Fontana malata di Aldo Palazzeschi

Poesiarte

2010, Seconda puntata


Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchette,
chchch...
È giù,
nel cortile,
la povera
fontana
malata;
che spasimo!
sentirla
tossire.
Tossisce,
tossisce,
un poco
si tace...
di nuovo.
tossisce.
Mia povera
fontana,
il male
che hai
il cuore
mi preme.
Si tace,
non getta
più nulla.
Si tace,
non s'ode
rumore
di sorta
che forse...
che forse
sia morta?
Orrore
Ah! no.
Rieccola,
ancora
tossisce,
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
chchch...
La tisi
l'uccide.
Dio santo,
quel suo
eterno
tossire
mi fa
morire,
un poco
va bene,
ma tanto...
Che lagno!
Ma Habel!
Vittoria!
Andate,
correte,
chiudete
la fonte,
mi uccide
quel suo
eterno tossire!
Andate,
mettete
qualcosa
per farla
finire,
magari...
magari
morire.
Madonna!
Gesù!
Non più!
Non più.
Mia povera
fontana,
col male
che hai,
finisci
vedrai,
che uccidi
me pure.
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchete,
chchch...


Commento

Palazzeschi, è un artista che ama divertirsi con i versi poetici. Ha un gran gusto per l’ironia e per la sperimentazione di nuove forme di poesia. Tutto questo è ben evidente nella sua “La fontana malata” del 1909. La voglia di sperimentare si vede nell’utilizzo della rima libera, ma soprattutto dei ternari, ovvero di versi in tre sillabe, che vanno ad infrangere le regole della tradizione che lo ha preceduto, perché un uso così massiccio di ternari è quasi sconosciuto agli scrittori anteriori.

Mentre il gusto per l’ironia e la voglia di prendersi gioco di tutte le convenzioni e gli schemi poetici del passato, è evidente quando fa il verso a liriche celebri del suo tempo, come “La pioggia nel pineto” di D’Annunzio. Scrive infatti: Si tace, non s’ode, riprendendo l’inizio della rima dannunziana che recita: Taci. Su le soglie del bosco non odo.

In quest’ultimo componimento, inoltre, l’acqua piovana permette ai protagonisti di trasformarsi, di rinascere a una nuova vita in totale simbiosi con la natura del creato, mentre le gocce d’acqua della fontana di Palazzeschi simboleggiano lo spasimo, ossia il tormento, il dolore, fino al punto che c’è la personificazione della stessa fontana, che diventa un essere umano malato di tubercolosi ed il rumore prodotto dalle gocce che cadono diventa quello dei colpi di tosse.

Ma c’è anche una palese canzonatura del simbolismo fonico di Pascoli e dello stesso D’Annunzio, quando fa uso, all’inizio, al centro, e alla fine del componimento, di suoni onomatopeici, con i quali intende riprodurre il rumore insistente ed angosciante delle gocce della fontana, ovvero di un oggetto del vivere quotidiano, e pertanto “poco poetico”.

In tutto questo rifiuto della tradizione poetica, c’è il gusto dissacrante dei Futuristi e la loro ansia di rinnovamento. Mentre la malattia della fontana rappresenta la condizione di isolamento dalla vita civile tipica di tanti poeti del Novecento, come ad esempio i Crepuscolari, i quali negavano alla poesia ogni ruolo sociale e civile.

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