“Vita da artista” di Jacopo Veneziani, un esperimento da continuare


Finalmente un nuovo programma di divulgazione storico-artistica in tv: è “Vita da artista” di Jacopo Veneziani. Un esperimento con qualche limite e qualche forzatura, ma è interessante e ha molto potenziale. L’opinione di Federico Giannini.

S’avvertiva da più di dieci anni la mancanza d’un format agile dedicato all’arte sulle reti generaliste della televisione pubblica. S’avvertiva almeno dalla chiusura di Passepartout, il programma di Philippe Daverio andato avanti per una decina di stagioni e poi interrotto, più o meno bruscamente, forse in uno dei periodi di massimo successo, in mezzo alle proteste di buona parte del pubblico che ne chiedeva a gran voce il ripristino. Son passati quasi quindici anni e da Passepartout in avanti la Rai non ha più riproposto niente di paragonabile, costringendo gli appassionati d’arte a scandagliare l’offerta di Rai5 e soprattutto lasciando sguarnito il pubblico in cerca d’un qualcosa di più immediato, di più potabile. D’un programma entry level, si potrebbe dire mutuando un’espressione dal gergo del marketing.

Per certi versi, si potrebbe dire che il testimone di Daverio è stato raccolto da Jacopo Veneziani: il suo Vita da artista che Rai3 ha da pochi giorni finito di trasmettere (dieci puntate in cui il giovane storico dell’arte ci ha fatto conoscere altrettante case-museo di artisti e letterati) è la cosa più vicina al programma di Daverio che il servizio pubblico ci abbia proposto in tutti questi anni. Per diverse ragioni: la durata simile (Passepartout andava avanti per mezz’ora, Vita da artista venti-venticinque minuti), il target (un pubblico ampio e non necessariamente esperto o appassionato), un conduttore che viene dal mondo dell’arte e quindi non un divulgatore prestato da altri ambiti, la collocazione (“ore pasti”, si sarebbe detto nel linguaggio degli annunci di una volta: Passepartout la domenica verso ora di pranzo, Vita d’artista in orario di cena, evidentemente alla Rai pensano che l’arte favorisca la produzione di succhi gastrici, ma va bene così: l’access prime time garantito a Veneziani di solito vien riservato a quei programmi che tutti guardano, per intenzione o per caso). E poi, la presenza del conduttore nei luoghi di cui si parla, esperimento insolito per Veneziani, dal momento che eravamo abituati a seguirlo in tivvù seduto su di una sedia a parlare di un’opera riprodotta su schermo, sebbene non inedito: lo avevamo visto aprire porte e percorrere passaggi segreti su La7, e poi, mi si consenta una nota lievemente narcisistica, la nostra testata si fregia d’esser stata la prima ad aver pensato a un format in situ per Jacopo Veneziani (nella fattispecie, con la serie Pillole di Perugino di Finestre sull’Arte). Resta il fatto che, tolta l’eccezione della nostra serie la quale, superfluo dirlo, non è minimamente paragonabile a Vita da artista, Veneziani non aveva mai avuto un programma tutto per sé, e di conseguenza la Rai s’è giocata un’interessante scommessa. Buoni, intanto, gli ascolti: le dieci puntate di Vita da artista si sono attestate attorno al 5% di share, sfiorando il milione di telespettatori. E per il resto? Veneziani è in grado di reggere un programma da solo? Vita da artista può esser ritenuto l’erede di Passepartout? È un esperimento da ripetere? È questa la divulgazione storico-artistica che ci s’aspetta dalle reti generaliste del servizio pubblico?

Riguardo al presentatore, ci sentiamo di dire che, sì, Veneziani era maturo, e probabilmente già da tempo, per un format tutto suo, e quello che la Rai gli ha cucito attorno è probabilmente l’ideale per lui, come Passepartout era l’ideale per Daverio: un programma fresco, di breve durata, che non appesantisce, in cui il presentatore conduce il telespettatore direttamente dentro ai luoghi della cultura. Di sicuro, a Veneziani s’attaglia più un programma suo rispetto agl’interventi spot che finora hanno costituito la sua tipica cifra televisiva. Forse però c’è ancora da migliorare: le varie gag disseminate per tutte le puntate (Veneziani che saluta il pubblico facendo cadere gli occhiali per terra, Veneziani che combutta con noi che guardiamo per rubare un bozzetto di Michelangelo da Casa Buonarroti, Veneziani che apre una porta e ci trova dietro un operatore e via dicendo) appaiono quasi sempre gratuite e soprattutto forzate. Cringe, direbbe qualcuno. La produzione evidentemente ha voluto far leva anche sull’aspetto più squisitamente piacione del personaggio, quando sarebbe stato forse sufficiente assecondare il carattere composto e ironico del conduttore piuttosto che calcare su forzature eccessive: un cambio di tono evidente, vistoso rispetto a quanto Veneziani aveva fatto non solo nelle Pillole del Perugino che erano pensate per un pubblico d’appassionati, che dunque non devono esser conquistati con le gag (e non avrebbero gradito), ma anche nei programmi televisivi in cui era presenza abituale. Limati questi eccessi, s’ottiene un conduttore pacato, elegante, garbato, ideale per questo tipo di programma.

Jacopo Veneziani in “Vita da artista”
Jacopo Veneziani in “Vita da artista”
Jacopo Veneziani in “Vita da artista”
Jacopo Veneziani in “Vita da artista”
Jacopo Veneziani in “Vita da artista”
Jacopo Veneziani in “Vita da artista”

Molte naturalmente sono le differenze che dividono Passepartout da Vita da artista. Al di là dei contenuti, è evidente che Vita da artista sia stato immaginato come un prodotto più pop, più giovane, più fresco, più liquido rispetto a Passepartout, ma non è detto che sia la scelta migliore, dal momento che, per ottenere quest’apparente freschezza (“apparente” perché spesso imbrigliata: per esempio, nelle divagazioni sulle opere non conservate nei luoghi che Veneziani visita), s’è reso necessario un livellamento dei contenuti che, soprattutto nelle puntate dedicate ai letterati, non sono andati molto oltre l’aneddotica (nella puntata su Carducci, per dire, non s’è sentito leggere manco un verso del poeta, e s’è invece insistito parecchio sulle sue liaison e su aspetti marginali della sua biografia: era davvero necessario?). Certe puntate ci sono parse poi penalizzate da diverse divagazioni totalmente gratuite: ancora nella puntata su Carducci, per esempio, un rapido excursus sugli orsi nella storia dell’arte, in cui Veneziani ha indugiato semplicemente perché il poeta in casa sua aveva un souvenir a forma d’orsacchiotto. Molto meglio le puntate sugli artisti, che non sono mai scese in profondità ma almeno hanno offerto qualche coordinata per comprenderli (quattro quelli visitati da Veneziani: Canova, Pellizza da Volpedo, Michelangelo e De Chirico), sempre con un minimo inquadramento del contesto (su De Chirico, per esempio, una qualche nozione su cosa fosse la pittura metafisica) e con qualche breve affondo sulle opere.

Sarà rimasto deluso chi s’aspettava, magari, un programma in stile Rai5. E in effetti Vita da artista non è paragonabile all’offerta di Rai5, e i contenuti a oggi non sembrano neppure confrontabili con Passepartout che riusciva a rimanere leggero ma al contempo anche a scavare sotto la superficie. Vita da artista è un programma intenzionalmente leggero e poco incline all’approfondimento, ma gli aspetti da valutare in maniera positiva sono diversi. Per prima cosa, Veneziani ha portato in una fascia oraria critica dieci musei poco conosciuti, dieci personalità non così scontate, dieci siti interessanti: non è poco, specialmente se si pensa che la divulgazione storico-artistica sulla Rai s’era ormai fossilizzata su Alberto Angela e sui soliti argomenti (Pompei, Roma, Van Gogh e via dicendo). Non è banale far sapere a un pubblico di non esperti, di non addetti ai lavori, di non appassionati che l’Italia è disseminata di case-museo che in larga parte si sono conservate come i loro antichi abitanti le hanno lasciate, e dov’è davvero possibile comprendere molto di quelle personalità.

Poi, occorre considerare che questo è oggi il livello della scrittura televisiva pensata per il grande pubblico: le produzioni evitano accuratamente di rischiare, Veneziani, pur dotato delle potenzialità di fare un lavoro approfondito (o anche semplicemente un lavoro à la Daverio) probabilmente non può scostarsi più di tanto da quello che le produzioni ammanniscono per il suo personaggio. Infine, si tratta d’un format che, con qualche miglioramento (riduzione delle forzature, un po’ più di spazio per l’arte e la letteratura e meno per il biografismo, l’assunzione di qualche rischio per cercare d’approfondire un poco, anche a costo di tagliare lo spazio d’alcuni ospiti che forse non erano così essenziali, si veda Vezzoli nella puntata su Canova) potrebbe davvero segnare un momento interessante nella storia della divulgazione storico-artistica in televisione. Al momento Vita da artista sembra essere un prodotto nella primissima stagione della sua vita, aperto a grosse potenzialità di crescita e sviluppo: l’esperimento, pertanto, è da continuare.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Al suo attivo anche docenze in materia di giornalismo culturale (presso Università di Genova e Ordine dei Giornalisti), inoltre partecipa regolarmente come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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