulsione, olio, acrilico, gommalacca, foglia d’oro, sedimento di elettrolisi, gesso, terracotta e fili di acciaio su tela, 380 × 570 cm)
Anselm Kiefer, Für Antonin Artaud: Helagabale (Per Antonin Artaud: Eliogabalo) (2023; emulsione, olio, acrilico, gommalacca, foglia d’oro, sedimento di elettrolisi, gesso, terracotta e fili di acciaio su tela, 380 × 570 cm)
Anselm Kiefer, Sol Invictus (Sole invitto) (1995; emulsione, acrilico, gommalacca e semi di girasole su tela di iuta, 473 × 280 cm)
Anselm Kiefer, Sol Invictus (Sole invitto) (1995; emulsione, acrilico, gommalacca e semi di girasole su tela di iuta, 473 × 280 cm)
Anselm Kiefer, La Scuola di Atene (2022; emulsione, olio, acrilico, gommalacca, foglia d’oro, sedimento di elettrolisi, tessuto e collage di tela su tela, 470 × 840 cm)
Anselm Kiefer, La Scuola di Atene (2022; emulsione, olio, acrilico, gommalacca, foglia d’oro, sedimento di elettrolisi, tessuto e collage di tela su tela, 470 × 840 cm)
Anselm Kiefer, Vestrahlte Bilder (Dipinti irradiati) (1983-2023; 60 dipinti e specchi, 600 × 1482 × 673 cm)
Anselm Kiefer, Vestrahlte Bilder (Dipinti irradiati) (1983-2023; 60 dipinti e specchi, 600 × 1482 × 673 cm)

Attraversiamo poi un’imponente sala dedicata alla filosofia, in cui tre grandi tele recano incisi e modellati nella materia pittorica i volti dei suoi massimi esponenti provenienti da una pluralità di culture all’interno di solenni architetture e un’altra sala incentrata sulle sculture sotto teca (che non possono fare a meno di richiamare alla mente le grandi vetrine del campo di concentramento di Auschwitz dove oggi si conservano, catalogati per tipologia, gli effetti personali degli ebrei deportati) in dialogo con altri dipinti più incentrati sul suo interesse per il valore semantico e scenografico dell’architettura. Si giunge poi all’installazione ambientale Vestrahlte Bilder (1983-2023), composta da sessanta dipinti realizzati negli ultimi quarant’anni, scoloriti da radiazioni e collocati in modo da occupare interamente le pareti e il soffitto riverberandosi in una superficie specchiante posta a terra. L’allestimento è emblematico della capacità dell’artista di modellare lo spazio con la sua immaginazione, che qui assume la forma di un continuum pittorico sincronico in cui nuovi segni e colate di colore collegano tra loro opere afferenti a fasi creative diverse. Si potrebbe trascorrere un tempo incalcolabile nel tentativo di comprendere visivamente l’insieme o di analizzare ciascun dipinto nella sua singolarità, ma la soverchiante supremazia della pittura trasforma quest’esperienza in un salto nell’infinito a cui si accede solo abbandonandosi a un disorientamento che assomiglia molto a un atto di fede.

Si raggiunge qui il culmine di una sensazione che serpeggia in tutta la visita, ovvero l’annullamento di ogni confine spaziale e categoriale che ci mette al centro di un universo mentale di cui percepiamo la stringente coerenza, seppur sia retto da regole che eccedono il nostro orizzonte razionale. È da questo punto di vista, infine, che all’inizio abbiamo parlato di riuscita simbiosi tra le opere e il palazzo storico che le ospita, non più citato, eluso o forzato al dialogo, ma riscritto con una logica altrettanto totalizzante quanto quella con cui in origine era stato concepito.


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