Perché il dramma dell'acqua alta a Venezia ha sguinzagliato schiere di odiatori sui social?


Ricorderemo l'acqua alta che ha colpito Venezia tra il 12 e il 13 novembre anche per la carica d'odio sui social che è riuscita a innescare.

Il dramma dell’acqua alta che ha colpito Venezia nella notte tra il 12 e il 13 novembre, con la seconda marea più alta di sempre (o almeno da quando esistono le registrazioni scientifiche), rischierà d’esser ricordato anche per il carico d’odio social che, per qualche ragione, è riuscito a innescare. S’è registrata una vittima, ci sono danni per centinaia di milioni di euro, attività commerciali che hanno perso quasi tutto, chiese sommerse dall’acqua, biblioteche che hanno visto migliaia di volumi andarsene tra i flutti, si temono ripercussioni permanenti (o, quanto meno, difficili da riparare) per monumenti e beni culturali, dal momento che l’acqua di mare aggredisce le strutture.

Piazza San Marco dopo l'acqua alta del 13 novembre. Foto: Comune di Venezia
Piazza San Marco dopo l’acqua alta del 13 novembre. Foto: Comune di Venezia

Eppure, poco importa di tutto ciò agli odiatori seriali che popolano il web, che si sono accaniti contro Venezia e i suoi abitanti con un livore che, a memoria, non mi pare di ricordare in occasione di catastrofi naturali, eventi a seguito dei quali l’Italia, dacché ho memoria, ha sempre dato prova di solidarietà, comprensione reciproca, volontà di superare i campanilismi e le divisioni territoriali. In quest’occasione, a oltrepassare il livello di guardia non sono state solo le acque della laguna, ma probabilmente è stato anche l’hate speech: gli odiatori e i cosiddetti “webeti”, beninteso, costituiscono sicuramente una netta minoranza rispetto a quanti invece sono sinceramente preoccupati per l’emergenza di Venezia. Ma si tratta d’una minoranza rumorosissima, tra quelli che godono delle sofferenze dei veneziani semplicemente perché la regione è guidata da una giunta leghista e il comune da una maggioranza di centro-destra, quelli che si sentono in dovere di dispensare consigli d’ingegneria, logistica o gestione dell’emergenza spiccia, quelli del “ben vi sta perché una volta in un bar ho pagato un caffè dieci euro, quindi cavatevela da soli”, quelli che incolpano la città intera per l’incresciosa vicenda delle tangenti e dei ritardi del Mose, quelli che, per colpa di qualche demente veneto (o più genericamente settentrionale: per gli hater fa poca differenza) che nel passato s’è lasciato andare a insulti contro i meridionali, allora credono che l’antimeridionalismo sia caratteristica della popolazione veneta nel suo intero e di conseguenza gioiscono, quelli che a distanza di una settimana continuano a durarla con il ritornello “e allora Matera?”, quando le stime parlano di un miliardo di danni per Venezia e otto milioni per Matera, quando anche i quotidiani locali chiedono di finirla con gli accostamenti improprî, e quando gli stessi materani chiedono di smetterla di far credere che Matera abbia gli stessi problemi di Venezia, perché il rischio è di danneggiare davvero la città dei sassi (pare ci siano disdette di turisti convinti che Matera sia disastrata).

Certo, a Venezia sono tante le cose che non vanno, non funzionano a dovere, vanno migliorate. È più che comprensibile la preoccupazione di chi, volendo donare due euro attraverso il proprio telefono cellulare, memore di poco confortanti precedenti, si domanda che fine farà la sua offerta. E le inefficienze e gli scandali della politica sono sotto gli occhi di tutti. Non per questo però le colpe di qualche singolo devono essere estese a tutta la città, non per questo si è legittimati a scatenare ondate di rancore via social, non per questo si è autorizzati a esultare per la disgrazia che ha colpito una città, e se in passato ci sono stati ritardi e inettitudine nella gestione di sottoscrizioni popolari non significa che questa sia la norma. Sono piccole regolette di buon senso e di vivere civile talmente elementari, che risulta frustrante doverle mettere per iscritto. Forse però non sono così scontate, se anche un giornalista come Enrico Mentana s’è sentito in dovere di chiedere d’evitare “i soliti commenti impastati di odio e rancore” e di sottolineare d’aver “dovuto cancellare centinaia di commenti e bloccarne gli autori” sotto a un post Facebook relativo alla sottoscrizione per Venezia lanciata dal Tg La7.

Sulle radici dell’odio che corre via web s’è scritto tanto: perché però si ha la sensazione che il diluvio d’odio che ha colpito Venezia sia qualcosa di nuovo, stante il fatto che, nella storia d’Italia, drammi causati da disastri naturali sono stati più spesso portati a unire che a dividere? Intanto occorre specificare che in Italia le condotte discriminatorie hanno conosciuto un deciso aumento tra il 2016 e il 2018, come registrato da un rapporto dell’alto commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR), tanto che, si legge nel documento, l’OHCHR “è seriamente preoccupato del fatto che l’Italia sta conoscendo un aumento di intolleranza, odio razziale e religioso e xenofobia, che in alcuni casi è permesso o addirittura incoraggiato da leader politici e membri del governo”. Crescono di pari passo anche i crimini relativi all’odio: l’ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), che si occupa di censire anno per anno questi reati, rileva per l’Italia una crescita costante dal 2013. Di conseguenza è lecito attendersi un aumento dei discorsi d’odio sui social: una crescita ben fotografata dalla Mappa dell’Intolleranza elaborata ogni anno da Vox – Osservatorio Italiano sui diritti, in collaborazione con l’Università Statale di Milano, l’Università di Bari, La Sapienza di Roma e il Dipartimento di sociologia dell’Università Cattolica di Milano. Al quadro generale s’aggiunga poi quello peculiare di Venezia, città che, purtroppo, ha la colpa d’attirare valanghe di pregiudizî e luoghi comuni sul carattere e sull’indole degli abitanti, sul tenore di vita della città, sui prezzi che vi vengono applicati, sui politici che amministrano comune e regione. E a rincarare la dose, creando un clima ancor più fertile per il fango virtuale, è intervenuto il comportamento di quanti, anche a livello politico o addirittura istituzionale, non si sono risparmiati battute o commenti fuori luogo.

Siamo certo convinti che la maggioranza del paese abbia a cuore le sorti di Venezia e sia vicina ai suoi abitanti. E proprio per questa ragione c’è da far quadrato contro gli odiatori: mantenere puliti i social è il primo passo, e bene ha fatto Mentana a ribadire il suo modo di gestire il problema, ovvero cancellare i commenti degli hater e bloccarli impedendo che possano scrivere di nuovo. La questione ormai riguarda tutti: fatti salvi pochi forum e gruppi a invito o ingresso controllato, la discussione s’è invelenita ovunque e non esistono più, tra le pagine pubbliche, isole felici che possano dirsi esenti dal problema. Neppure i canali social d’una rivista d’arte ne sono immuni, anzi: è diventata una lotta quotidiana. Gli approcci sono diversi (varrà la pena segnalare la proposta del professor Ziccardi, docente d’informatica giuridica alla Statale di Milano, che si focalizza su azioni dirette nei riguardi degli odiatori e indirette nell’ambito della buona educazione digitale), ma elaborare un modello di gestione dell’odio sul web è diventata esigenza di chiunque produca contenuti per la rete. Il caso di Venezia, data la sua sostanziale novità, è interessante per provare a comprendere come l’hate speech evolverà in ambiti che sembravano non doverne essere intaccati (la solidarietà, le tragedie che colpiscono intere comunità, i beni culturali) e quali potrebbero essere sue ulteriori conseguenze.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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