È di nuovo visibile al pubblico, nella sua completezza, l’armatura giapponese custodita al Museo Pietro Canonica a Villa Borghese, Roma. L’opera, databile tra l’ultimo quarto del XVII secolo e la metà del XIX, è tornata in esposizione dopo un articolato intervento conservativo, durato sei mesi e curato dalla Sovrintendenza Capitolina. Collocata in un nuovo allestimento nella Sala del Camino, la rara armatura è ora inserita in una teca progettata per garantire condizioni conservative ottimali, affiancata da un supporto strutturale che ne consente una lettura coerente e dettagliata, senza alterarne la stabilità.
L’armatura, composta da numerosi elementi che rivestono interamente il corpo, è uno dei pochi esemplari conservati in Italia all’interno di una collezione pubblica. Fa parte della raccolta personale di Pietro Canonica (Moncalieri, 1869 - Roma, 1959), scultore piemontese e collezionista, che nell’arco della sua lunga vita riunì oggetti e cimeli d’arte provenienti da varie tradizioni. Il manufatto presenta una struttura complessa, composta da elementi in metallo, cuoio, osso, seta, legno, lino e lacca urushi. Tra i vari componenti spiccano l’elmo MABIASI, con due prominenze bronzee sporgenti, i parabracci, gli schinieri in lastre di ferro e le scarpe in cuoio. L’armatura era gravemente compromessa, a causa dell’azione combinata di agenti atmosferici, materiali deperibili, vecchi interventi manutentivi inadeguati e un supporto espositivo non idoneo.
Il restauro, avviato nel luglio del 2024 e concluso a dicembre dello stesso anno, ha previsto un’approfondita fase di studio e confronto con alcune delle principali istituzioni italiane esperte nella conservazione di armature orientali, tra cui l’Armeria Reale di Torino, il Museo Stibbert di Firenze, il Museo d’Arte Orientale di Venezia e il Museo Nazionale d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci” di Roma. Data la rarità del manufatto e la scarsità di precedenti restauri analoghi nel panorama italiano, l’intervento si è configurato come un progetto inedito, caratterizzato da una forte dimensione sperimentale e interdisciplinare.
Durante le analisi sono emersi importanti elementi conoscitivi sull’armatura. All’interno dell’elmo è stata rinvenuta la firma dell’autore Yoshinaga, mentre sul mento della maschera un’iscrizione rimanda alla scuola Myōchin, una delle più note tradizioni di forgiatura del Giappone feudale. L’alta qualità esecutiva di alcune componenti convive con elementi stilistici eterogenei, che indicano come l’armatura sia stata oggetto di modifiche successive. Si tratta, in effetti, di un corredo “ibrido”, assemblato e rimaneggiato nel tempo, secondo una pratica diffusa in epoca moderna e tardo-moderna: molte armature da samurai venivano ristrutturate o arricchite nel corso della loro esistenza per motivi funzionali, estetici o collezionistici.
Alcune aggiunte possono essere ricondotte al revival antichizzante sviluppatosi in Giappone durante il XVIII secolo. Altre trasformazioni sarebbero da collegare al periodo post-riforma Meiji, quando la soppressione della casta samuraica, avvenuta negli anni Settanta dell’Ottocento, spinse molte famiglie a vendere o modificare i propri corredi. È quindi plausibile che l’armatura, prima di entrare nella raccolta Canonica, sia transitata sul mercato antiquario, dove veniva spesso integrata con elementi coevi o ricostruiti per restituire un’immagine completa e coerente.
Dal punto di vista metodologico, il restauro ha offerto anche un’occasione di confronto tra due approcci differenti: quello occidentale, orientato alla conservazione del materiale originale, e quello giapponese, che privilegia la sostituzione periodica di componenti soggetti a degrado, in particolare quelli tessili e le lacche. Il compromesso raggiunto ha portato alla conservazione delle parti recuperabili e alla sostituzione di quelle deteriorate con materiali realizzati secondo tecniche compatibili. In alcuni casi, come per cordoncini, fettucce o fodere, si è fatto ricorso a manifatture giapponesi specializzate. Altri materiali sono stati riprodotti in Italia su modello degli originali.
L’intervento ha restituito all’armatura un aspetto leggibile, conservandone al contempo le specificità storiche e tecniche. L’inserimento in una nuova teca, accompagnata da un totem esplicativo e da un QR code che consente l’accesso a un video tridimensionale sull’opera e sul restauro, ha rafforzato anche l’aspetto comunicativo e didattico dell’allestimento. Il ritorno dell’armatura al pubblico sarà celebrato mercoledì 18 giugno con una Giornata di Studio organizzata dalla Sovrintendenza Capitolina presso il Museo Pietro Canonica. L’incontro, a ingresso libero fino a esaurimento posti, avrà inizio alle 16.30 e offrirà l’occasione per approfondire il lavoro svolto, confrontare metodologie conservativo-didattiche e collocare l’oggetto nel suo più ampio contesto storico e museale.