Nei secoli più oscuri, un lampo di luce. Gli affreschi bizantini di Castelseprio

Antiquitates

2012, Terza puntata

Scoperti soltanto nel 1944, gli affreschi della chiesa di Santa Maria foris Portas di Castelseprio (comune lombardo tra Varese e Busto Arsizio) sono uno dei cicli altomedievali più importanti che ci siano rimasti, ma allo stesso tempo più enigmatici, perché sono molte le questioni da risolvere. Non sappiamo chi li abbia commissionati, né chi li abbia realizzati e sul contenuto del programma iconografico possiamo solo fare ipotesi... !


Piccolo oratorio immerso nei boschi del varesotto, la chiesa di Santa Maria foris Portas a Castelseprio sarebbe rimasta sconosciuta e anonima agli occhi del mondo se, nella primavera del 1944, uno storico locale non avesse scoperto, sotto uno strato di intonaco, uno dei più importanti cicli di affreschi altomedievali che siano conservati, e che è testimone della più fine pittura greca in Occidente prima del nuovo millennio.

“Un monumento della pittura medioevale che sarà circondato d’incertezze e di dubbi ma non mai diminuito nell’immediata impressione di sorprendente opera d’arte”. Così definì il ciclo nel 1948 Pietro Toesca, insigne storico dell’arte, nonché una delle tante autorità a livello mondiale che si sono espresse in merito alle tante questioni che sorsero a partire dalla riscoperta degli affreschi e che, a tutt’oggi, rimangono senza una risposta definitiva. Chi li ha voluti? Chi li ha realizzati? Quando sono stati eseguiti? A chi dovevano rivolgersi e quale messaggio dovevano trasmettere?

Cominciamo dalle evidenze e da quello che non può essere messo in discussione. Una zona della parete è percorsa da una serie di graffiti (sicuramente aggiunti quando il ciclo era già stato completato) tra i quali si identifica il nome di un Ardericus, arcivescovo di Milano negli anni 938-945. Abbiamo dunque un terminus ante quem, una data entro la quale sicuramente gli affreschi erano stato eseguiti. Tuttavia, le ipotesi che sono state proposte per una possibile datazione dell’opera spaziano entro un arco temporale che va dal VI al X secolo, a seconda che si vogliano vedere tali pitture murali come “ancora” o “di nuovo” ellenistiche.

Il ciclo si dispiega nella zona dell’abside e sulla faccia a levante della parete che la divide dal resto del corpo della chiesa. Data l’impossibilità da parte dei fedeli di osservare totalmente le scene dipinte, si può supporre che si trattasse di un ciclo illustrativo che doveva comunicare essenzialmente con chi si trovava nella parte della chiesa riservata a coloro che svolgevano una parte attiva durante gli uffici religiosi.

Gli affreschi si svolgono su tre ordini. Le scene supersiti sul primo ordine, a partire dall’alto, mostrano l’Annunciazione con la Visitazione, la Prova delle acque amare, il Sogno di Giuseppe e il Viaggio di Maria e Giuseppe a Betlemme; tre medaglioni, di cui sopravvive solo quello centrale che raffigura Cristo benedicente a mezzobusto, dividevano la fascia dipinta in tre zone. Lungo l’ordine mediano, nel quale sono tre finestroni a creare altrettanti blocchi narrativi, sopravvivono la Presentazione di Cristo al Tempio, la Natività con l’Annuncio ai pastori e l’Adorazione dei Magi. Infine, l’ultimo ordine – quasi completamente perduto – è decorato con archi chiusi da un tendaggio che pende da un’asta su cui si posano degli uccelli. Gli archi sono sovrastati da una copertura a cassettoni sopra la quale corre un’asta avvolta da un nastro; nella parte centrale di quest’ultimo ordine, un libro sacro è appoggiato su un trono coperto da un tessuto. La parete dell’arco che divide la zona absidale da quella dei fedeli contiene, oltre a parte delle narrazioni elencate, due angeli corredati di globo e scettro che volano affiancando l’Etimasia, ovvero la rappresentazione di un trono apparecchiato con le insegne regali di Cristo.

Nonostante la perdita di alcune parti (e quindi di alcuni episodi) degli affreschi, si può notare che le fonti letterarie che aiutano a decifrare le scene sono, oltre ai vangeli canonici, i cosiddetti vangeli apocrifi (cioè quei testi che narrano episodi della storia sacra legata alla vita di Cristo che furono esclusi dal Canone della Bibbia perché ritenuti fasulli e pericolosi; nonostante tale “bando” molti degli episodi raccontati in tali testi erano conosciuti e sono rimasti a tutt’oggi nella tradizione cristiana). In particolare sono stati utilizzati il vangelo dello pseudo-Matteo e il protovangelo di Giacomo.

È verosimile pensare che la scelta degli episodi rappresentati sia da riferire ad un dotto programma dogmatico che si concentra sul mistero dell’incarnazione di Cristo come Dio, figlio di Dio. Protagonisti delle storie affrescate a Castelseprio sono, infatti, coloro che testimoniano la divinità di Gesù: l’angelo annuncia a Maria l’immacolata concezione per opera dello Spirito Santo, mentre in un’altra scena rassicura Giuseppe sulla purezza della sposa. Elisabetta abbraccia Maria accarezzandone il ventre e, allo stesso tempo, lodandone la santità. La prova delle acque amare veniva richiesta per verificare la veridicità di una testimonianza: se un bugiardo l’avesse gustata, dopo aver compiuto sette giri intorno all’altare, avrebbe ricevuto da Dio un qualche segno sulla faccia. Durante il viaggio a Betlemme, Maria annuncia la visione di due popoli, uno triste e l’altro gioioso che simboleggiano coloro che non crederanno nel Messia e quelli che, invece, lo riconosceranno. Nella Natività viene rappresentato l’episodio della levatrice che, sospettosa, vuole verificare la verginità di Maria e il cui braccio viene seccato come punizione divina. I pastori, così come i Magi, sono i primi testimoni della divinità di Gesù. Infine, il vecchio Simeone, al quale era stata negata la morte fin quando non avesse visto il figlio di Dio, dopo aver tenuto in braccio Cristo nel Tempio si rallegra di poter lasciare il regno terreno.

La libertà di composizione, l’intenso realismo nella costruzione delle scene e degli scenari, la forte vicinanza tra queste pitture e gli schemi dell’arte classica, rendono il ciclo di Castelseprio una vetta incomparabile della pittura bizantina di grande formato. La perdita della maggior parte dei cicli pittorici bizantini anteriori al X secolo e la comunanza con stilemi presenti in altre opere, alcune delle quali di difficile datazione o realizzate in secoli differenti (come ad esempio il mosaico pavimentale del palazzo imperiale di Costantinopoli, il mosaico del catino absidale della basilica di Santa Sofia a Costantinopoli, il cosiddetto Salterio di Parigi del X secolo, gli affreschi del VII secolo della chiesa romana di Santa Maria Antiqua etc.), rendono difficoltoso il tentativo di ancorare l’opera ad un preciso momento storico. Le ipotesi che sono state avanzate riguardo il periodo di realizzazione degli affreschi sono principalmente tre. La prima, proposta dagli scopritori e primi studiosi del ciclo, vorrebbero attive nella zona del Seprio maestranze orientali che, al seguito di missionari inviati da Roma, promuovevano una campagna anti-ariana (i longobardi accettarono di convertirsi al cristianesimo seguendo la dottrina ariana che negava la doppia natura, umana e divina, di Cristo). Una seconda ipotesi, quasi completamente sorpassata, vede gli affreschi realizzati entro il primo terzo del X secolo da maestranze provenienti da Costantinopoli a seguito degli intensi rapporti diplomatici che si erano instaurati in quel periodo tra il regno d’Italia guidato da Ugo di Provenza e la dinastia macedone. La terza e più recente ipotesi, che al momento risulta essere la più accreditata, assegna la realizzazione del ciclo al pieno IX secolo, all’interno della sfera culturale carolingia e sul finire della controversia scaturita in Oriente riguardo l’utilizzo e il culto delle immagini.

Bibliografia:

  1. G. P. Bognetti – G. Chierici – A. De Capitani d’Argago, Santa Maria di Castelseprio, Milano 1948
  2. A. Grabar, Les Fresques de Castelseprio, in “Gazzette des Beaux-arts” 37 (1950), pp. 107-114
  3. K. Weitzmann, The Fresco Cycle of S. Maria Di Castelseprio, Princeton 1951
  4. C. Bertelli, Sant’Ambrogio da Angilberto II a Gotofredo, in Il millennio ambrosiano. La città del vescovo dai Carolingi al Barbarossa, Milano 1987, pp. 16-81

Luca Cipriani








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