Bill Viola, il Rinascimento elettronico a Firenze: l'inno all'attesa


Recensione della mostra 'Bill Viola. Rinascimento elettronico' a Firenze, Palazzo Strozzi, fino al 23 luglio 2017.

Uno dei momenti sicuramente più interessanti della grande retrospettiva che Palazzo Strozzi dedica a Bill Viola (New York, 1951), è sicuramente l’impatto con il pubblico. Difficilmente capita di vedere, in una mostra, gruppi di persone (tra le quali soprattutto giovani) sedute a terra davanti a un’opera, in silenzio o tutt’al più bisbigliando qualche sommesso sussurro al vicino, in assorta contemplazione, in attesa che accada qualcosa. Se volessimo indicare un merito particolare della videoart di Bill Viola, con le sue sequenze dilatate fino al limite dell’umana sopportazione, con i suoi chirurgici rallentamenti, con le sue atmosfere da nerd della storia dell’arte, talvolta prevedibili ma spesso sorprendenti, forse non avremmo troppe difficoltà a individuarlo nell’attesa quasi snervante che le sue installazioni sono in grado di suscitare. L’arte di Bill Viola è non soltanto un inno alla lentezza, ma anche inno all’attesa. Ragion per cui non è azzardato affermare che le sue opere andrebbero insegnate e mostrate a scuola, proprio per questo loro particolare valore.

La mostra Bill Viola. Rinascimento elettronico a Palazzo Strozzi
La mostra Bill Viola. Rinascimento elettronico a Palazzo Strozzi


Il pubblico nella prima sala della mostra
Il pubblico nella prima sala della mostra

Obrist ha spesso insistito sulla lentezza e sul silenzio come fattori chiave per la visita al museo e per la comprensione di un’opera d’arte, specialmente in contesti in cui le esposizioni sono andate incontro a un “effetto acceleratore”, come da espressione da lui usata in un’intervista di qualche anno fa. È come se nelle sale di Palazzo Strozzi sia venuto meno quel moto tortuoso e compulsivo a cui molte, troppe esposizioni rabberciate costringono il pubblico, col nefasto risultato che, complice ultimamente anche una scuola che non ritiene più strategico l’insegnamento della storia dell’arte, in diversi non hanno più (o non hanno mai avuto) idea di come si visiti un museo: li vediamo che schizzano velocemente da un’opera all’altra trasformando un’eventuale occasione di approfondimento, di raffinamento del giudizio critico e, perché no, di vera emozione, in una sorta di tour preconfezionato dello sbalordimento forzato e privo di reale cognizione di causa. L’arte di Bill Viola, semplicemente, non permette tutto questo. Dobbiamo “rivendicare il tempo”, direbbe Bill Viola, dare tempo a noi stessi, far respirare la nostra mente, fare in modo che nelle nostre vite ci siano spazî nei quali il tempo non sia costretto entro ritmi precostituiti e votati alla massima ottimizzazione, ma possa scorrere liberamente, nel modo migliore, per noi stessi: questo per l’artista dovrebbe essere l’obiettivo dell’arte. Nel catalogo di una mostra di trent’anni fa, il critico Donald Kuspit ha scritto che Bill Viola gioca col nostro senso del tempo, mettendo in discussione la percezione che ne abbiamo in termini di durata, prospettiva o tensione e creando in ogni opera uno spazio per permetterci di ristabilire un rapporto genuino col tempo. Bergson aveva contrapposto il tempo spazializzato al tempo reale, quello percepito anche e soprattutto interiormente, sotto un profilo qualitativo: l’arte di Bill Viola ci permette di riappropriarci di tale dimensione, di questa durée non misurabile in cui passato, presente e futuro possono anche palesarsi in compresenza.

Il visitatore della mostra di Palazzo Strozzi viene subito calato in questa realtà fin dalla prima sala, senza troppi preamboli: una stanza nella più completa oscurità accoglie The Crossing, la prima opera in mostra, una sorta di rito di passaggio pensato come un dittico di video addossati su due lati opposti. Su quello che ci troviamo dinnanzi nel momento in cui varchiamo l’ingresso della sala, il protagonista incede verso il pubblico per poi fermarsi ed essere investito da una fiamma mentre, sull’altro, alla fiamma si sostituisce una cascata d’acqua: l’uomo poi sparisce, sopraffatto (o trasformato) dalla forza dei due elementi naturali, in un’opera dalla forte teatralità e di grande impatto emotivo. La dilatazione portata ai suoi estremi rende il video simile a un’opera d’arte a due dimensioni, a un quadro: la lentezza con cui si svolge l’azione ci dà modo di indugiare su tutti i singoli dettagli della scena, ci offre l’opportunità di soffermarci sui particolari esattamente come faremmo se guardassimo, appunto, un quadro, ci lascia il tempo per provare a fornire la nostra interpretazione del messaggio che l’artista ci vuole inviare. Il pubblico fornisce una suggestiva cornice all’esperienza: è come essere al museo e al cinema allo stesso tempo. C’è lo spirito di condivisione del cinema, ma senza che il pubblico sia inquadrato rigidamente in file numerate: ci si dispone liberamente negli angoli della sala, sui lati, seduti per terra. Ci sono l’attenzione e lo scrupolo con cui al museo si osservano le opere d’arte, e in più c’è l’imminenza di un qualcosa che a breve interverrà per modificare ciò che stiamo ammirando (e, di conseguenza, per modificare la nostra stessa percezione).

I curatori (Arturo Galansino, direttore di Palazzo Strozzi, e Kira Perov, executive director del Bill Viola Studio) hanno poi coerentemente deciso di affiancare alcune installazioni di Bill Viola alle opere d’arte del Rinascimento alle quali l’artista statunitense ha espressamente dichiarato d’essersi ispirato. In un articolo pubblicato il mese scorso sulla rivista Engramma, Alessandro Alfieri ha warburghianamente discettato di Nachleben in riferimento alle opere di Viola che s’ispirano all’antico: tuttavia, se di sopravvivenza occorre parlare, tocca farlo non già per l’immancabile rivisitazione della tradizione operata dall’artista americano (Warburg si avvalse spesso di esempî di opere in cui la sopravvivenza non poteva esser dettata dalla familiarità dell’artefice con la fonte originaria), bensì per la sua capacità di far emergere, attraverso il tempo, la vita delle immagini. Lo ha spiegato il filosofo Giorgio Agamben in un suo saggio (che, pure, Alfieri cita): “se si dovesse definire in una formula la prestazione specifica dei video di Viola, si potrebbe dire che essi non inseriscono le immagini nel tempo, ma il tempo nelle immagini. E poiché, nel moderno, non il movimento, ma il tempo è il vero paradigma della vita, ciò significa che vi è una vita delle immagini, che si tratta di comprendere”. Il dinamismo che Viola imprime alle sue opere fa sì che l’immagine che si produce in un dato momento (quello in cui la osserviamo per la prima volta) vada incontro a una serie di trasformazioni che, spiega ancora Agamben, obbligano lo spettatore “a rivedere il video dall’inizio”, col risultato che “l’immobile tema iconografico si trasforma in storia”. Il tempo è, insomma, ancora la chiave di lettura: si spiega così anche l’assenza di una figura da The Greeting, opera che ci accoglie nella seconda sala assieme alla Visitazione del Pontormo, l’opera a cui s’ispira.

La sala con The Greeting e la Visitazione del Pontormo
La sala con The Greeting e la Visitazione del Pontormo


Bill Viola, The Greeting
Bill Viola, The Greeting (1995; Installazione video-audio, durata 10’22"; proiezione di video a colori su un grande schermo verticale installato a parete in uno spazio oscurato; audio stereofonico amplificato; Interpreti: Angela Black, Suzanne Peters, Bonnie Snyder. Courtesy Bill Viola Studio)


Pontormo, Visitazione
Pontormo, Visitazione (1528-1529 circa; olio su tavola, 207 x 159,4 cm; Carmignano, Pieve di San Michele Arcangelo. Foto Antonio Quattrone)

Ha dichiarato l’artista: "il mio incontro con il quadro è avvenuto in California. Ero andato in una libreria... vedo con la coda dell’occhio un... nuovo testo sul Pontormo. Sulla copertina era riprodotta la Visitazione, mi colpirono i colori. Di quel quadro non sapevo niente, ma non potevo smettere di guardarlo. Ho comprato il libro e l’ho portato a casa. Ma aspettai mesi prima di prenderlo in mano. Alla fine, apro il libro, lo leggo, resto affascinato dalle idee, dai colori di quel pittore. Nasce così l’idea di The Greeting". Quest’ultima opera (la cui azione dura quarantacinque secondi, ma la dilatazione messa in atto da Bill Viola porta il video a estendersi per oltre dieci minuti) ci mette di fronte a un incontro tra due donne che conversano tra di loro e una terza che sopraggiunge e che le altre salutano. Nell’opera del Pontormo la santa Elisabetta appare due volte per suggerire all’osservatore l’idea che l’incontro tra le due cugine sia un evento che occorre nel tempo: Bill Viola, superando la fissità del dipinto, non ha più bisogno di tale artificio. Le opere antiche potrebbero però risultare un po’ penalizzate da questo confronto, non foss’altro per il fatto che il video, per sua stessa natura, costringe il visitatore a soffermarsi più a lungo per osservare lo svolgimento di un’azione che, in un dipinto, è ovviamente assente. Occorre tuttavia apprezzare lo sforzo dei curatori nel mettere spesso l’osservatore nelle condizioni di operare dei confronti diretti. In questo senso il momento forse più alto dell’esposizione fiorentina è la sala dedicata al diluvio: ponendosi a giusta distanza (e sperando d’essere un po’ fortunati nel trovare l’ambiente non eccessivamente affollato) è possibile far entrare nel proprio campo visivo sia il Diluvio di Paolo Uccello, proveniente dal Chiostro Verde di Santa Maria Novella, sia, seppur in parte, The Deluge di Bill Viola, opera in cui alcuni passanti camminano in prossimità d’un edificio dall’architettura classica, da dove poi uscirà un’inarrestabile fiumana che travolgerà tutti. Il Diluvio di Paolo Uccello, posto sull’ingresso della sala, continua lo spazio del video: par quasi che l’acqua di The Deluge scaturisca dal lunettone rinascimentale.

La sala con The Deluge il Diluvio di Paolo Uccello
La sala con The Deluge il Diluvio di Paolo Uccello


Bill Viola, The Deluge
Bill Viola, The Deluge (2002; pannello 3 dei 5 di Going Forth By Day, 2002; installazione video-audio Video a colori ad alta definizione proiettato su una parete in una stanza buia, durata 36’; audio stereofonico e subwoofer, 370 x 488 cm. Courtesy Bill Viola Studio)


Paolo Uccello, Diluvio universale e recessione delle acque
Paolo Uccello, Diluvio universale e recessione delle acque (1439-1440 circa; affresco staccato, 215 x 510 cm; Firenze, Musei Civici Fiorentini, Museo di Santa Maria Novella, dalla quarta campata del lato est del Chiostro Verde. Fototeca dei Musei Civici Fiorentini)

Parimenti pregnante è la sala in cui assistiamo all’accostamento tra la Pietà di Masolino da Panicale ed Emergence di Bill Viola, quest’ultima opera capitale e fondamentale per comprendere il percorso e l’immaginario dell’artista statunitense: citando espressamente la tavola del Museo della Collegiata di Sant’Andrea di Empoli (anche nel formato: e benché la Pietà sia un affresco staccato, Emergence ha misure e aura da pala d’altare, mentre il fondo blu richiama gli affreschi dell’epoca di Masolino), assistiamo all’emersione di un corpo cereo ed esanime dal sepolcro al centro della scena. L’uscita del giovane da questa sorta di pozzo è accompagnata da due donne che lo depongono a terra e, incuranti d’una cascata d’acqua che fuoriesce dal sepolcro, lo piangono e lo coprono infine con un telo. Il procedimento è all’incirca lo stesso: conferendo movimento alle immagini, Viola rilegge e reinterpreta le immagini classiche (l’osservatore può cogliere diverse citazioni, dalla Deposizione di Raffaello della Galleria Borghese alla Pietà di Michelangelo) fondendo iconografie (in questo caso quella della Pietà, quella della Deposizione, quella del Compianto, quella della Resurrezione) e dando vita a un racconto la cui valenza s’estende oltre la semplice trama che si dipana dinnanzi ai nostri occhi: Viola usa metafore (come quella dell’acqua che, come s’è visto, è frequentissima nella sua produzione: da bambino, l’artista rischiò l’annegamento) e repertorî ricorrenti, riecheggiando la teoria warburghiana delle Pathosformeln, per parlarci di vita, morte e rinascita, di emozioni e reazioni di fronte agli eventi, di spiritualità. Come Emergence, appartiene alla serie The Passions anche Catherine’s Room: un polittico di video di piccolo formato, i cui cinque pannelli riprendono la vita di una donna in un interno domestico in cinque diversi momenti della giornata (mattina, pomeriggio, tramonto, sera e notte). Il riferimento, qui, è la predella di un polittico di Andrea di Bartolo dedicato a santa Caterina da Siena, con la differenza che, se nella predella di Andrea di Bartolo gli episodî si riferivano alle vite di quattro donne diverse, la protagonista in Bill Viola è una sola. Non si tratta di oziosa sottolineatura: l’atmosfera d’intimità che i pannelli delle predelle spesso riuscivano a instaurare nei confronti dell’osservatore (al contrario di quanto facevano gli scomparti principali, ieratici nella loro devota e iconica fissità) è qui funzionale a evocare, di nuovo, il ciclo della vita e della natura.

La sala con Emergence e la Pietà di Masolino
La sala con Emergence e la Pietà di Masolino


Bill Viola, Emergence
Bill Viola, Emergence (2002; retroproiezione video a colori ad alta definizione su schermo montato a parete in una stanza buia, 213 x 213 cm, durata 11’40”; interpreti: Weba Garretson, John Hay, Sarah Steben. Courtesy Bill Viola Studio)


Masolino da Panicale, Cristo in pietà
Masolino da Panicale, Cristo in pietà (1424; affresco staccato, 280 x 118 cm; Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea, inv. n. 32. Foto Antonio Quattrone)

La grande retrospettiva su Bill Viola trova a Firenze una sua naturale collocazione, non solo per le continue citazioni a opere d’artisti fiorentini e toscani che intridono i lavori dell’americano, ma anche per i suoi trascorsi in città: a più riprese ci viene ricordato che Bill Viola fu a Firenze tra il 1974 e il 1976, ricoprendo l’incarico di direttore tecnico di art/tapes/22, casa di produzione e di documentazione di opere di videoart, e alla Strozzina, dove sono presenti alcuni dei suoi primi lavori, è stata allestita un’intera sezione, Firenze Settanta, che rievoca il periodo in cui Bill Viola si trovava nel capoluogo toscano e che si configurò per lui come periodo di studio e di contatto diretto con quelle immagini e quelle icone che, da ragazzo, aveva potuto vedere unicamente sui libri, nonché di avvicinamento alle nuove tecnologie che lo renderanno quell’artista elettronico capace di diventare pioniere di una forma d’arte e di ritagliarsi un ruolo di primo piano sulla scena artistica mondiale.

Ci si potrà poi interrogare sul ruolo, in mostra, delle opere d’arte del passato, che vengono spesso snobbate dal pubblico, più incline, come detto sopra e com’è del resto lecito attendersi data la natura del medium, a soffermarsi sui video di Bill Viola. Presenze certo pertinenti (e non potrebbe essere altrimenti, dato che troviamo in mostra soltanto le opere a cui Bill Viola ha dichiarato d’essersi ispirato), ma passibili di rivestire un duplice, ambiguo ruolo: quello di mero fondale che nobilita le installazioni del protagonista, facendo assumere all’esposizione quell’aria di celebrazione che di certo, in modo apparentemente paradossale, ne sminuirebbe l’importanza, e tuttavia anche quello di densi contenitori capaci di dar vita a un costruttivo dialogo tra antico e contemporaneo, dando corpo alle riflessioni di Bill Viola. Le risposte alle domande che l’esposizione suscita spetteranno al visitatore, che nel frattempo può giovarsi d’una mostra indubbiamente giocata sul filo dell’emozione, ma al contempo in grado di aprire interessanti e stimolanti varchi tanto sull’assoluto quanto sul contingente.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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