Arezzo e il suo territorio: un’eredità viva tra arte, paesaggio e memoria


La posizione di Arezzo tra il nord e il sud della penisola, ha fatto sì che fosse un crocevia importante. L’aretino è stato uno dei luoghi nevralgici della civiltà etrusca. E i capolavori di artisti come Piero della Francesca, Giorgio Vasari e altri sono solo alcuni esempi dell’eredità che Arezzo ha saputo custodire gelosamente.

Per molti, Arezzo è semplicemente una città d’arte. In realtà, sarebbe una definizione riduttiva. Per lei, e per le tante città che punteggiano il suo territorio: Cortona, Poppi, Bibbiena, Anghiari, Sansepolcro e altre. Questo territorio è in realtà un punto tra cultura e memoria: l’aretino è forgiato da un’eredità che s’è accumulata in più di due millenni di storia. Incastonata tra le pieghe dell’Appennino e i morbidi rilievi della Val di Chiana, la posizione tra nord e sud della penisola italiana ha fatto dell’aretino, nei secoli, un crocevia di commerci, rotte, scambi culturali. Ma ciò che davvero distingue Arezzo è la sua capacità di aver raccolto, sedimentato e restituito un’eredità straordinaria, che si manifesta nel paesaggio, nell’architettura e nel tessuto culturale di un territorio che sembra non aver mai smesso di dialogare con il passato.

L’aretino fu un centro nevralgico della civiltà etrusca, come attestano i reperti conservati nel Museo Archeologico “Gaio Cilnio Mecenate” (Mecenate, il consigliere di Augusto da cui deriva il termine “mecenatismo”, era di Arezzo), e come ancora si percepisce tra i resti delle antiche mura e nelle necropoli disseminate nelle campagne. L’Etruria orientale, di cui Arezzo era uno dei cuori pulsanti, ha lasciato tracce indelebili: non solo nella materia, ma anche nel modo in cui il territorio continua a pensare se stesso, sospeso tra stratificazioni di tempo e identità.

Questa eredità etrusca si è poi trasformata, come spesso accade in Italia, in palinsesto. Le epoche successive (quella romana, quella medievale, il Rinascimento), non hanno cancellato, ma sovrapposto. Così, il volto attuale di Arezzo è frutto di una coesistenza di memorie. Le piazze raccontano secoli diversi, le chiese custodiscono visioni teologiche e artistiche che si rincorrono. Nella Basilica di San Francesco, gli affreschi di Piero della Francesca (La Leggenda della Vera Croce) non sono solo un capolavoro del Rinascimento italiano: sono una dichiarazione di continuità tra fede, spazio e bellezza. Arezzo ha poi dato i natali a Giorgio Vasari, figura chiave della cultura artistica cinquecentesca, autore delle Vite, architetto raffinato e artista innovativo (una recente mostra proprio ad Arezzo ha messo in evidenza quanto sia stata originale la sua arte e lo ha presentato per quello ch’è stato: un autentico inventore di iconografie), che contribuì a definire il gusto e il canone artistico dell’epoca. La sua casa, oggi museo (Casa Vasari), è testimonianza tangibile di un’eredità intellettuale tanto più preziosa quanto più consapevole delle proprie radici.

Arezzo, Piazza Grande. Foto: Alexander Henke
Arezzo, Piazza Grande. Foto: Alexander Henke
Arezzo, Piazza Grande. Foto: Alexander Henke
Arezzo, Piazza Grande. Foto: Alexander Henke
Per le strade di Arezzo. Foto: Bjorn Agerbeek
Per le strade di Arezzo. Foto: Bjorn Agerbeek
Arezzo, gli affreschi della Leggenda della Vera Croce di Piero della Francesca. Foto: Finestre sull'Arte
Arezzo, gli affreschi della Leggenda della Vera Croce di Piero della Francesca. Foto: Finestre sull’Arte
Casa Vasari. Foto: Ministero della Cultura
Casa Vasari. Foto: Ministero della Cultura

Ma l’eredità di Arezzo non è solo nella grande arte. È nella toponomastica che conserva echi etruschi e medievali, nelle campagne punteggiate di pievi romaniche, nella cultura orale che ancora racconta leggende e storie familiari, nella tradizione dell’artigianato orafo che affonda le sue radici nel mondo etrusco e prosegue con l’eccellenza contemporanea. “Arezzo”, scriveva Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia, “è, come tutti sanno, città di monumenti insigni. […]. È probabile che la maggior parte di coloro che visitano la provincia siano attratti dalle opere di Piero, ancora il principale protagonista. Ad Arezzo si osserva bene quello che ho già notato in Toscana, una mistura singolare di bollente e di vecchio, come in certe bottiglie di vino generoso che lasciano un pesante fondo. È una delle nostre province in cui la lotta di classe appare più viva e si sente incarnata nell’indole degli abitanti. Ma dopo averne avuto i segni, ci si incanterà a guardare due vecchi sagrestani che dormono su sedie di paglia, in simmetria come due statue, ai lati della porta di Santa Maria della Pieve dalla bellissima facciata barbarica. E San Francesco è tra le poche chiese d’Italia nel cui interno i contadini portano le biciclette, appoggiandole ai muri, nonostante l’opposizione dei frati. Andando per le strade, l’occhio si sofferma sulla bottega di un vinaio, dove il vino scorre abbondante; sono questi paesi di forti bevitori di vino rosso, e i proprietari di campagna sono tenuti per contratto a fornire ai trebbiatori fino a quindici litri al giorno, l’uso dell’acqua essendo ritenuto poco virile”.

Nel nostro tempo, com’è noto, spesso si tende a consumare il passato come fosse merce turistica. Arezzo, in questo senso, offre un esempio raro: quello di una città che custodisce, ma non cristallizza. Che tramanda, ma non replica. Una città che accoglie il frutto della sua eredità ma che è vissuta anzitutto dai cittadini, prima ancora che dai turisti, che forse devono ancora scoprirla del tutto. È una delle città più autentiche della Toscana. La sua eredità dunque non è solo oggetto di conservazione museale, ma linfa che alimenta la vita quotidiana, la scuola, l’economia, l’identità. È un’eredità viva che si trasmette come risorsa. E che chiede, a chi la attraversa, uno sguardo lento, capace di riconoscere nei dettagli (una pietra antica, un campanile, una pagina di Vasari) il dovuto rispetto e la dovuta attenzione.

È poi un’eredità diffusa, che permea valli, colline, borghi, e persino i silenzi delle campagne. Il territorio aretino è una trama continua in cui si intrecciano storia, paesaggio e cultura materiale, con una coerenza che resiste al tempo senza mai irrigidirsi. La Val di Chiana, ad esempio, non è solo uno scenario agricolo di straordinaria bellezza: è il risultato di secoli di ingegneria idraulica, di bonifiche iniziate dagli Etruschi e proseguite fino all’età moderna. Ogni campo, ogni fossato, ogni filare racconta una storia di lavoro e conoscenza tramandata, di rapporto antico tra l’uomo e la terra. Anche qui, l’eredità è qualcosa che si pratica, non solo che si osserva.

Lo stesso vale per la Valtiberina, la valle che guarda verso l’Umbria e che fu teatro di passaggi fondamentali tra Medioevo e Rinascimento. Sansepolcro, Anghiari, Monterchi: nomi legati a battaglie, a pievi romaniche, a opere d’arte come la Madonna del Parto di Piero della Francesca, che non è solo un capolavoro pittorico, ma un oggetto di devozione popolare, simbolo di un radicamento profondo nel territorio. Il Casentino, con i suoi boschi sacri, le abbazie millenarie come quella di Camaldoli o La Verna, è un altro tassello dell’identità aretina: qui natura e spiritualità si sono incontrate, e ancora oggi si percepisce un’eredità che è insieme materiale e immateriale, fatta di silenzi, di architetture essenziali, di percorsi lenti e meditativi.

Anghiari. Foto: Finestre sull’Arte
Anghiari. Foto: Finestre sull’Arte
Piero della Francesca, Madonna del Parto (1450-1465 circa; affresco staccato, 260 x 203 cm; Monterchi, Musei Civici Madonna del Parto)
Piero della Francesca, Madonna del Parto (1450-1465 circa; affresco staccato, 260 x 203 cm; Monterchi, Musei Civici Madonna del Parto)

In questi paesaggi, l’eredità non è soltanto quella degli artisti o dei santi, ma quella delle comunità che hanno abitato e modellato questi luoghi. È nei terrazzamenti che seguono il disegno della collina, nei borghi che conservano il tessuto urbano medievale, nelle feste popolari, nelle cucine, nei dialetti. Il territorio aretino non è mai stato una semplice periferia, ma un sistema vivo e integrato, in cui le forme della civiltà si sono depositate senza soluzione di continuità.

Non si può poi non parlare di Arezzo senza menzionare le sue attività tradizionali, su tutte la lavorazione dell’oro, esempio emblematico di come un’eredità possa diventare motore economico, identitario e culturale. Non si tratta semplicemente di un comparto produttivo: è una vera vocazione, nata da una lunga storia di saperi artigianali e cresciuta fino a diventare un pilastro dell’economia locale e una delle eccellenze italiane nel mondo. Le radici di questa tradizione affondano già nell’epoca etrusca. Gli Etruschi, infatti, erano abili orafi e le necropoli della zona aretina hanno restituito splendidi monili (orecchini, bracciali, armille, fibule e molto altro) a testimonianza di una maestria che ha attraversato i secoli. È un’eredità tecnica e culturale che non si è mai del tutto interrotta, e che nel tempo ha saputo rinnovarsi, adattandosi alle trasformazioni sociali, stilistiche e tecnologiche. Nel Novecento, la lavorazione dell’oro ha conosciuto poi il suo sviluppo industriale, trasformando Arezzo in uno dei principali distretti orafi d’Europa. A differenza di altri poli manifatturieri, quello aretino ha mantenuto un forte legame con l’artigianato, con la precisione del lavoro manuale, con il valore del “saper fare” tramandato di generazione in generazione. Il risultato è una produzione che unisce innovazione e tradizione, design contemporaneo e tecniche antiche.

Oggi, il distretto orafo aretino rappresenta un modello di eccellenza. Comprende centinaia di aziende (circa 1.200, che impiegano oltre 8.000 addetti), diverse delle quali a conduzione familiare, che esportano in tutto il mondo e partecipano alle principali fiere internazionali del settore. È un’eredità che ha saputo diventare rete, sistema, cultura d’impresa. Questa tradizione, tuttavia, non vive solo di memoria o nostalgia. Continua a evolversi, a cercare nuovi linguaggi e mercati, grazie anche alla sinergia tra artigianato, tecnologia e formazione. In questo senso, la lavorazione dell’oro ad Arezzo è un esempio virtuoso di come l’eredità (se curata, studiata e messa in relazione con il presente) possa essere una risorsa dinamica, capace di generare valore economico e culturale.

Il Santuario della Verna a Chiusi della Verna
Il Santuario della Verna a Chiusi della Verna
Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Foto Visit Tuscany/Mattia Marasco
Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Foto Visit Tuscany/Mattia Marasco
L’albero di Lucignano. Foto: Museo Comunale di Lucignano
L’albero di Lucignano. Foto: Museo Comunale di Lucignano

Il territorio aretino è poi disseminato di borghi che incarnano, ciascuno a modo proprio, l’eredità storica e culturale di cui abbiamo parlato. Sono luoghi in cui la stratificazione del tempo è visibile, percorribile, vissuta. Alcuni di questi borghi custodiscono testimonianze etrusche, altri riflettono la continuità medievale e rinascimentale, altri ancora mantengono viva una tradizione artigianale o paesaggistica che affonda le radici in epoche antiche. Cortona è forse il più noto tra i borghi dell’aretino in relazione all’eredità etrusca. Cortona fu una delle dodici lucumonie della Dodecapoli etrusca e conserva ancora tratti delle antiche mura poligonali. Il Museo dell’Accademia Etrusca (MAEC) è uno dei più importanti d’Italia per lo studio della civiltà etrusca. Il Museo Diocesano è invece famoso per i capolavori del Beato Angelico Ma Cortona è anche un esempio di come un’identità antica si sia evoluta in una forma viva di bellezza: il borgo ospita artisti, studiosi, viaggiatori, mantenendo intatto il suo legame con il paesaggio e con la cultura. Ancora, Castiglion Fiorentino è un altro borgo dove l’eredità etrusca si intreccia con quella medievale. Il centro storico, con le sue torri e i suoi archi, racconta secoli di continuità urbanistica. Il Museo Archeologico ospita reperti etruschi ritrovati sul colle di Castiglione, a conferma di un’antica presenza. C’è poi Lucignano, noto per il suggestivo Albero d’Oro custodito nel Museo Comunale. Nella Valtiberina, Anghiari è borgo legato più al Medioevo e al Rinascimento che al mondo etrusco, ma rappresenta comunque un’eredità culturale forte. Il borgo è noto per la battaglia del 1440 tra Firenze e Milano, raffigurata da Leonardo da Vinci, ma anche per la continuità delle sue tradizioni artigiane. Ospita musei, botteghe, rievocazioni storiche che mantengono vivo un passato stratificato. Così come la vicina Sansepolcro, ponte tra Toscana e Umbria. E la piccola Monterchi, borgo reso celebre dalla Madonna del Parto di Piero della Francesca, simbolo di un’eredità artistica che ancora oggi richiama visitatori da tutto il mondo. Il legame tra opera d’arte e luogo, tra memoria e identità, è qui profondissimo: ancor oggi, come nell’antichità, le donne in attesa credenti si recano a pregare davanti all’affresco nel museo che lo conserva.

Arezzo e il suo territorio raccontano diunque una storia che non si esaurisce nei libri, nei musei o nei monumenti. È una storia sedimentata nel paesaggio, nelle pietre dei borghi, nei gesti di chi lavora l’oro o coltiva la terra, nei volti delle opere d’arte come nei ritmi delle stagioni. L’eredità qui non è una formula retorica, ma una presenza concreta e vitale, fatta di stratificazioni, trasformazioni, continuità. Oggi che la memoria rischia spesso di essere strumentalizzata o consumata in chiave turistica, Arezzo offre un modello diverso: quello di una memoria operante, che sa custodire senza chiudere, che sa innovare senza dimenticare.


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