Oggi, se ci pensiamo, non è inconsueto imbattersi in galleriste d’arte: accolgono i visitatori nelle loro gallerie, in Italia così come all’estero, al pari dei loro colleghi galleristi, e anche in occasione delle tante fiere d’arte che si svolgono nel corso dell’anno nelle varie città italiane e nel mondo non rappresentano una rarità. Il mondo lavorativo fortunatamente si è evoluto in questo senso e una professione che, non più lontano del secolo scorso, era considerata una prerogativa soprattutto maschile, oggi è diventata universale. L’esempio più celebre di gallerista e collezionista, tuttora vista come un’eccezione per l’epoca in cui visse, il Novecento, è sicuramente l’americana Peggy Guggenheim, che a soli trentanove anni aprì la sua prima galleria d’arte a Londra, estendendosi poi dopo quattro anni a New York, per poi infine innamorarsi perdutamente di Venezia tanto da trasferirsi e trasferire qui la sua intera collezione dal 1949 fino alla sua scomparsa nel 1979. E durante tutti questi anni, dagli inizi della sua carriera fino alla morte, fu una vera mecenate, si circondò costantemente di arte e di artisti famosi ma anche di quelli fino ad allora sconosciuti, contribuendo lei stessa, attraverso la sua attività, le mostre temporanee e le acquisizioni, a far conoscere tanti di questi ultimi; per fare qualche esempio, Mark Rothko, Robert Motherwell, e Jackson Pollock, il caso più eclatante, ma anche Hans Arp, Constantin Brâncuși, Emilio Vedova. Prima della famosissima Peggy Guggenheim però, il Novecento vide un’altra gallerista, collezionista e mecenate che nel corso della sua esistenza si circondò di arte e di artisti, contribuendo per quasi quarant’anni alla scoperta e al successo di pittori e scultori entrati poi nell’Olimpo della storia dell’arte: Berthe Weill (Parigi, 1865 – 1951).
Tuttavia, nonostante il suo ruolo fondamentale nella diffusione dell’arte moderna e la sua grande influenza sull’arte del periodo, la sua storia è stata ingiustamente quasi dimenticata o comunque rimane ancora oggi poco conosciuta. È quindi per far riscoprire al grande pubblico la figura di questa importante mercante d’arte che anticipò i tempi, in un’epoca dominata dagli uomini, che il Musée de l’Orangerie di Parigi ripercorre in un’articolata mostra di circa cento opere, intitolata Berthe Weill. Galeriste d’avant-garde (“Berthe Weill. Gallerista d’avanguardia”, a cura di Sophie Eloy, Anne Grace, Lynn Gumpert e Marianne Le Morvan) e visitabile fino al 26 gennaio 2026, la sua attività e la sua carriera, rivelandone con chiarezza sia la personalità sia il cruciale contributo. “È una mostra che si propone di restituirle il posto che le spetta”, secondo le parole della direttrice del Musée de l’Orangerie Claire Bernardi, e l’intento, secondo chi scrive, è ben riuscito. Ma ripercorriamo la sua storia seguendo il flusso della mostra e le opere esposte.
Nata a Parigi il 20 novembre 1865 in una modesta famiglia ebrea di origini alsaziane, Berthe Weill iniziò il suo percorso nell’arte giovanissima, apprendendo il mestiere presso il cugino, il mercante di stampe e quadri Salvator Mayer, grazie al quale ebbe l’opportunità di conoscere sia i protagonisti della scena artistica parigina sia i collezionisti. Dopo la morte di Mayer nel 1896, Berthe aprì la sua prima bottega di antiquariato nel vivace quartiere di Pigalle, ai piedi di Montmartre, dove molti artisti d’avanguardia vivevano e lavoravano in condizioni precarie. Fin da subito dimostrò audacia non solo artistica ma anche politica: nel 1898, in pieno Affaire Dreyfus, prese posizione esponendo in vetrina la grande tela Zola aux outrages di Henry de Groux, un gesto che le causò minacce e insulti, rivelando subito così la sua natura combattiva. I primi anni furono economicamente difficili: dovette rendere varia l’attività della sua bottega, vendere libri ed esporre incisioni accanto a opere di illustratori e caricaturisti, per far entrare un maggior guadagno.
Nel 1901, a trentasei anni, con l’aiuto del mercante catalano Pere Mañach, che promuoveva la giovane generazione spagnola, trasformò la sua bottega nella Galerie B. Weill, nascondendo il suo nome di battesimo, probabilmente per mascherare il fatto che fosse una donna a dirigere l’attività. La inaugurò il 1° di dicembre. La sua acuta sensibilità emerse immediatamente: Mañach le aveva presentato Pablo Picasso appena arrivato da Barcellona, e Weill non solo acquistò le sue opere, ma ne vendette una quindicina prima ancora che l’artista tenesse la sua personale presso la galleria di Ambroise Vollard. Fu di fatto la sua prima mercante. In mostra si possono ammirare alcuni dipinti di Picasso che lei acquistò, tra cui La Mère, Nature Morte e la Chambre bleu, opera quest’ultima appartenente al “periodo blu”.
Divenne nota come scopritrice di talenti emergenti, vendendo nell’aprile del 1902 per la prima volta un quadro di Henri Matisse nella sua galleria (qui esposte di Matisse la Première nature morte orange e Le lit) e stringendo amicizia con Raoul Dufy (qui presenti, Paysage de Provence e La Rue pavoisée). La sua determinazione era “incrollabile”, come lei stessa la definì nelle sue memorie pubblicate nel 1933 con il titolo di Pan! dans l’oeil... Ou trente ans dans les coulisses de la peinture contemporaine 1900-1930, da cui sono tratte le frasi più significative che la gallerista scrisse e che fanno da titolo alle diverse sezioni della mostra parigina.
La Galerie B. Weill svolse inoltre un ruolo importante nel riconoscimento del Fauvismo. Già dal 1902, prima della loro consacrazione-scandalo al Salon d’Automne del 1905 per via dei colori troppo accesi e della semplificazione delle forme, la mercante ospitava infatti regolarmente mostre di Maurice de Vlaminck, André Derain, Albert Marquet e di un gruppo di allievi di Gustave Moreau riuniti attorno a Henri Matisse. Ne sono esempi in mostra i dipinti di Raoul de Mathan, di Pierre Girieud, di Kees Van Dongen. Scoprì poi in occasione del Salon des Indépendants del 1905 il talento e l’indipendenza della pittrice Émilie Charmy che in ventotto anni espose nella Galerie B. Weill trenta volte, con la quale strinse un rapporto di amicizia che durò tutta la vita (è qui esposto un suo autoritratto e un ritratto con mani in tasca e orologio da polso che l’artista realizzò della sua mecenate e amica Berthe).
Il suo sostegno alle avanguardie non si fermò qui: diede spazio anche al Cubismo, nonostante le difficoltà nell’epoca in cui la disputa estetica mascherava spesso considerazioni di natura nazionalista. Weill sostenne infatti sin dagli esordi molti artisti, il cui lavoro includeva un periodo cubista, esponendo prima del conflitto mondiale quasi tutti i principali esponenti del Cubismo, e organizzando, nel 1914, mostre personali per Jean Metzinger e Diego Rivera (qui esposta la sua Tour Eiffel), dei quali è possibile vedere opere in mostra, affianco a quelle di André Lhote, Louis Marcoussis e Alice Halicka, che Georges Braque definì “cubisti”.
Nei primi decenni del Novecento, Parigi si affermò come polo di attrazione internazionale per gli artisti provenienti dall’Europa, dai territori dell’ex Impero austro-ungarico fino agli Stati Uniti. L’attività di Berthe Weill si inserisce in questo contesto dinamico, contribuendo in modo decisivo a far emergere personalità artistiche spesso marginalizzate, segnate da condizioni di precarietà economica e da forme di esclusione sociale. Animata da una curiosità indipendente e da uno sguardo personale, Weill sceglieva gli artisti senza aderire a programmi teorici, ma affidandosi piuttosto alla propria sensibilità e alla qualità delle opere. Mostra dopo mostra, si opponeva inoltre a una visione conservatrice dell’arte francese, spesso intrisa di chiusure nazionalistiche, xenofobe e antisemite.
Ma soprattutto la sua attenzione verso i giovani artisti rimase salda nel tempo, traducendosi in un impegno continuo nel promuoverli attraverso esposizioni dedicate. Vediamo quindi in questa sezione un bel nudo di Suzanne Valadon (da donna, Weill ebbe un’attenzione particolare per le artiste), la Vie en rose di Raoul Dufy, che l’artista realizzò nel 1931 per celebrare i trent’anni della Galerie B. Weill, e dipinti del pittore bulgaro Jules Pascin che dopo il loro incontro avvenuto nel 1910 lo espose nella sua galleria ben ventitré volte.
Nel 1917, la gallerista si indebitò per spostarsi in uno spazio più grande. Fu in questa nuova sede, al 50 di rue Taitbout, che si verificò uno degli eventi più clamorosi della sua carriera: su sollecitazione del poeta d’origine polacca Léopold Zborowski, organizzò l’unica mostra personale dedicata ad Amedeo Modigliani quando ancora il pittore livornese era in vita. L’esposizione, che presentava trentadue opere tra cui quattro nudi diventati poi celebri, fu interrotta da uno scandalo a causa dei peli pubici visibili nei dipinti. Il commissario di polizia locale intervenne, ordinando di “enlever toutes ces ordures!” (“togliere tutte queste schifezze”) per “oltraggio al pudore”. Nonostante il clamore, l’esposizione fu un fallimento commerciale, ma Weill, ammirando la pittura di Modigliani, acquistò cinque opere per sostenerlo. Sono presenti in mostra due dipinti di Modigliani, di cui un audace nudo di donna sdraiata su un letto con al collo una collana di corallo, ma non si sa esattamente se questo era effettivamente tra i quattro nudi presentati all’esposizione menzionata, per via della mancata precisione del catalogo di quella mostra. È esposta anche La Chambre Bleu di Suzanne Valadon, altro quadro che andava contro le convenzioni del tempo per la sua modernità e che Weill espose nella sua galleria nel 1927. Apprezzò poi la pittura di Odette des Garets, di Georges Émile Capon e di Georges Kars, come testimoniato da loro opere qui esposte.
Nel 1924 organizzò la sua prima mostra collettiva, che da quel momento si sarebbe tenuta ogni fine dell’anno su un tema specifico. Festeggiò due anni dopo i venticinque anni di attività con una grande festa in maschera, qui documentata da una gigantografia che ritrae la gallerista, riconoscibile dal monocolo che porta, in mezzo ai suoi artisti e i tanti invitati, ma il crollo di Wall Street del 1929 la costrinse a mettere in vendita la sua collezione personale. Alla fine degli anni Trenta decise di esporre artisti che non aveva ancora promosso, come Otto Freundlich (qui la sua Composition del 1939, anno in cui il pittore venne internato e quattro anni dopo ucciso in un campo di sterminio), e spostò la sua attenzione verso l’astrazione.
La sua carriera quarantennale fu drammaticamente interrotta dalla storia: per aggirare le leggi contro gli ebrei, che vietavano loro di gestire attività commerciali, mise un’amica a capo della galleria, prima della sua chiusura definitiva nel 1940. Weill, dopo essersi fratturata il femore nel 1941, visse nascosta e in grande povertà, probabilmente nello studio dell’amica Émilie Charmy. Solo nel 1946 venne organizzata una grande asta di beneficenza, con oltre ottanta opere donate da amici, artisti e persino galleristi concorrenti, per risollevarla dalla miseria. Nel 1948, fu nominata Cavaliere della Legione d’onore. Scomparve il 17 aprile 1951, nella sua casa, all’età di ottantacinque anni. In quarant’anni di attività, Berthe Weill sostenne più di trecento artisti e organizzò centinaia di mostre per contribuire alla loro causa. Nonostante ciò, la sua storia è oggi quasi del tutto caduta nell’oblio. È stata una gallerista d’avanguardia che ha dedicato quarant’anni della sua vita a sostenere gli artisti del suo tempo con un entusiasmo e una perseveranza senza pari, tenendo sempre a mente il suo proposito: “Place aux jeunes”, diceva.
Dedicarle una mostra come quella del Musée de l’Orangerie significa perciò restituire il giusto tributo a una pioniera che ha combattuto in prima linea a favore dell’arte e degli artisti, in un’epoca tutta al maschile, con l’augurio che la sua riscoperta non venga ancora oscurata.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.
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