È uscito il libro Bellezza Italia. Manuale d’uso per il turismo che vogliamo (Primamedia Editore, 172 pagine, 16 euro), un volume in forma di dialogo tra un operatore turistico e un operatore culturale, ovvero Roberto Guiggiani (docente di Mercati e Tendenze del turismo all’Università di Pisa, già direttore dell’agenzia per il turismo di Pisa) e Gianluca De Felice (segretario dell’Opera della Primaziale Pisana), con prefazione di Federico Giannini. Scopo del libro è analizzare, attraverso l’approfondimento di temi come il marketing, la valorizzazione del patrimonio, la gestione dell’overtourism e delle destinazioni, le sfide che il turismo culturale deve affrontare. Un settore economico importante per il nostro paese, che genera occupazione e ricchezze, ma che provoca anche problemi e contrasti, soprattutto se si pensa che il dialogo tra turismo e cultura spesso non è stato dei più facili, anzi. Il libro nasce proprio per cercare di capire come queste due anime possano incontrarsi per una gestione corretta e creativa del patrimonio culturale. Federico Giannini ha intervistato i due autori: pubblichiamo oggi l’intervista a Gianluca De Felice.
FG: In che modo un operatore turistico può avvicinarsi correttamente al bene culturale?
GDF: In molti modi. Innanzitutto, ovviamente, conoscendolo e cercando di capire cosa l’istituzione può presentare delle sue collezioni. Questo è molto importante per segmentare la domanda e, fatto questo, può sicuramente interagire con la direzione dell’istituto o del museo per capire come creare dei percorsi diversificati attraverso approfondimenti più o meno articolati rispetto all’utente che viene a visitare l’istituzione. È un dialogo che dovrebbe essere costante. Spesso invece è carente, se non addirittura assente. E trovo che questo sia uno dei problemi principali: il dialogo tra il mondo della cultura e il mondo del turismo è carente.
Perché secondo Lei è carente?
È carente perché spesso l’operatore turistico non è attento all’esigenza culturale e, viceversa, l’istituzione culturale spesso non è attenta alle esigenze del turista. Si presume di avere un visitatore sempre colto, sempre attento e pronto a spendere. Invece non è così. Ci sono motivazioni molto diverse che inducono alla visita e quindi anche il sistema di accoglienza deve essere diversificato. In Piazza del Duomo, ovviamente, il campanile è il monumento più conosciuto e più richiesto alla visita. In realtà, in questi anni abbiamo avuto un incremento di visitatori anche al resto del complesso monumentale, soprattutto ai due musei: al Museo dell’Opera del Duomo, che raccoglie le opere della Cattedrale e del Battistero, e al Museo delle Sinopie, che ospita questa raccolta di disegni preparatori degli affreschi. Ecco, il legame che queste opere hanno con la piazza e col monumento del campanile porta sempre più visitatori ad entrare, a conoscere questi ambienti. Quindi questo sicuramente è un elemento di forza che va fatto conoscere anche ai tour operator e alle agenzie. Altro elemento fondamentale è la cura degli allestimenti. Oggi abbiamo degli allestimenti museali estremamente affascinanti, che portano i visitatori ad entrare con ancora maggiore consapevolezza all’interno della visita.
Come giudica l’attuale stato della comunicazione culturale in Italia? Siamo sulla strada giusta?
La comunicazione della cultura è sicuramente migliorata in questi anni. In Italia sono cresciute le professionalità che se ne occupano, è cresciuta la necessità e le richieste da parte del visitatore di avere sempre maggiori informazioni. C’è ancora però molto da fare, perché non sempre questa comunicazione arriva all’utente in modo chiaro, in modo preciso. Per cui la strada intrapresa è sicuramente quella giusta, ma il percorso, il cammino, è ancora molto lungo.
Lei dice, nel libro, che uno dei problemi dei musei è che non trasmettono emozioni, il che alle volte può sembrare controintuitivo. Cosa intende? E come potrebbero riuscirci?
I musei spesso non trasmettono emozione. Sono una scatola conservativa importante che ha permesso alle opere d’arte di conservarsi nel corso del tempo, ma non sempre sono stati allestiti in modo emozionale. Questa è una cosa fondamentale per permettere al turista di poter apprezzare fino in fondo l’opera d’arte. Se noi pensiamo alle numerosissime mostre che sono state realizzate in questi anni sul territorio nazionale, se quelle risorse fossero state almeno in parte utilizzate per allestire i musei con i grandi progettisti che lavorano in questo paese, con le tecnologie che oggi abbiamo, probabilmente avremmo dei musei molto più attraenti rispetto a quelli che oggi aprono le porte ai visitatori.
Ma questo non rischia di essere un problema soprattutto per i musei più piccoli, che hanno meno risorse? Come possono permettersi investimenti in allestimenti scenografici mantenendo al contempo aperture regolari?
I musei piccoli non hanno questo problema. Mi spiego: l’aspetto economico di mantenere i musei aperti è legato sostanzialmente al personale. Non avere un numero di visitatori così elevato da costringere il museo a tenere il museo aperto tutti i giorni durante l’anno permette di contingentare le aperture in determinati periodi o momenti. Questo non vuol dire che non si possa fare un investimento su quel museo per allestirlo. Sono due concetti molto separati. Uno è il creare un allestimento gradevole che ha una certa scenografia e capacità di trasmettere il significato dell’opera. L’altro è il mantenere il museo sempre aperto. Sono due concetti, dal punto di vista economico e gestionale, molto diversi.
Che posizione ha sulla questione delle tariffe nei musei, argomento che viene affrontato nel libro e di cui si è a lungo discusso e si continua a discutere? Crede che i musei debbano essere gratuiti o è giusto far pagare un biglietto d’ingresso?
La questione delle tariffe dei musei è dibattuta ormai da anni e personalmente ritengo che il museo debba offrire gratuità a tutti coloro che svolgono attività di studio e di approfondimento. Allora il museo deve assolutamente aprire non solo i suoi ambienti espositivi, ma anche i suoi archivi e i suoi depositi, per permettere agli studiosi, ai ricercatori, ai grandi appassionati di approfondire e conoscere sempre più i temi che il museo propone. Cosa diversa è il visitatore. Faccio veramente fatica a capire come si possa ritenere che un biglietto in un cinema, in un teatro, in un parco giochi possa essere considerato accettabile, mentre in un museo no. In realtà quel biglietto è assolutamente necessario, non soltanto per coprire totalmente o parzialmente i costi fissi del museo, ma probabilmente anche per avere dei recuperi di risorse che permettano attività straordinarie di restauro e di ricerca. Per cui il biglietto non è assolutamente uno scandalo. Certo, deve essere poi commisurato alle attività scientifiche e promozionali del museo. Ecco, una buona rendicontazione mostrata alla collettività, mettendo il bilancio in rete nel proprio sito, lo trovo un elemento di trasparenza che giustifica perché un visitatore paga un biglietto.
Parlando di didattica museale, spesso la si associa principalmente alle scuole e ai ragazzi, talvolta agli adulti, ma Lei nel libro sembra suggerire un approccio più ampio: può dunque spiegare meglio il concetto di “didattica per turisti”?
La didattica per turisti è un concetto ampio. Noi chiudiamo gli occhi e pensiamo alla didattica, alle scuole, ai ragazzi, in qualche contesto agli anziani. In realtà la didattica, se ci pensiamo, è un concetto che va bene per tutti. Tutti hanno necessità di crescere, di comprendere, di approfondire attraverso laboratori, attraverso guide specializzate che tecnicamente ci fanno capire come un artista ha pensato e progettato quell’opera. Questo è raccontare il bello, raccontare perché è stata fatta un’opera d’arte, quali sono le motivazioni, le capacità tecniche che hanno permesso il raggiungimento di quel risultato. Qualche sperimentazione ci ha portato a capire che questa è una strada da percorrere e gradita non solo alle fasce d’età dei ragazzi o degli adulti, ma a tutti. Il museo è nato come contenitore per conservare le opere e, dico, per fortuna è nato per questo motivo. Poi ha l’obiettivo di portare avanti l’attività di ricerca, di didattica, di studio. Ma oggi, per fortuna, è concepito anche come un luogo di svago. In quasi tutti i musei ci sono negozi, ci sono bar, ristoranti, e spesso vengono organizzate delle attività ludiche: degustazioni di vini, oppure ho visto in alcuni contesti addirittura sfilate di moda. Tutto questo sta crescendo, sta migliorando, ma c’è ancora un po’ di resistenza, un po’ di paura nell’aprirsi a un mondo ludico, appunto.
Nel libro, Lei dice appunto che in Italia la cultura è ancora considerata come un argomento per élite. Da questo punto di vista, secondo Lei, stiamo migliorando o c’è ancora molto da fare?
Trovo ancora che ci sia una resistenza in tal senso, come se si avesse paura di aprire queste scatole e che possano essere rovinate in qualche modo da queste attività. Bene, non è così. E quali sono i tentativi per portare ancora più avanti una vita museale aperta a diverse logiche? Beh, progetti innovativi. Ho visto che, alla Pinacoteca di Brera, Armani ha esposto i suoi abiti in un contesto assolutamente molto bello e molto gradevole. Quella è sicuramente un’opportunità da analizzare. È vero che quella è un’esposizione e non è un’attività serale ludica, però l’insieme di queste cose sicuramente ci porta a vedere il museo come un luogo aperto e non come un luogo chiuso.
“Valorizzare la cultura”, Lei dice, significa coinvolgere tutta la città. Cosa vuol dire?
Il museo è spesso aperto a visitatori, a turisti, ad appassionati d’arte. In realtà sarebbe molto bello se il museo fosse aperto in prima battuta alla città, la città che vive gli spazi museali insieme al turista. Questo arricchirebbe in modo notevole la visita, ma anche la consapevolezza che il patrimonio custodito in quel museo è un patrimonio della città. Il che non vuol dire, ovviamente, che il residente debba per forza vivere questi spazi con un proprio biglietto gratuito, ma dovrebbe farlo semplicemente come quando passeggia in realtà non museali, cioè avendo l’intuizione di passare qualche ora in un ambiente molto bello dove può non solo vivere delle opere ma passare serenamente qualche momento. E sono sicuro che questo darebbe al turista una visione diversa.Da anni dico che il turista apprezza quello che fa il residente, quello che normalmente il cittadino svolge nelle sue attività ricreative. Ecco, il museo è un’attività ricreativa anche per il residente.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Al suo attivo anche docenze in materia di giornalismo culturale (presso Università di Genova e Ordine dei Giornalisti), inoltre partecipa regolarmente come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).
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