Farsi avvolgere dalle trame invisibili di Chiharu Shiota: com'è la mostra del MAO di Torino


In un percorso che avvolge tutto il MAO di Torino, la monografica The Soul Trembles rivela come la spettacolarità delle grandi installazioni di Chiharu Shiota non sia mai fine a se stessa. Tra fili rossi e neri, ricordi, assenze e connessioni, la mostra invita a riflettere sui legami che attraversano l’esistenza avvolgendo, nel vero senso della parola, i visitatori. Ecco com’è la mostra del MAO: la recensione di Ilaria Baratta.

Si è parlato in più di un’occasione su queste pagine della crescente presenza in mostre, biennali e fiere d’arte d’installazioni spettacolari, di opere che colpiscono immediatamente per la loro forza visiva ma che spesso risultano fragili o superficiali dal punto di vista concettuale. O della diffusione negli ultimi anni di mostre instagrammabili, perfette da condividere sui social, ma prive di profondità.

Tuttavia, il fatto che un’opera o un’installazione sia particolarmente fotogenica non implica automaticamente che sia priva di significato, né che il suo valore si esaurisca nella resa estetica dell’immagine. Un lavoro visivamente potente può essere al tempo stesso portatore di temi complessi, di riflessioni che vanno oltre l’impatto immediato, perciò ridurre la questione a una sorta di equazione matematica, bello da fotografare uguale opera vuota, sarebbe troppo semplicistico e a volte ingiusto. È il caso della grande monografica Chiharu Shiota: The Soul Trembles, ora in corso fino al 28 giugno 2026 al MAO Museo d’Arte Orientale di Torino, curata da Mami Kataoka, direttrice del Mori Art Museum, istituzione museale di Tokyo che ha collaborato con il museo torinese per l’organizzazione della mostra, e dal direttore del MAO Davide Quadrio, insieme ad Anna Musini e Francesca Filisetti. Non si può non ammettere che The Soul Trembles sia una mostra molto scenografica (e qui niente di male visto che l’artista giapponese è anche scenografa; a questo aspetto è dedicata anche una sezione) e che proprio le monumentali e spettacolari installazioni siano le opere più fotografate dell’intero percorso espositivo: le installazioni più celebri di Chiharu Shiota arrivano infatti ad occupare intere sale del Museo d’Arte Orientale, avvolgono gli spazi in cui sono collocate e a loro volta avvolgono gli stessi visitatori che le possono letteralmente attraversare, sono dunque estremamente fotogeniche, instagrammabili e adatte alla condivisione sui social, ma sono portatrici di significati profondi, intimi e al tempo stesso universali. Parlano essenzialmente di legami: con gli altri, con il proprio corpo, con l’ambiente, con gli oggetti, con il cosmo. Fili di lana intrecciati e aggrovigliati di color rosso intenso o di color nero corvino ridisegnano completamente gli ambienti creando luoghi immersivi, di straordinaria potenza. Ma la loro potenza visiva non è mai fine a se stessa. Attraverso questi intrecci, il visitatore è invitato a riflettere sulle connessioni che attraversano la nostra esistenza: sulle relazioni che ci uniscono, sui fili sottili che legano la vita alla memoria, sulla presenza nell’assenza, sul visibile e l’invisibile. È un invito a riconoscere che ogni spazio e ogni corpo è attraversato da una rete silenziosa di rapporti, una trama che ci tiene uniti e che, proprio come i fili di lana, può stringersi, allentarsi, aggrovigliarsi o aprirsi a nuove forme di significato. “I fili si intrecciano, si aggrovigliano, si spezzano, si annodano, si allungano. A volte, i fili che manipolano il cuore possono persino diventare espressione delle relazioni tra persone”, spiega Chiharu Shiota, sottolineando inoltre come l’opera possa essere considerata completa quando non si è più in grado di seguire i singoli fili che la compongono: “È in quel momento che sento di poter scorgere ciò che si trova oltre e toccare la verità”, afferma.

La grande installazione Uncertain Journey in cui ci si immerge non appena entrati negli spazi del museo torinese dedicati alle mostre temporanee è un suggestivo esempio di queste installazioni ambientali dove i fili di lana rossi trasformano in maniera straordinaria lo spazio espositivo: telai spogli di barche sono disposti nell’ambiente, distanziati gli uni dagli altri, mentre fili di un rosso intenso attraversano le parti delle imbarcazioni destinate ai passeggeri per poi innalzarsi verso il soffitto, dove si trasformano in grandi ammassi di colore, così fitti da risultare impenetrabili allo sguardo. L’intero ambiente, pervaso da questa fitta trama di fili rossi, sembra allora suggerire l’idea dei molti incontri, reali o possibili, che attendono alla fine di questo viaggio incerto, amplificando la sensazione di sospensione e di incertezza. Subito dopo s’incontra Out of My Body, reti di fili rossi sospese accompagnate da parti del corpo sparse in terra: un’opera che nasce da una profonda percezione dell’artista, ovvero che la sua anima venisse in qualche modo lasciata indietro, abbandonata, mentre il suo corpo veniva sottoposto alle cure per la lotta contro il cancro che l’aveva colpita una seconda volta. Per Shiota, l’atto di usare il proprio corpo come opera d’arte è un modo per dare forma a quell’assenza, per immaginare ciò che non si vede e che tuttavia continua a esistere nel vuoto che lascia. “Dispongo il mio corpo in pezzi sparsi e inizio a parlarci nella mia mente”, afferma l’artista. “In qualche modo capisco che è questo il senso dell’atto di collegare il mio corpo ai fili rossi”. E i disegni e le sculture nella stessa sala esprimono proprio questo concetto.

Chiharu Shiota, Uncertain Journey (2016-2025; metallo e lana, dimensioni variabili). Veduta dell'installazione alla mostra Chiharu Shiota: The Soul Trembles, MAO Museo d’Arte Orientale, Torino, 2025. Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale
Chiharu Shiota, Uncertain Journey (2016-2025; metallo e lana, dimensioni variabili). Veduta dell’installazione alla mostra Chiharu Shiota: The Soul Trembles, MAO Museo d’Arte Orientale, Torino, 2025. Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale
Chiharu Shiota, Out of My Body (2019; cuoio, bronzo, dimensioni variabili). Veduta dell'installazione alla mostra Chiharu Shiota: The Soul Trembles, MAO Museo d’Arte Orientale, Torino, 2025. Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale.
Chiharu Shiota, Out of My Body (2019; cuoio, bronzo, dimensioni variabili). Veduta dell’installazione alla mostra Chiharu Shiota: The Soul Trembles, MAO Museo d’Arte Orientale, Torino, 2025. Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale.

Segue In Silence, altra installazione visivamente potente in cui questa volta sono fili di lana neri a intrecciarsi e a trasformare gli spazi. È un’installazione che nasce da un ricordo personale dell’artista: “Quando avevo nove anni”, si legge in un pannello di mostra, “scoppiò un incendio nella casa accanto alla nostra. Il giorno dopo, davanti all’abitazione c’era un pianoforte. Bruciato fino a diventare nero come il carbone, mi sembrò un simbolo ancora più bello di prima. Un silenzio indescrivibile scese su di me, e nei giorni successivi, ogni volta che il vento portava in casa quell’odore di bruciato, sentivo la mia voce offuscarsi. Ci sono cose che sprofondano nei recessi della mente e altre che, per quanto ci si provi, non trovano forma, né fisica né verbale. Eppure esistono, come anime senza una forma tangibile. più ci pensi, più il loro suono svanisce dalla mente, e più la loro esistenza diventa concreta”. E In Silence evoca proprio questo ricordo, attraverso un pianoforte bruciato e sedie altrettanto bruciate incastonati in questa trama di filo nero di Alcantara, che nonostante simboleggi il silenzio è come se l’insieme riproduca una musica visiva.

Ad essere incastonati all’interno di un groviglio di fili neri sono invece abiti bianchi nell’opera Reflection of Space and Time collocata nelle gallerie espositive della collezione permanente. Una particolarità di questa mostra è infatti la collocazione delle opere lungo l’intera sede museale, sia negli spazi delle mostre temporanee sia in quelli della collezione permanente; è un progetto espositivo che coinvolge dunque tutto il MAO di Torino creando un’unica grande immersione nell’arte di Chiharu Shiota. Tornando all’opera appena citata, gli abiti, come la pelle che ricopre il corpo, simboleggiano il confine tra l’interiorità di un individuo e il mondo esterno. L’idea evocata dagli abiti vuoti, non indossati, è quella della sensazione di presenza nell’assenza, dunque di assenza come traccia dell’essere. E appena prima, sempre al piano della collezione permanente, s’incontra Accumulation: Searching for the Destination, monumentale installazione con centinaia di valigie sospese tramite fili rossi che scendono dal soffitto. Le valigie evocano il concetto di ricordo (l’opera è stata ispirata dalla scoperta di vecchi giornali all’interno di una valigia trovata a Berlino, dove l’artista vive), ma anche la condizione di migrazione di quelle persone che lasciano la loro terra natale alla ricerca di un’altra destinazione. “Quando guardo un mucchio di valigie, vedo soltanto un corrispondente numero di vite umane”, dichiara l’artista. “Perché queste persone hanno intrapreso questo viaggio? Ripenso ai sentimenti che provavano la mattina della loro partenza”. Un’installazione dunque che suggerisce il viaggio del rifugiato alla ricerca di una dimora fissa e che si porta con sé tutto il suo bagaglio di ricordi, dalla terra che abbandona a quella che spera che lo accoglierà. È per questo che nella stessa sala si trovano appoggiate in terra e aperte altre tre valigie: Where to go, what to exist - Cement e Where to go, what to exist - Photographs e Where to go, what to exist - Tube and Newspaper. La prima piena di cemento, la seconda di fotografie, la terza piena di cemento, ritagli di giornale e un tubo in vinile; tutti oggetti che suggeriscono un passato perduto che viene trasportato nelle valigie verso un futuro in cui nulla è certo.

Chiharu Shiota, In Silence (2002-2025; pianoforte bruciato, sedia bruciata, filo alcantara, dimensioni variabili). Supporto alla produzione: Alcantara S.p.A. Veduta dell'installazione alla mostra Chiharu Shiota: The Soul Trembles, MAO Museo d’Arte Orientale, Torino, 2025. Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale.
Chiharu Shiota, In Silence (2002-2025; pianoforte bruciato, sedia bruciata, filo alcantara, dimensioni variabili). Supporto alla produzione: Alcantara S.p.A. Veduta dell’installazione alla mostra Chiharu Shiota: The Soul Trembles, MAO Museo d’Arte Orientale, Torino, 2025. Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale.
Chiharu Shiota, Reflection of Space and Time (2018; vestiti bianchi, specchio, cornice, filo alcantara, 280 × 300 × 400 cm). Commissionato da  Alcantara S.p.A. Veduta dell'installazione alla mostra Chiharu Shiota: The Soul Trembles, MAO Museo d’Arte Orientale, Torino, 2025. Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale.
Chiharu Shiota, Reflection of Space and Time (2018; vestiti bianchi, specchio, cornice, filo alcantara, 280 × 300 × 400 cm). Commissionato da Alcantara S.p.A. Veduta dell’installazione alla mostra Chiharu Shiota: The Soul Trembles, MAO Museo d’Arte Orientale, Torino, 2025. Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale.
Chiharu Shiota, Accumulation - Searching for the Destination (2014-2025; valigie, motori, corda rossa, dimensioni variabili). Veduta dell'installazione alla mostra Chiharu Shiota: The Soul Trembles, MAO Museo d’Arte Orientale, Torino, 2025. Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale
Chiharu Shiota, Accumulation - Searching for the Destination (2014-2025; valigie, motori, corda rossa, dimensioni variabili). Veduta dell’installazione alla mostra Chiharu Shiota: The Soul Trembles, MAO Museo d’Arte Orientale, Torino, 2025. Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale

Oltre alle grandi installazioni di cui si è parlato, la mostra ripercorre cronologicamente attraverso dipinti, fotografie e video la produzione di Chiharu Shiota fin dagli esordi per sottolineare e far conoscere ai visitatori i temi e i concetti che l’artista ha espresso tramite i diversi medium della pittura, della performance e dell’installazione. Si parte dagli albori, da un dipinto raffigurante una farfalla su un girasole che la piccola realizzò all’età di appena cinque anni; vi è poi un dipinto astratto a olio (dopo questo non ne realizzò altri) che lei eseguì al primo anno della Kyoto Seika University, dove studiò pittura dal 1992 al 1996, e per il quale si sentì frustrata per il fatto di aver dato priorità al colore e alla tecnica senza esprimere alcun contenuto. È durante il periodo di studio in Australia intrapreso durante l’università, presso la School of Art dell’Australian National University di Canberra, che una notte Shiota diventò lei stessa un dipinto: appese una tela alla parete, poi si cosparse completamente di colore a olio rosso, incluso il volto, e infine si avvolse un’altra tela sul corpo. Le foto di questo “atto di liberazione” del 1994, come lei lo ha definito, raccontano quella performance. “È stato il primo lavoro che non fosse un’opera d’arte curata e rifinita ma piuttosto un atto di espressione corporea in cui avevo messo tutto il mio essere”, spiega, diventando così parte dell’opera d’arte.

Vi sono inoltre le fotografie che documentano la prima opera in cui l’artista utilizzò per la prima volta i fili di lana, poi diventati tratto distintivo delle sue installazioni: la performance-installazione From DNA to DNA, anch’essa del 1994, in cui Shiota si distese nuda per terra e si avvolse di fili rossi che la collegavano a un grande intreccio degli stessi che partiva dal soffitto di un ambiente interno. Fino a che punto la trasmissione del DNA influisce su ciò che accade nella mente della persona che crea l’opera d’arte? Questa la riflessione che generò l’opera. C’è stato comunque un periodo in cui cercò di utilizzare materiali diversi dai fili di lana, come dimostrano le installazioni Flow of Energy o Similarity con canne di bambù, Accumulation con ghiande, One Line con baccelli di fagioli, cominciando anche a riflettere sull’affinità che esiste tra l’ordine presente in natura e quello interno al corpo umano. Un tema su cui tornò a riflettere anche negli anni Duemila, quello del legame con la terra e la natura (simboli sia post-mortem che di origine della vita), con diverse altre performance, come quella presentata in Islanda durante la quale avvolse fili rossi attorno al proprio corpo creando una situazione di fusione tra lei stessa e il paesaggio. Alcuni anni prima, nel 1997, un workshop della pioniera della performance art Marina Abramović che si tenne in un castello nel nord della Francia la portò anche a sdraiarsi, completamente nuda, in una cavità scavata in un terreno in pendenza, da cui doveva tentare di uscire con non poche difficoltà: il senso della performance era evocare il senso di appartenenza a un paese molto lontano da quello in cui viveva e l’incapacità di tornare nel paese d’origine. Un video del 2010, Wall, visibile in mostra, la presenta ancora una volta nuda attraversata da “vasi sanguigni” intrecciati al suo corpo per riflettere “sull’esistenza degli esseri umani che non riescono a superare le barriere” dell’etnia, della nazione, della religione, ma anche della famiglia, dove queste barriere/confini sono paragonabili a muri.

Esistono dunque, come questa mostra continua ad evidenziare, legami con i propri ricordi, tra la propria anima e il corpo, con la natura, con il proprio paese d’origine, ma anche con gli oggetti che ritroviamo nella vita di tutti i giorni, come sottolineato dall’installazione Connecting Small Memories dove fili rossi collegano veramente ogni cosa, ma soprattutto con gli altri individui (il filo rosso del destino che nella credenza dell’Asia orientale unisce le persone) e con l’universo intero: in occasione della mostra l’artista ha realizzato una serie di nuovi disegni in cui Shiota esprime la connessione tra gli esseri umani e il cosmo, oltre alla riflessione su quanto i primi siano piccoli di fronte alla vastità dell’universo e quindi sul significato dell’esistenza umana. Una riflessione profonda che è scaturita in lei anche a fronte della ricomparsa del cancro durante la preparazione del progetto espositivo The Soul Trembles nel 2019.

Chiharu Shiota, Becoming painting (1994; performance, installazione, stampe digitali, foto: Ben Stone)
Chiharu Shiota, Becoming painting (1994; performance, installazione, stampe digitali, foto: Ben Stone)
Chiharu Shiota, Wall (2010; video alta definizione, colore, suono, durata 3'39''; Collezione dell'artista)
Chiharu Shiota, Wall (2010; video alta definizione, colore, suono, durata 3’39’’; Collezione dell’artista)
Chiharu Shiota, Try and go home (1997; performance, fotografie digitali montate in video a scorrimento, foto Frank Begemann)
Chiharu Shiota, Try and go home (1997; performance, fotografie digitali montate in video a scorrimento, foto Frank Begemann)
Disegni di Chiharu Shiota. Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale
Disegni di Chiharu Shiota. Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale
Disegni di Chiharu Shiota. Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale
Disegni di Chiharu Shiota. Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale
Chiharu Shiota, Connecting Small Memories (2019; tecnica mista, dimensioni variabili). Veduta dell'installazione alla mostra Chiharu Shiota: The Soul Trembles, MAO Museo d’Arte Orientale, Torino, 2025.  Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale.
Chiharu Shiota, Connecting Small Memories (2019; tecnica mista, dimensioni variabili). Veduta dell’installazione alla mostra Chiharu Shiota: The Soul Trembles, MAO Museo d’Arte Orientale, Torino, 2025. Foto: Giorgio Perottino. Su concessione di MAO Museo d’Arte Orientale.
Chiharu Shiota, Inside - Outside (2019; cornici di finestre, dimensioni variabili). Veduta dell'installazione alla mostra Chiharu Shiota: The Soul Trembles, MAO Museo d’Arte Orientale, Torino, 2025. Foto: Finestre sull'Arte
Chiharu Shiota, Inside - Outside (2019; cornici di finestre, dimensioni variabili). Veduta dell’installazione alla mostra Chiharu Shiota: The Soul Trembles, MAO Museo d’Arte Orientale, Torino, 2025. Foto: Finestre sull’Arte

L’ultima sezione è dedicata infine ai progetti di scenografia teatrale: dal 2003 a oggi Shiota ha ideato le scenografie di nove opere e produzioni teatrali; è quindi considerato un capitolo importante nella produzione dell’artista. Tra le sue scenografie si notano nelle fotografie esposte anche trame di telai di finestre, che rimandano all’installazione Inside - Outside, riflessione tra sfera intima e mondo esterno, visibile in mostra nel corridoio che conduce all’inizio del percorso espositivo.

Dopo questo lungo viaggio attraverso la produzione dell’artista giapponese contemporanea che ha rappresentato il Giappone alla 56ª Biennale di Venezia nel 2015, si comprende allora come The Soul Trembles non sia semplicemente una mostra spettacolare, né un trionfo di immagini pensate per circolare sui social. È piuttosto un’esperienza che invita i visitatori a interrogarsi in profondità su ciò che ci tiene uniti: una riflessione sul filo invisibile che lega ogni individuo alla propria storia, agli altri e al mondo che abita. Giunto anche in Italia dopo una lunga tournée internazionale da Tokyo a Parigi, il progetto espositivo al MAO di Torino, per la prima volta allestito in un museo d’arte asiatica, dimostra che ciò che affascina in queste opere e installazioni non è solo la materia che le compone, ma ciò che queste riescono a evocare e a ricordare che, come i fili che attraversano e trasformano gli ambienti del museo, anche noi siamo intrecci di relazioni e di legami. Ora non resta che attendere la monografica The Sense of Snow in programma al MUDEC di Milano per immergerci ancora nella creazione artistica di Chiharu Shiota.


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.




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