Vi spiego perché in questa fase storica una fiera d’arte contemporanea come ArtVerona è molto meglio di Frieze a Londra. Nonostante quest’anno la fiera londinese sembri apparentemente rilanciata.
Veniamo da un periodo storico, gli ultimi dieci-quindici anni, caratterizzato da una crisi profonda dell’arte contemporanea: linguaggi derivativi, neomanierismi, IKEA evoluta, sindrome del giovane Indiana Jones, marginalità degli artisti costretti a diventare operai delle pubbliche relazioni e burocrati della creatività per poter accedere alle fiere, spesso costringendo tutti a gonfiare i prezzi a caso. I collezionisti del contemporaneo non comprano non perché non abbiano denaro o perché ci siano le instabilità internazionali, ma perché non trovano qualità. Altri si autoconvincono a comprare qualcosa per partecipare a un club e poter diventare piccoli paladini dell’arte contemporanea, ma anche costoro, nel momento in cui hanno finito di comprare quei quattro o cinque artisti di riferimento, ovviamente non comprano più. A livello internazionale questo ha voluto dire grandi speculazioni, spesso su artisti provenienti dalle periferie del mondo e quindi di seconda e terza generazione, e che oggi vivono in occidente. Prezzi assurdi che sono diventati ingiustificabili e che hanno paralizzato il mercato del contemporaneo.
In questa situazione, una fiera come Frieze, che ha prezzi molto alti e spesso molto pretenziosi, conserva ancora le scorie di questi ultimi dieci-quindici anni. Infatti le gallerie non possono dire improvvisamente “ci siamo sbagliati”: quindi, per uscire da questa fase, devono ancora mettere in atto dinamiche speculative in cui non c’è spazio per la qualità, e sono ovviamente costrette a portare in fiera opere molto costose per giustificare il costo della fiera e il blasone della galleria. Per non parlare delle barriere all’entrata che ovviamente non permettono di far accedere alla fiera la sperimentazione e la qualità più fresca. Cosa che invece ArtVerona permette e che mi auguro di incontrare in fiera.
Se la malattia è grave, sull’arte contemporanea (non sto parlando di moderno o di arte degli anni Novanta) dobbiamo ripartire da zero una fiera curata, dinamica, intelligente e sostenibile come Art Verona, è l’innesco e il varco strategico per tentare una ripartenza. Ma attenzione: la qualità della fiera non si fa dentro la fiera. La fiera è il luogo dove raccogliere quello che si è fatto e seminato fuori. Quindi ArtVerona fornisce l’opportunità di sperimentare e di migliorare la qualità ma questo lavoro deve essere fatto nell’anno precedente la fiera.
E qui nasce il problema: perché dopo dieci-quindici anni di deserto è difficile trovare percorsi artistici di qualità che siano stati in grado di resistere, proteggersi e difendersi. Proprio da questa intuizione, nel 2016, è nata la Luca Rossi Art Academy e coaching, che probabilmente oggi, solo dopo otto anni, inizia a mostrare alcuni frutti (che presenteremo proprio ad ArtVerona). Ma noi siamo una goccia nel mare e paghiamo un percorso critico faticoso e spesso politicamente scorretto.
Il menù di artisti che troviamo in Italia e a livello internazionale è legato a un nuovo manierismo, a linguaggi derivativi, omologati, costretti in posture rigide e nostalgiche. Quindici anni abbiamo fatto nascere “Luca Rossi” come una sorta di tumore benigno, capace di bypassare i problemi del sistema nel momento in cui Luca Rossi veste tutti i ruoli del mondo dell’arte, e quindi l’artista, lo spettatore, il critico, il collezionista, il gallerista, ecc... come vedremo ad ArtVerona. Ma io sono stato costretto a questa degenerazione, sono stato costretto a creare questo ruolo ibrido per sopravvivere. Anzi: ho dovuto uccidere quello che ero per sopravvivere. Il guerriero più forte è quello che già in sé è morto.