Genova ritrova una parte dimenticata del proprio patrimonio artistico attraverso il ritorno alla luce della Natività di Gesù Cristo, splendido dipinto del pittore olandese Mathias Stom, o Mathias Stomer (Amersfoort, 1600 circa – Sicilia, dopo il 1650), figura centrale della scuola seicentesca influenzata dal naturalismo del maestro lombardo e dai caravaggeschi di Utrecht. Dopo un anno di analisi e di interventi conservativi, l’opera, scoperta appena un anno fa, è stata presentata al pubblico nel corso di una visita alle tappe dei percorsi tematici “Presepi della tradizione” e “Presepi dell’Arte”, alla presenza della sindaca Silvia Salis, dell’assessore alla cultura Giacomo Montanari e dei curatori coinvolti. L’evento ha segnato il compimento di un percorso che ha restituito piena leggibilità a una tela rimasta per secoli ai margini della storia espositiva cittadina e riemersa quasi per caso nel 2024 nel Convento della Visitazione a Genova.
Il ritrovamento, avvenuto durante una visita di studio dello stesso Montanari, storico dell’arte, agli archivi della Provincia dei Frati Minori Francescani di Genova, aveva immediatamente attirato l’attenzione degli studiosi per la qualità evidente della pittura, nonostante le sue condizioni iniziali fossero segnate da abrasioni diffuse e lacune cromatiche. La scena dell’Adorazione dei pastori, immersa in un chiaroscuro intenso e raccolto, mostrava una forte coerenza con la produzione matura di Stom, attivo tra Napoli e la Sicilia nella prima metà del Seicento. L’intuizione del ricercatore ha avviato un’indagine articolata, condotta nei mesi successivi, che ha coinvolto comparazioni stilistiche, ricerche documentarie e confronti con opere analoghe custodite in importanti musei italiani, e ha dunque consentito di attribuire senza alcun dubbio l’opera al grande pittore olandese.
I riscontri ottenuti hanno infatti permesso di accostare la tela genovese ad alcune delle principali opere di Stom, tra cui l’Adorazione conservata al Museo di Capodimonte di Napoli, quella di Palazzo Madama a Torino e soprattutto l’Adorazione dei pastori di Monreale, con la quale la somiglianza risulta particolarmente evidente. In quest’ultimo caso, la figura della Madonna appare quasi sovrapponibile, così come quella di san Giuseppe, e l’intero impianto compositivo presenta analogie evidenti nel modo di trattare la luce, di costruire i panneggi e di modellare i volti attraverso repentini passaggi dal buio alla luce. Elementi che hanno contribuito a confermare l’attribuzione a Stom e la probabile collocazione cronologica negli anni Quaranta del Seicento, periodo considerato tra i più significativi della sua produzione.
Parallelamente alla verifica stilistica, la ricerca d’archivio ha permesso di formulare un’ipotesi sulla provenienza della tela, legata alla committenza del nobile siciliano Giuseppe Branciforte Barresi, conte di Mazzarino e principe di Butera. Branciforte fu noto collezionista dell’epoca e possedeva più opere di Stom, alcune delle quali documentate in inventari redatti in Sicilia e a Napoli. In almeno un caso, è menzionata un’Adorazione dei pastori con dimensioni molto vicine a quelle dell’opera genovese, registrata a Napoli fino al 1801, per poi scomparire dagli inventari successivi. La possibile corrispondenza tra il dipinto citato e quello ritrovato non può essere confermata con assoluta certezza, ma rappresenta un tassello significativo per ricostruirne la storia e per comprendere come l’opera abbia potuto raggiungere Genova dopo un probabile passaggio per la collezione del principe.
La presentazione al pubblico della Natività ha rappresentato un momento di particolare importanza per la città, che torna così a ospitare un’opera riconducibile a un artista molto amato nei secoli passati, ma oggi scarsamente rappresentato nelle raccolte genovesi. Lo stesso Montanari ha sottolineato come il ritrovamento, avvenuto quasi casualmente durante una ricerca dedicata ad altri materiali, abbia permesso di riannodare un legame storico tra Genova e Stom, un rapporto documentato dalla presenza, in passato, di più dipinti dell’artista nelle collezioni locali, oggi in larga parte dispersi.
“In vent’anni di lavoro sul territorio”, ha detto Montanari, “ho imparato questa legge semplice: spalancare gli occhi con curiosità e non dare nulla per scontato. Guardare non equivale a vedere, e imparare a vedere significa costruirsi un patrimonio di conoscenze sempre in aumento, senza limiti di tempo o di opportunità, senza aver la presunzione di ‘aver già visto’ qualcosa: come diceva Venturi, bisogna ‘vedere e rivedere’ per essere sicuri di non aver soltanto guardato. Ecco perché un dipinto come quello di Mathias Stom che presenteremo oggi dopo un restauro lungo un anno è importante. Perché rappresenta quell’allenamento al vedere, a non lasciar scorrere le cose come uno sfondo sbiadito, a entrare in profondità nella storia degli oggetti, perché questi ci parlano anche delle persone. E – io credo – la Natività di Stom non è soltanto un dipinto eccellente o un ritrovamento importante per la disciplina della storia dell’arte. È qualcosa di più, soprattutto perché è un dipinto silente. Non è un’opera rumorosa, dove le stoffe fanno chiasso, i volti gridano, le luci violentano le tenebre. La sua quieta grandezza, la sua base di terra semplice che s’incarna nei volti, nelle mani e nei colli, la sua luce interna e sovrannaturale che sottrae con morbida decisione i personaggi al buio insondabile del fondo è anche un monito: il sacro non può e non deve essere una rivendicazione gridata, brutale e triviale. Il sacro è incontro, pausa, silenzio. È far cessare il rumore inesausto del mondo per un lunghissimo momento di sguardo sull’ulteriore. Per questo non si può non amare l’arte del passato: perché qualunque cosa si creda e in qualunque modo lo si faccia, capirla ci invita a riflettere, a metterci nella posizione di chi ascolta invece che in quella, troppo spessa chiusa al dialogo, del predicatore invasato”.
Il restauro della tela, affidato a Elena Parenti e sostenuto grazie al contributo di Villa Montallegro, ha permesso di risarcire le lacune e soprattutto di recuperare l’equilibrio luminoso tipico del maestro fiammingo, restituendo profondità alle figure e leggibilità alla scena. Il lavoro ha richiesto un approccio particolarmente delicato, indispensabile per intervenire senza alterare la materia originale, preservando le tracce della tecnica pittorica di Stom e lasciando emergere il carattere meditativo dell’immagine, dominata dalla luce emanata dal corpo del Bambino, secondo una soluzione compositiva ricorrente nell’artista.
Il percorso che ha condotto alla restituzione pubblica dell’opera è stato possibile anche grazie alla collaborazione tra numerosi studiosi e figure istituzionali. Tra questi, Riccardo Medicina ha avuto un ruolo decisivo nell’aprire gli archivi della Provincia dei Frati Minori, mentre Martina Leone ha coordinato le ricerche svolte in Sicilia. Vincenzo Abbate ha offerto un contributo determinante nella fase di confronto critico, Paolo Triolo ha seguito gli aspetti analitici legati all’indagine visiva e Paola Martini, insieme alla direzione del Museo Diocesano guidato da Enrico Vassallo, ha garantito ospitalità e supporto all’intero progetto. La sinergia tra competenze diverse ha permesso di approfondire aspetti ancora poco noti della storia del dipinto e di inserirlo con maggiore precisione nel percorso creativo di Stom.
Da oggi, l’opera è quindi esposta nelle sale del Museo Diocesano di Genova, nel cuore del centro storico. Grazie a un accordo con i Frati Minori, il dipinto resterà visibile per almeno due anni, offrendo al pubblico e agli studiosi l’opportunità di osservarne da vicino le caratteristiche stilistiche e i dettagli recuperati con il restauro. Il museo ha inoltre annunciato l’intenzione di avviare una raccolta fondi per sostenere ulteriori interventi conservativi, finalizzati a completare il recupero dell’opera e a garantirne la migliore conservazione nel lungo periodo.
La rinascita della Natività di Stom rappresenta, per la città, un’occasione di valorizzazione culturale e un esempio di collaborazione virtuosa tra istituzioni, ricercatori, restauratori e comunità religiosa. La storia del dipinto, dal ritrovamento fortuito nei corridoi di un archivio alla restituzione al pubblico, testimonia l’importanza della ricerca sul patrimonio nascosto e il ruolo centrale degli studi d’archivio per recuperare opere dimenticate. A un anno dalla scoperta, Genova ritrova così un tassello della propria storia artistica attraverso una tela che unisce la potenza del chiaroscuro caravaggesco, la finezza della scuola fiamminga e un percorso umano e scientifico che ha riportato alla luce un’opera a lungo perduta.
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