La conclusione del tour mondiale dell’Amerigo Vespucci offre lo spunto per ricordare che la nave scuola della Marina Militare Italiana, in questi giorni ormeggiata a Genova, ha portato in giro per il mondo, negli ultimi due anni, anche alcune opere d’arte, al fine di “celebrare l’eccellenza del Made in Italy attraverso eventi, incontri e iniziative in alcuni dei porti più iconici del pianeta” (così la presentazione ufficiale). Al Villaggio Italia, una sorta di mostra in cui la Vespucci ha portato quello che dovrebbe essere il meglio della cultura italiana, hanno fatto visita oltre trecentomila persone, che nelle otto tappe hanno potuto vedere le opere dei due artisti scelti, evidentemente, come testimonial, per così dire, dell’arte italiana: Jago e Lorenzo Quinn. Anche nel Villaggio Italia di Genova il pubblico può vedere un’opera di Jago.
Sulle opere di Jago e Lorenzo Quinn che la Vespucci ha portato in giro per il mondo, non serve soffermarsi granché: sono le solite opere banali e didascaliche alle quali i due ci hanno abituato negli anni (peraltro, molto curiosamente, Jago ha presentato un’opera che raffigura una mano, ovvero il marchio di fabbrica che ha reso famoso Quinn). Jago, in particolare, ha portato, tra le altre, La David, atroce e ammiccante versione femminile del David di Michelangelo, Family, scultura raffigurante tre avambracci intrecciati, simbolo dell’“unione umana”, e Future, una mano piegata a fare il segno del tre, gesto che negli Emirati Arabi Uniti, una delle tappe del tour, è stato “reso celebre dallo sceicco Mohammed bin Rashid al Maktoum”, c’informano le presentazioni ufficiali, e che rappresenta “Vittoria, Successo e Amore”. È arte da fast food con significato pre-confezionato e pre-somministrato, e oltretutto smaccatamente ossequiosa nei riguardi di uno dei soggetti che hanno accolto il tour della Vespucci. Quinn, invece, ha portato Posidonia, scolastica trasformazione dell’omonima pianta marina in un volto di donna: perché, dice l’artista, i capelli fluenti della scultura ondeggiano come la pianta di posidonia. Penso non serva aggiungere altro, se non che Lorenzo Quinn non è Leonardo da Vinci. E poi, se un qualunque poeta oggigiorno s’azzardasse a proporre un simile paragone tra capelli e onde, probabilmente verrebbe degradato a verseggiatore da sagra paesana. Se lo fa un artista contemporaneo, viene portato in tour mondiale con la Vespucci.
Non serve, si diceva, soffermarsi granché sulle opere, se non per dovere di cronaca (e di critica). Serve casomai domandarsi se, dovendo la Vespucci portare auspicabilmente in tour mondiale anche il meglio di ciò che l’Italia è in grado d’esprimere in campo culturale, non ci fosse davvero niente di meglio rispetto a Jago e a Lorenzo Quinn. Domanda retorica, ovviamente: suona davvero difficile pensare a Jago e a Quinn come alle punte avanzate dell’arte contemporanea nazionale. Anzi, oserei dire ch’è impossibile ritenerli “eccellenze” della nostra arte contemporanea, prendendo a prestito il fraseggio di chi ha scritto i testi del tour della Vespucci. Evidentemente però così non dev’essere sembrato a chi ha stabilito che la Vespucci dovesse essere accompagnata dalle opere di Jago e Quinn. Dunque, in fin dei conti, non serve neppure davvero domandarsi se non ci fosse di meglio.
Forse, serve semmai ragionare sui motivi che hanno indotto l’organizzazione del tour a scegliere Jago e Quinn come rappresentanti dell’arte italiana. Non stiamo parlando d’una mostra temporanea, anche impattante, presentata in una sede dove il pubblico ha di più e di meglio da vedere: penso, per esempio, alla canea ch’è stata sollevata per la mostra di Emanuele Giannelli a Firenze, coi suoi giganti messi vicino all’ingresso di Palazzo Strozzi Sacrati, giunti in una città che ha un’offerta significativamente vasta e che consentiva tranquillamente di volgere le spalle alla mostra di Giannelli qualora non la si fosse ritenuta all’altezza, e scegliere tra le tante proposte d’arte contemporanea che Firenze rende disponibili a cittadini e turisti. Senza contare, poi, che Giannelli non era stato selezionato come “eccellenza” della Toscana, ancorché, naturalmente, un artista che espone in una mostra promossa dalla Regione possa esser da taluni percepito come un “ambasciatore”, mi si passi il termine, dell’istituzione che decide d’accogliere le sue opere. Il caso della Vespucci è diverso: ai trecentomila che sono entrati nel Villaggio Italia, spesso allestito all’estero, non era data facoltà di scegliere se vedere le opere di Jago e Quinn o altro, e soprattutto i loro lavori son stati impacchettati con la retorica dell’eccellenza, del Made in Italy e via dicendo. A tutti coloro che a Los Angeles, a Tokyo, ad Abu Dhabi sono entrati nel Villaggio Italia, Jago e Quinn sono stati presentati sostanzialmente come il meglio dell’arte contemporanea italiana. Come “grandi artisti italiani”: cito l’esatta espressione che si può trovare passeggiando per il sito del tour Vespucci. Perché?
Primo: il totale scollamento tra il sistema dell’arte contemporanea e tutto quello che c’è al di fuori. È un effetto della frustrante, ottusa, nauseabonda autoreferenzialità del mondo dell’arte contemporanea italiana, della sua scarsa propensione ad aprirsi al mondo esterno, è un effetto dell’agonia della critica, della rinuncia alla divulgazione e, di rimando, del totale disinteresse che il mondo esterno nutre nei riguardi dell’arte contemporanea italiana. Normale, dunque, che se c’è incomunicabilità tra due parti, se un terreno non viene coltivato da chi dovrebbe farlo, allora quel terreno diventa terra di tutti, terra dove per uno Jago o un Quinn non diventa troppo difficile piantare le tende e farsi presentare come “grandi artisti italiani”. E il fatto che, in quasi due anni di tour, nessun critico, nessun curatore, nessun addetto ai lavori si sia posto il problema di far notare che, forse, l’Italia ha di meglio con cui presentarsi nel mondo, è ulteriore indice della distanza siderale che separa il mondo dell’arte contemporanea da tutto il resto.
Secondo: l’idea per cui il successo di pubblico corrisponda a un’effettiva qualità. Ed è difficile che un prodotto artistico premiato da un pubblico larghissimo sia anche un prodotto di qualità, soprattutto oggi, nell’epoca del consumo rapido di qualsiasi contenuto, in un momento storico che tende a premiare prodotti culturali facili perché in grado d’esser colti senza troppo impegno. Ovvero, in un momento storico che tende a premiare l’antitesi dell’arte. Jago e Quinn ottengono riscontro di pubblico perché hanno applicato alle loro opere i meccanismi che decretano il successo degli influencer (tant’è che entrambi superano il milione di follower su Instagram, numeri probabilmente preclusi alla quasi totalità degli artisti contemporanei, e forse impossibili da raggiungere a qualunque artista italiano si rifiuti d’applicare gli stessi schemi): opere d’una facilità estrema, soggetti noti a tutti, contenuti rassicuranti e via dicendo. È come se volessimo ritenere che Gigi D’Alessio e il Volo siano le punte di diamante della musica italiana: ecco, Jago e Quinn sono i Gigi D’Alessio dell’arte contemporanea. Il problema è che le “eccellenze” dell’arte italiana non dovrebbero esser scelte per acclamazione popolare, tanto più se devono rappresentarci in giro per il mondo per scelta d’un’istituzione.
Terzo: se vogliamo, la mancanza d’un comitato che abbia fatto un minimo di selezione o, quanto meno, di qualcuno che abbia elargito qualche suggerimento al Ministero della Difesa e alla Marina Militare, per esempio su chi non portare, e sarebbe già stato un ottimo risultato. Qualcuno potrà dire che, per farsi capire fuori dai confini nazionali, meglio un prodotto come il Volo che arriva a tutti, con la sua versione commerciale di quelle tre-quattro arie che all’estero sono note anche agli ignoranti che associano l’Italia a pizza, mandolini, limoni della Costiera Amalfitana e Libiamo ne’ lieti calici. Qualcuno avrà pensato che, per il tour della Vespucci, fosse un’ottima idea chiamare in rappresentanza dell’Italia l’artista che fa il cosplay di Michelangelo e quello ch’è diventato famoso a forza di portare mani giganti a Venezia ogni volta che c’è una Biennale, e quindi lo conoscono tutti. Vale però quel che s’era detto su queste pagine a proposito, giustappunto, della scelta del Volo come artisti per promuovere nel mondo l’immagine di Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025: anche ammesso che la presenza di Jago e Lorenzo Quinn risponda a legittime ragioni di marketing, occorre domandarsi se davvero si pensa che loro due siano gli artisti più adatti a rappresentare nel mondo l’immagine dell’arte italiana, della creatività italiana, del pensiero artistico italiano.
Qualche curator potrà avanzare l’obiezione per cui il tour mondiale della Vespucci, in fondo, è un evento trascurabile, perché è uno di quei pot pourri dove entra di tutto, e in genere i mescoloni non fanno mai bene a nessuno: a Los Angeles, per esempio, c’erano Jago, la banda musicale della legione allievi dei Carabinieri che suonava i brani di Morricone, Serena Autieri che interpretava i classici della canzone italiana, le proiezioni del film Comandante, e via dicendo. Non credo però che il problema debba esser visto da questa prospettiva: intanto, si parla di un evento che per ogni tappa ha attirato in media più di trentamila persone, spalmate su cinque-sei giorni. Non proprio numeri trascurabili: qualcuno provi a citare una mostra d’arte contemporanea italiana capace di suscitare lo stesso fascino. E poi, se la qualità è sostenuta non credo che si debba temere la vicinanza di linguaggi diversi. Occorre però, appunto, che la qualità sia sostenuta. Non è impossibile portare qualità dentro occasioni di raduno “nazionalpopolare”, per così dire. E non mancano gli esempi: lo scorso anno, alle Olimpiadi di Parigi, a Casa Italia è stata portata una selezione d’arte di buon livello. Forse con alcuni cedimenti, certo, ma almeno venne allestito un percorso frutto di scelte operate da due professioniste del settore che hanno operato e scelto gli artisti secondo criteri definiti. Non si poteva fare altrettanto per il tour della Vespucci? Per il prossimo giro del mondo si potrà sperare che l’arte contemporanea convocata ad accompagnare la nostra nave scuola venga scelta senza improvvisazioni? E se non ci sarà un comitato, che si scelga almeno un qualche curatore che possa evitare di far rappresentare l’immagine dell’Italia dagli artisti-influencer, dagli artisti da like sui social, e faccia circolare nel mondo una proposta più solida.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Al suo attivo anche docenze in materia di giornalismo culturale (presso Università di Genova e Ordine dei Giornalisti), inoltre partecipa regolarmente come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).