“Fare arte è una disposizione che coinvolge ogni aspetto della vita”. Conversazione con Cesare Biratoni


Artista che contamina pittura, collage e fotografia, Cesare Biratoni attinge a varie fonti e a diversi temi tradizionali della storia dell’arte con cui l’artista racconta una realtà fatta spesso di incontri casuali.

Cesare Biratoni, nato a Barcellona (Spagna) nel 1969, risiede e lavora a Busto Arsizio. Nel suo lavoro, non c’è distinzione tra collage e pittura, né tra disegno e fotografia manipolata e ricomposta. Biratoni si distingue per le sue opere pittoriche colme di tensioni e che fanno uso di diversi materiali, in un’ottica di lavoro volta alla sedimentazione e alla ripetizione quotidiana dello sguardo sulla superficie dell’opera. Secondo Biratoni, il concetto di “opera” sembra essere legato alla possibilità del dipinto di essere osservato da altri, sguardi che non comprendono il senso di distruzione operato all’inizio del processo creativo. Per compensare questo sfascio, l’artista utilizza soggetti storici come il pittore e la modella, le bagnanti o il solo pittore, cercando di posarli su superfici il più possibile risolte, piatte e ritagliate, anche se esse sono il risultato non concluso di una serie di collisioni che riecheggiano sotto la superficie del lavoro. In questa conversazione con Gabriele Landi, Biratoni racconta la sua arte.

Cesare Biratoni. Foto: Luca Scarabelli
Cesare Biratoni. Foto: Luca Scarabelli

GL. Cesare, facendo le interviste con gli artisti, ed essendo artista io stesso, mi sono reso conto che se si vuol parlare di un lavoro più approfonditamente è necessario fare una premessa chiedendo all’intervistato di raccontare per esempio se nel corso della sua infanzia ha assistito, in modo inconsapevole, al manifestarsi dei primi “sintomi” di una sua predisposizione all’arte...

CB. Gabriele, mi piace che tu li definisca dei “sintomi”, perché sembra gli attribuisca un’accezione clinica. In effetti è stato un po’ così; da bambino ero attratto dalle immagini. Tenevo fissi gli occhi sulle illustrazioni dei libri e mi sforzavo di capire se dietro ci fosse qualcosa; ci vedevo uno spessore, una vibrazione materica. Erano immagini, forme e colori che mi rimandavano ad altro da loro. Quindi se dovessi decidere quali sono i primi sintomi di questa predisposizione o ossessione, allora ti rispondo che si è trattato di una disposizione alla fissità dello sguardo, al tentativo della vista di restituire vita e corpo alle immagini che mi affascinavano di più.

Quindi l’arte ha per te un potere “magico”?

Non saprei, uso poco questa parola. Se per magico intendi una cosa che si trasforma in qualcos’altro allora credo che in parte si possa dire di sì. Ma forse ripensando a quelle fissità di cui ti parlavo si tratta più di un desiderio.

Di che tipo di desiderio stai parlandoerotico?

Il desiderio di possedere, comprendere e stare sulle immagini. Il bisogno di guardarle, di disegnarci sopra, di copiarle, di capire come sono fatte.

Quali studi hai fatto e quali sono stati gli incontri importanti che hai avuto duranti gli anni della tua formazione?

Ho studiato a Brera con Beppe Devalle, che sicuramente è stato un incontro importante. Nella sua aula si disegnava molto con un approccio più mentale rispetto ad altre scuole di pittura, di riflessione concettuale sul mezzo. In quel periodo in accademia si poteva andare a sentire una lezione di Fabro o frequentare il corso di estetica con Leonetti, iscriversi a pedagogia e poi scoprire che il corso era tenuto da Sanesi che invece leggeva William Blake in inglese. Poi negli anni gli incontri importanti, e di conseguenza gli stimoli, sono stati parecchi; artisti amici, colleghi di scuola, e anche mostre; una tra tutte, l’antologica su Seurat al Gran Palais di Parigi nel 1991.

Che cosa ti colpì del lavoro di Seurat?

Soprattutto i piccoli disegni preparatori realizzati con la matita Conté. Mi piaceva molto il fatto che prima di arrivare a quella composizione di colori accostati con meticolosa leggerezza e pazienza ci fosse quello studio della luce, dei volumi… ma soprattutto il pulviscolo luminoso che avvolge le forme creando una sorta di nebbia tra chi guarda e il soggetto. Mi intrigava poi come alla fine i dipinti, nonostante l’uso del colore, da una certa distanza risultassero come avvolti in un grigiore color madreperla. In qualche modo un ritorno ai piccoli disegni, ma con tutti i colori dentro.

Cesare Biratoni, Natura morta di foto (2020; olio su tela, 20 x 25 cm)
Cesare Biratoni, Natura morta di foto (2020; olio su tela, 20 x 25 cm)
Cesare Biratoni, Natura morta di foto (2020; olio su tavola, 25 x 20 cm)
Cesare Biratoni, Natura morta di foto (2020; olio su tavola, 25 x 20 cm)
Cesare Biratoni, Senza titolo (2021; collage e tecnica mista su carta, 29,7 x 21 cm)
Cesare Biratoni, Senza titolo (2021; collage e tecnica mista su carta, 29,7 x 21 cm)
Cesare Biratoni, Bagnanti (2015; olio su carta, 57 x 38 cm)
Cesare Biratoni, Bagnanti (2015; olio su carta, 57 x 38 cm)
Cesare Biratoni, Nessuno è più stupido di un pittore, 2013, Varese, veduta dell’allestimento, Riss-e
Cesare Biratoni, Nessuno è più stupido di un pittore, 2013, Varese, veduta dell’allestimento, Riss-e
Cesare Biratoni, Nessuno è più stupido di un pittore, 2013, Varese, veduta dell’allestimento, Riss-e
Cesare Biratoni, Nessuno è più stupido di un pittore, 2013, Varese, veduta dell’allestimento, Riss-e
Cesare Biratoni, Senza titolo (2020; olio su tela, 50 x 40 cm)
Cesare Biratoni, Senza titolo (2020; olio su tela, 50 x 40 cm)
Cesare Biratoni, Testa (2020; tecnica mista e collage su carta, 29,7 x 21 cm)
Cesare Biratoni, Testa (2020; tecnica mista e collage su carta, 29,7 x 21 cm)
Cesare Biratoni, Figura (2016; tecnica mista su tela, 25 x 20 cm)
Cesare Biratoni, Figura (2016; tecnica mista su tela, 25 x 20 cm)

È da questo incontro con l’opera di Seurat che nascono i tuoi lavori sui bagnanti?

Credo di sì. È un tema ricorrente nel mio lavoro.

Nel tuo lavoro ricorri spesso alla fotografia che combini con la pittura. Le foto sono fatte da te o le recuperi da altre fonti?

Le mie fonti sono eterogenee; ho cominciato ritagliando le immagini che mi stampavo e che erano servite come soggetto o come parte di un soggetto per dipingere. Poi ho iniziato a fotografare fotografie e anche, in alcuni casi, me stesso. La fascinazione per la fotografia credo si possa evincere dal mio modo di lavorare. Io la considero materiale iconografico, con tutte le implicazioni, il più delle volte involontarie, che si porta dietro… ma anche, in alcuni casi, tavolozza, forma e segno. C’è un punto, o almeno io penso che ci sia, in cui la fotografia smette di essere “solo” fotografia, esattamente come la materia, in un determinato istante, smette di essere “solo” materia e diventa forma, pittura, o altro.

Il materiale che raccogli e che impieghi nei tuoi lavori si accumula si stratifica fino a perdere la sua riconoscibilità e come se lo sotto ponessi ad un processo di lenta trasformazione. Quando lavori sono i vari pezzi che assembli e dipingi a suggerirti la loro collocazione o ubbidiscono ad una tua precisa volontà progettuale?

Entrambe le cose. Ci sono modelli vaghi che ho in mente, che immagino prima… poi nella fase più intensa del lavoro, come credo sappia chiunque si occupi di questo tipo di attività, si accavallano suggerimenti, suggestioni, immagini; è come se nonostante ci sia stato un tentativo di progettare, in quel momento specifico, proprio mentre le cose si stanno formando, si perda quella che sembrava essere una volontà definita, e che, come dici tu, siano le cose a suggerire soluzioni, percorsi e risultati anche molto diversi se non addirittura opposti rispetto alle premesse iniziali.

Quando lavori lasci spazio al caso?

Sono abbastanza sicuro che la preparazione e le condizioni che si costruiscono intorno al lavoro servano anche a favorire una certa casualità. Nel mio caso l’incontro tra cose diverse… carte dipinte, fotografie, stampe o altro, avviene il più delle volte in modo casuale.

Brancusi diceva che la cosa più difficile non è fare le cose ma è mettersi nello stato per poterle fare: per te questo come accade?

Separare il disporsi a fare dal fare stesso mi risulta quasi impossibile. Quando penso alle cose da fare, le immagino, ci ragiono e mi dispongo a produrle, è come se stessi già lavorando. Mi capita di sentirmi molto vicino al lavoro e di immaginare sviluppi straordinari dello stesso nel momento in cui esco dallo studio e cammino verso casa; quello è per me un momento di assoluta libertà svincolata dal bisogno di realizzazione contingente.

Cesare Biratoni, Senza titolo (2022; collage e tecnica mista su tela, 30 x 20 cm)
Cesare Biratoni, Senza titolo (2022; collage e tecnica mista su tela, 30 x 20 cm)
Cesare Biratoni, Collage (2023; tecnica mista e assemblaggio su carta, 138 x 130 cm). Su concessione di Cardelli&Fontana
Cesare Biratoni, Collage (2023; tecnica mista e assemblaggio su carta, 138 x 130 cm). Su concessione di Cardelli&Fontana
Cesare Biratoni, Figure (2015; tecnica mista e olio su tela, 50 x 40 cm)
Cesare Biratoni, Figure (2015; tecnica mista e olio su tela, 50 x 40 cm)
Cesare Biratoni, Senza titolo (2016; collage e tecnica mista su carta, 29,7 x 21 cm)
Cesare Biratoni, Senza titolo (2016; collage e tecnica mista su carta, 29,7 x 21 cm)
Cesare Biratoni, Bagnanti (2017; olio su tela, 50 x 40 cm)
Cesare Biratoni, Bagnanti (2017; olio su tela, 50 x 40 cm)
Cesare Biratoni, Natura morta di foto (2022; olio su tavola, 20 x 25 cm)
Cesare Biratoni, Natura morta di foto (2022; olio su tavola, 20 x 25 cm)
Cesare Biratoni, Senza titolo (2015; olio su tela, 30 x 20 cm)
Cesare Biratoni, Senza titolo (2015; olio su tela, 30 x 20 cm)
Cesare Biratoni, Figure (2018; olio su tavola, 35 x 25 cm)
Cesare Biratoni, Figure (2018; olio su tavola, 35 x 25 cm)

Ti succede di modificare un lavoro anche a distanza di tempo?

Sì, soprattutto con la pittura, perché ci sono cose che stazionano, non risolte, anche per anni nello studio.

L’idea di un lavoro precario, provvisorio, aperto alle possibilità e alle modifiche ti interessa?

Credo ci sia un punto in cui il lavoro si definisce. Ma prima di capire come e quando… sì, il tutto è aperto e modificabile. Ma è anche vero che a un certo punto si deve chiudere il processo. Non vedo la provvisorietà come un valore… la fascinazione per il non risolto. Non riesco ad associare la sostanza di certe materie che utilizzo…per esempio la carta, con un’idea di precarietà. Semmai il problema, sicuramente non da poco, dovrebbe essere quello della conservazione e della durata dell’opera.

È per questo istinto di conservazione che talvolta dipingi su tela simulando con la pittura quello che fai con la carta?

A me non sembra di fare questo; li vedo come due processi completamente diversi. Potrebbero esserci delle somiglianze, ma solo dal punto di vista compositivo. Il problema della conservazione si pone specialmente con la carta; sappiamo quanto poco duri e come si deperisca nel tempo, ma non mi preoccupa più di tanto, ho visto alcuni collage degli anni Settanta e Ottanta in cui lo scotch, per esempio, si è completamente ingiallito e questo ha conferito al lavoro un’aura, una sorta di patina del tempo che mi è piaciuta.

Che importanza attribuisci al disegno nel tuo lavoro?

Ho sempre pensato che disegnare e ritagliare siano due procedimenti molto simili. Inoltre ritengo che anche dipingere abbia a che fare con il disegno. Trovo difficile non pensare al disegno ogni volta che provo a realizzare qualcosa; Degas diceva che il disegno non è la forma, è il modo di vedere la forma.

Anche Matisse aveva un approccio analogo, metteva sullo stesso piano il disegno con il ritaglio che nel suo caso si avvicinava alla scultura. Sei interessato anche tu alla terza dimensione, ad un approccio spaziale?

Mi interessa molto, soprattutto negli ultimi periodi, lo spessore delle cose. Trovo che ci sia una corrispondenza tra composizione, peso e spessore. Ho comunque sempre lasciato che i livelli dei miei collage avessero una certa mobilità, che proiettassero una leggera ombra sul piano…. un po’ come le nature morte di foto che cerco di dipingere da parecchio tempo. Allora forse sì, mi interessa la terza dimensione. Lo spessore delle stratificazioni credo sia anche correlato al tempo; mi piace che si possa “vedere”.

Colgo la palla al balzo per chiederti di entrare più affondo nel merito della questione del tempo che mi sembra uno dei fondamenti del tuo lavoro.

Dipende da cosa intendi per tempo. C’era una questione legata alla memoria... ma sono anni che non do molta importanza a questo tema, che non lo considero nel senso dell’archivio, della raccolta. Mi piace accumulare ritagli, foto, carte, questo sì; ma senza un vero rigore archivistico, e neanche filologico, infatti mescolo foto di famiglia con immagini trovate e carte o fogli colorati, riciclati e altro ancora. Quando dipingo le immagini il mio intento è sempre e solo pittorico. Credo che si capisca dal fatto che tendo molto spesso a cancellare, a passare sopra altri strati di colore sull’immagine: mi sembra che quando la foto, o il soggetto sia troppo ben realizzato, descritto, si perda qualcosa. Più che la dimensione del tempo (nel senso del ricordo), per esempio nelle nature morte di foto, mi intriga la foto in sé. Per citare una bella definizione di Fontcuberta: “... la fotografia, prima che un documento relativo alla realtà, è un documento relativo alla propria natura ambigua”.

Cesare Biratoni, Natura morta di foto (2022; olio su tela, 20 x 25 cm)
Cesare Biratoni, Natura morta di foto (2022; olio su tela, 20 x 25 cm)
Cesare Biratoni, Natura morta di foto (2019; olio su tela, 20 x 30 cm)
Cesare Biratoni, Natura morta di foto (2019; olio su tela, 20 x 30 cm)
Cesare Biratoni, Senza titolo (2017; collage e tecnica mista su tela, 29,7 x 21 cm)
Cesare Biratoni, Senza titolo (2017; collage e tecnica mista su tela, 29,7 x 21 cm)
Cesare Biratoni, Pinturas, 2011, Aveiro, Portugal, veduta dell’allestimento, Galeria Ma-arte
Cesare Biratoni, Pinturas, 2011, Aveiro, Portugal, veduta dell’allestimento, Galeria Ma-arte
Cesare Biratoni, Pittore (2021; collage e tecnica mista su carta, 21 x 14 cm). Foto: Massimo Biava
Cesare Biratoni, Pittore (2021; collage e tecnica mista su carta, 21 x 14 cm). Foto: Massimo Biava
Cesare Biratoni, Bagnanti (2022; olio su tela, 50 x 40 cm)
Cesare Biratoni, Bagnanti (2022; olio su tela, 50 x 40 cm)
Cesare Biratoni, Opificio, 2023, Santo Stefano Magra, Galleria Cardelli&Fontana, veduta della residenza in allestimento
Cesare Biratoni, Opificio, 2023, Santo Stefano Magra, Galleria Cardelli&Fontana, veduta della residenza in allestimento
Cesare Biratoni, Senza titolo (2023; collage e pastello su carta, 29,7 x 21 cm)
Cesare Biratoni, Senza titolo (2023; collage e pastello su carta, 29,7 x 21 cm)

Ti capita di scattare delle fotografie con l’intento di usarle a fini artistici o invece sono semplicemente foto che trovano fortuitamente un loro posto nel tuo lavoro?

Prevale il secondo aspetto che dici, perché mi piace e mi diverte la ricerca delle fonti. Ho anche scattato (male) fotografie che mi sono servite, soprattutto per comporre collage o dipinti dove il soggetto sono io stesso, non tanto come ritratto ma come personaggio che dipinge.

In una precedente conversazione mi hai raccontato della tua condizione di apolide il che mi sembra si colleghi in qualche modo all’idea di natura ambigua. Nel tuo lavoro arte e vita sono intimamente collegate ?

Credo lo sia per chiunque si occupi di arte; è difficile essere un “tecnico” dell’arte. La nozione di professionismo, per esempio, è lontanissima da me, io provo e riprovo, mescolo cose e vedo poi cosa succede. Per questo ritengo che fare arte sia una disposizione che coinvolge ogni aspetto della vita di chi la pratica.

Ti interessa la dimensione della poesia?

Mi interessa molto. Per me arte e poesia sono strettamente correlate; in entrambe i casi non conta (non prioritariamente almeno) quello che si descrive o si racconta ma la forma con la quale si arriva a definire qualcosa a partire da qualcos’altro. Non vedo molta differenza tra un eventuale corso per aspiranti poeti e un corso di pittura (o arti visive) in un’accademia di belle arti.


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