I limiti della manifestazione dell'11 gennaio: la parte propositiva, forse, è da migliorare.


Un punto di vista sulla manifestazione dell'11 gennaio, con focalizzazione sui suoi aspetti propositivi: la nostra proposta.

Fin da quando ho letto di una manifestazione dei professionisti della cultura in programma per l’11 gennaio, ho provato un sentimento che potrei definire come un misto di scetticismo e buone speranze: la classe lavorativa più frammentata e meno coesa d’Italia ha finalmente trovato le forze per fare quello che non è stata capace di fare in tanti anni, ovvero unirsi in un’unica voce per provare a far capire a chi dovrebbe reggere le sorti della cultura in Italia che in effetti, nel nostro paese, c’è qualcosa che non va (per usare un eufemismo), e che i professionisti della cultura hanno da fare delle proposte buone e approfondite per provare, quanto meno, ad aiutare il governo e il ministero a intervenire dove è più necessario? Forse, le aspettative riposte nella manifestazione sono un po’ troppo alte (e lo scetticismo è un sentimento che non appartiene solo al sottoscritto, dati alcuni commenti letti sulla pagina Facebook della manifestazione), ma non è questo il punto del post. E anche qualora lo fosse, spererei comunque di sbagliarmi nel riporre poche aspettative nella manifestazione.

Potremmo ragionare anche sull’occasione che ha fatto scattare la protesta: il celeberrimo bando dei 500 giovani per la cultura. Ma il punto non è neppure questo: sorvoliamo dunque sul fatto che per muovere la protesta è stata necessaria la spettacolarizzazione di una realtà molto più strisciante e molto più profonda di quella di un bando, una realtà che si muove sul labile confine tra la formazione rappresentata dai continui tirocini a cui sono sottoposti i giovani professionisti della cultura (e i 500 giovani sarebbero chiamati a compiere nient’altro che un tirocinio), e il lavoro sottopagato in ambito culturale (malgrado il discorso si possa estendere anche ad altri ambiti lavorativi). Perché di spettacolarizzazione in effetti si tratta: non mi vengono in mente altri termini pensando a un bando annunciato in grande stile, tra le aspettative dei più, e che poi dopo settimane di attesa si è rivelato una conferma di una realtà ormai purtroppo nota, ricevendo quindi un’eco mediatica che poche altre volte abbiamo visto per un qualsiasi provvedimento del ministero (anche perché si trattava di 500 giovani che avrebbero potenzialmente ottenuto un lavoro, e non capita tutti i giorni che un ente pubblico sembri poter dar lavoro a 500 giovani). E ciò che mi preme analizzare in questo post non sono neppure le ragioni della protesta, ampiamente comprensibili e condivisibili, sicuramente da appoggiare.

Quello che mi preme prendere in esame sono le eventuali proposte che dovrebbero scaturire dalla manifestazione: almeno per quel che mi riguarda, una protesta che non sia propositiva, non è neppure da prendere in considerazione. Questo è veramente il punto: qualsiasi persona di buon senso converrà sul fatto che è inutile distruggere, se poi non si ha idea di come ricostruire. E a tal proposito, sul blog ufficiale della manifestazione è uscito un post intitolato Cosa chiediamo: un piccolo elenco di proposte avanzate dagli organizzatori. Intendiamoci: in un’Italia dove ormai siamo abituati a proteste tutt’altro che costruttive, l’elenco dei 500 no sembra quasi una rinfrescante oasi nel deserto. Tuttavia, non risulta affatto chiaro quale dovrebbe essere il risultato della manifestazione e verso cosa di preciso siano indirizzate le proteste. Gli obiettivi sembrano essere sostanzialmente due: la mancanza di lavoro per i professionisti della cultura (o meglio, la mancanza di lavoro retribuito in modo adeguato) e, ancora, il bando dei 500 giovani. Per quanto concerne il primo obiettivo, a mio avviso non servono manifestazioni, anche perché, probabilmente, non riusciranno (purtroppo) a smuovere un’opinione pubblica poco interessata ai problemi della cultura (e una conferma è data anche dallo scarso risalto che i mezzi di informazione di massa stanno non-dando alla manifestazione dell’11 gennaio). Piuttosto, servono idee: è troppo poco dire che occorre approvare la proposta di legge 362 (il cui iter peraltro è già avviato ed è già a buon punto) e che è necessario un nuovo concorso perché gli organici tecnico-scientifici del MIBACT sono sottodimensionati (è ovvio che lo sono ed è ovvio che servirebbe un nuovo concorso, e l’esigenza non è affatto nuova: tutti lo sappiamo). L’argomento è complesso, sia per questo post che per una manifestazione: occorrerebbero pertanto dei gruppi di lavoro, individuati dalle associazioni di categoria, che lavorino a stretto contatto per individuare con precisione, nel proprio settore di riferimento (archeologia, storia dell’arte, archivistica, restauro, digitalizzazione) tutti gli sprechi, le cattive gestioni, i progetti inutili per comprendere dove poter reperire fondi da destinare alla buona formazione in primo luogo e al lavoro adeguatamente retribuito in secondo luogo. E alla fine, tirate le somme in ognuno dei gruppi, l’obiettivo comune sarebbe quello di elaborare proposte per riforme e per gestioni più accurate dei fondi pubblici, da sottoporre al Ministero.

Ma per fare questo occorre tempo e soprattutto non sono necessarie manifestazioni: serve interloquire con le istituzioni. Più alla portata di una manifestazione potrebbe quindi essere il secondo obiettivo della protesta, il bando dei 500 giovani, ed è proprio da qui che si dovrebbe vedere l’aspetto più costruttivo della manifestazione. L’obiettivo che però gli organizzatori sembrano perdere di vista non è tanto il chi sarà assunto per questo tirocinio, né quanto sarà retribuito: l’obiettivo fondamentale della proposta dovrebbe essere il cosa, ovvero per quali attività saranno spesi i 2,5 milioni di euro del bando. È inutile assumere anche i migliori professionisti d’Italia (e corrispondere loro una retribuzione adeguata) se andranno poi a occuparsi di un progetto effimero per il quale non saranno garantite la manutenzione e la continuazione: si tratta della logica con cui sono stati portati avanti i progetti di web per i beni culturali dal Ministero dei Beni Culturali fino all’attuale gestione (abbiamo fornito alcuni esempi in un post di qualche giorno fa, sempre sull’argomento bando). E anche in questo caso, l’Allegato 1 del bando non fornisce alcuna indicazione su come verrà garantita la continuazione del tempo dei prodotti che saranno realizzati dai cinquecento giovani. Senza contare poi il fatto che per questi prodotti esistono già valide alternative in rete (il web è già pieno di portali turistici, portali sul territorio, portali sulla grande guerra, blog tematici e quant’altro). Conferire quindi l’incarico ai migliori professionisti, senza però rivedere in cosa consiste l’incarico, andrebbe a configurarsi come un ulteriore spreco di risorse, se i progetti sono effimeri. Non entro poi nel merito dell’ultimo capoverso del punto 3, perché è chiaro che l’intento del bando non è quello di stimolare buona occupazione (i modi per stimolare buona occupazione sono altri), bensì dar vita a prodotti digitali che saranno realizzati da questi cinquecento giovani, appositamente formati (anche se non si comprende bene da chi: speriamo non da chi ha messo in piedi i portali ministeriali fino a questo momento).

Il punto 3 dell’articolo apparso sul blog dei manifestanti è pertanto ampiamente rivedibile: non solo è necessario che i progetti siano affidati a professionisti competenti. È anche necessario che sia garantita continuità per questi progetti, e che si tratti di progetti utili: a che scopo creare dei doppioni? Ribadiamo pertanto la proposta che avevamo fatto nel post citato sopra: se si vuole promuovere il web per i beni culturali, una parte dei 2,5 milioni di euro venga destinata a sovvenzionare progetti già esistenti, a cui verrà garantito il patrocinio del Ministero, e che potrebbero essere selezionati sulla base delle competenze di chi li gestisce, della loro anzianità (perché se un progetto esiste da tanto tempo significa che è più ricco, che alla base ci sono intenti seri e che sarà più facile mantenerlo e garantire la sua continuità), della loro qualità, della loro portata (se rivolti al pubblico), del loro grado di innovazione, dei loro benefici e della loro convenienza (se rivolti ad aziende, a professionisti o ad amministrazioni). La rimanente parte invece serva per rivedere, consolidare e garantire la continuazione di quello che già esiste: i progetti web ministeriali sono infatti molto lacunosi in termini di accessibilità, usabilità, facilità di navigazione, capacità di interazione con il pubblico (e anche di questo abbiamo parlato qui su Finestre sull’Arte, e probabilmente continueremo a parlarne). Considerando poi anche il fatto che in portali come Cultura Italia non è presente che una parte del nostro patrimonio artistico: tantissimi beni aspettano ancora di essere schedati e catalogati. E, come suggeriscono i manifestanti, l’incarico di rinnovare i progetti del Ministero dovrà essere conferito a professionisti competenti, che riceveranno il giusto compenso per il loro lavoro.

Gli intenti propositivi dei manifestanti, secondo il mio modesto punto di vista, andrebbero sottoposti a revisione, e noi di Finestre sull’Arte siamo ovviamente disponibili per dare il nostro supporto: questo post altro non è che la riformulazione della nostra proposta su come impiegare i 2,5 milioni di euro del bando. Condivisibile o meno, chiaramente: ciò non toglie che comunque l’obiettivo della proposta dovrebbe essere il cosa farne del fondo. Ma se gli obiettivi non sono chiari, si corre il rischio di non coglierli: è, del resto, il rischio di ogni manifestazione, al quale non si sottrae di certo neppure quella dei professionisti per la cultura in programma per l’11 di gennaio.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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