Da luglio 2024 la biblioteca della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, definita dalla stessa galleria “luogo imprescindibile per chi desidera ricercare e studiare il lavoro creativo degli artisti”, è chiusa al pubblico per “urgenti e improcrastinabili lavori di adeguamento impiantistico e normativo”. Stessa sorte per gli archivi della Gnam, “1500 metri lineari di documenti conservati in appena 400 mq”, come si legge sempre nel sito della Galleria. Si tratta di 58 fondi, spesso imprescindibili per chi si occupa di determinati argomenti, per lavoro o per interesse personale. Questi lavori urgenti, però, non sono ancora partiti. Non solo: a quanto risulta, non esiste neppure un progetto esecutivo o un cronoprogramma e, quel che è peggio, come denunciato dal sindacato Fp Cgil a febbraio, il personale che si occupava di biblioteca e archivio è stato spostato altrove. Non era mai successo, dalla seconda guerra mondiale, che la biblioteca rimanesse chiusa così a lungo. Parzialmente diverso il discorso sull’archivio, che ha avuto un grosso sviluppo negli ultimi anni di direzione di Cristiana Collu (2016-2022) diventando quindi più centrale di prima per la disciplina. Sono mesi di tesi e conferenze modificate, ricerche procrastinate, caos e difficoltà per studenti e non, come ha già avuto modo di denunciare la Consulta Universitaria per la storia dell’arte. Cosa stia succedendo, e come sia potuto succedere, lo abbiamo chiesto a Claudia Palma, oggi in pensione, per 42 anni alla Gnam, fino al 2022, per vent’anni direttrice dell’archivio della Galleria nazionale. “Ogni nuovo direttore ha voluto lasciare il segno nella Galleria. Però questo è troppo”, racconta.
LB. In che modo lasciare il segno?
CP. Vede, da quel che ho visto io in decenni, chi arriva sente il bisogno di far dimenticare quello che ha fatto il direttore precedente. Sempre. Gli archivi erano stati una cifra importante della direzione Collu, aveva voluto implementarli: di 58 fondi archivistici in Galleria, 49 sono arrivati sotto Collu, quasi tutti donati. È stato fatto un lavoro di divulgazione, di studio, che mi sembra sia riconosciuto da tutti, anche da chi aveva criticato l’ex direttrice per altri motivi.
Mazzantini, la nuova direttrice, ha insomma cercato di far dimenticare gli archivi?
Purtroppo però non si è limitata a questo. Prima ha provato a restituirli. Ha iniziato con quelli in comodato gratuito, come l’archivio di Carla Lonzi, ma anche di Anton Giulio Bragaglia, il regista e gallerista che ha avuto un ruolo cruciale nel Futurismo. Però le è andata male, metà di quello di Bragaglia è donato, e non si può dividere un fondo. Quello di Lonzi invece è stato ritirato (oggi è alla fondazione Basso, ndr), gli eredi non avevano interesse a tenerlo in un luogo in cui non fosse valorizzato. Ma con quelli donati, beh, non si può fare nulla.
Ha provato a restituire anche gli archivi donati?
Sì, ha chiesto un parere all’Avvocatura dello Stato, ma lo Stato non può andare contro sé stesso, sono contratti blindati.
Torniamo un momento a luglio 2024: gli archivi e la biblioteca chiudono.
Sì, e da allora non hanno ancora riaperto, e non ci sono lavori in corso. Si parlava della presenza di radon, ma l’ufficio del restauro, che è nello stesso piano, negli stessi ambienti, è aperto. E chi lavorava nelle biblioteche e negli archivi è stato spostato.
Non ci sono state però grandi proteste.
Non direi così. C’è stata la lettera della Cunsta, quella dei sindacati, una petizione su change.org che ha superato le 2mila firme. Si sono dimessi tre membri del comitato scientifico. Ma si trovano davanti un muro di gomma. Il problema è molto sentito, ci sono docenti universitari o tecnici che stanno facendo di tutto per far arrivare i documenti lì conservati a coloro che ne hanno bisogno, per tesi o convegni. Ma solo per vie informali, gli uffici non esistono più, è incredibile. E poi si sono organizzati anche i donatori...
I donatori?
Più di un mese fa, più di 35 di loro hanno mandato una lettera con un avvocato. Nei loro contratti di donazione c’è scritto che la pubblica fruizione deve essere garantita, ma anche che gli ex proprietari devono poter accedere al fondo, deve essere valorizzato, e non sta accadendo.
Lei si sente una certa responsabilità, su queste donazioni.
Io ho messo la faccia su tutti i contratti. Ho convinto queste persone che la Galleria nazionale fosse il luogo migliore dove conservare i loro archivi. Persone che ci hanno messo il cuore quando hanno donato.
Non sono famiglie ricche che devono in qualche modo liberarsi casa?
Ma no. Ci sono gallerie, artisti e critici che hanno donato le cose più preziose che avevano, famiglie che hanno donato i ricordi dei mariti, dei padri o delle madri. È avvilente pensarla così, oserei dire anche offensivo. I beni dello Stato sono beni dello Stato.
La direttrice Mazzantini si è chiesta “cosa c’entra un archivio in un museo”? La Gnam non è il “pronto soccorso” di ogni tipologia di beni culturali"
Guardi, basterebbe leggere la definizione di museo di Icom per sapere che la faccenda è ben più complessa di così. La biblioteca e l’archivio sono un’idea di Palma Bucarelli, esistono dagli anni Quaranta, ma in nuce anche prima. Ci sono lettere di Fattori, di Corcos... Gli spazi, nella forma attuale, con progetto di Costantino Dardi, esistono dal 1998. Ben prima dell’espansione dell’archivio sotto la direzione Collu. Sono la base scientifica delle cose che noi conserviamo.
Riapriranno?
Io mi auguro di sì, mi auguro che qualcuno ne parli e intervenga. Si tratta di difendere la dignità dello Stato, prima ancora che di permettere la ricerca storico artistica. Lasciando perdere eventuali danni economici, che non spetta a me calcolare. Sono pezzi di cuore. Non riesco più ad andare in Galleria, tanto è il dolore per il lavoro vanificato.
L'autore di questo articolo: Leonardo Bison
Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.