È la scultura, nonostante sia un video a veicolarla, il linguaggio che caratterizza il nuovo, ampio progetto di Adrian Paci. No man is an island, la mostra che segna il secondo appuntamento della serie ideata da Cristiana Perrella per il Giubileo 2025, ha il suo centro visivo, fisico e semantico nella grande campana protagonista di The bell tolls upon the waves, installazione video/sonora del 2024 mai presentata in Italia e ora in scena fino al 21 settembre nel complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia. Inoltre, una scultura vera e propria domina, a poche decine di metri dalle corsie sistine dell’ex ospedale sul Lungotevere, lo spazio della window gallery su via della Conciliazione, in Vaticano. L’opera in questo caso è il corpo dell’artista stesso, riprodotto attraverso un calco, impegnato nel 2001 in Home to go: è l’opera che ha lanciato Paci – con la sua epica dei popoli erranti, della storia e del presente – sulla scena dell’arte contemporanea internazionale.
Dopo il cinese Yan Pei-Ming, che con il suo sguardo sulla popolazione delle carceri ha aperto la serie di Conciliazione 5, il progetto voluto dal dicastero per la Cultura e l’educazione del Vaticano per l’Anno Santo in corso procede con Adrian Paci. L’artista nato a Scutari nel 1969 affronta ora a modo suo il mondo delle migrazioni, prima che ad altri autori, nel corso del 2025, tocchi cimentarsi con i termini “ambiente” e “povertà”, sempre sotto la guida critica della neo direttrice del Museo Macro della capitale, Cristiana Perrella. La storica dell’arte romana giusto dieci anni fa aveva portato l’artista albanese, dal 1995 stabilmente attivo a Milano, al Maxxi di Roma con una potente video installazione, firmata con il connazionale Roland Sejko: A quattro mani era dedicata al ritrovamento delle lettere degli italiani in Albania, spedite a casa tra 1945 e 1946, ma mai giunte a destinazione. Voci, storie e drammi passano da una parte all’altra dell’Adriatico, il mare che i 20mila dannati della Vlora, con il regime comunista di Tirana in agonia, attraversarono nel 2021 per sbarcare nel porto di Bari e che Adrian Paci, invece, sorvolò nel 2022, anno della vittoria alle elezioni del partito Democratico di Sali Berisha, con in tasca una borsa di studio in arte e liturgia all’Istituto Beato Angelico di Milano.
Tuttavia, è indipendentemente da questi studi giovanili in arte religiosa che Paci – performer, videomaker, pittore e scultore, intellettuale a tutto tondo, autore del coinvolgente video sulla siriana Rasha, selezionato da Anna Mattirolo nel 2017 per la collettiva al Quirinale dal titolo Da io a noi, la città senza confini – è stato scelto per la serie di Conciliazione 5. Piuttosto, la decisione sembrerebbe dovuta al modo libero, diremmo laico, con cui l’artista ha affrontato negli anni le storie dei migranti, moltitudine cara a papa Francesco, rendendo il loro calvario un dramma universale. “Non mi do un compito sociale. Per me il rischio è quello di costruire delle categorie, dentro le quali si perde la dimensione personale che per me resta fondamentale, sia nella concezione dell’opera sia nella sua costruzione”, ha detto una volta l’autore di Centro di permanenza temporanea (2007), con quel manipolo di profughi in attesa sulla scala di un aereo che non arriverà mai.
Estraneo al finto e furbo impegno di tanto “artivismo”, secondo il felice neologismo coniato da Vincenzo Trione per il suo libro sull’arte cosiddetta engagé, l’artista di Scutari l’11 giugno ha inaugurato in Vaticano No man is an island. E in quell’occasione ha raccontato del proprio battesimo ricevuto in gran segreto e per mano della nonna nell’Albania che vietava le religione. Si è anche soffermato, Paci, sulla propria conoscenza della Bibbia e dei Vangeli grazie ai dipinti “di Tiziano, Piero della Francesca o di Gruenewald che si trovavano, in quanto quadri, nei libri di mio padre” (Ferdinand, anche lui pittore, morto giovane quando il figlio era bambino). Poi Paci ha sottolineato, a proposito della sua arte, che “il lavoro non parte mai da un tema, ma dagli incontri. L’immagine non è un tema, ma un’esperienza”. È stato così per la nascita di quella sorta di via Crucis nel corso della quale l’artista ha portato sulle proprie spalle il tetto di una casa, come Atlante che sorregge il mondo o il profugo Enea il padre Anchise: con Home to go, Paci ha dato il via a un cammino, al proprio e a quello del soggetto da lui stesso interpretato, che ora ammiriamo nella forma solida di una scultura in gesso attraverso un calco che ricorda le figure senza tempo dell’americano George Segal. L’opera del 2001 si può vedere, 24 ore al giorno, fino al 21 settembre, nella strada che porta pellegrini e turisti verso San Pietro: peccato solo non poter entrare nello spazio espositivo di Conciliazione 5, senza poter quindi girare intorno alla figura di questo povero cristo schiacciato dal peso di una tetto fatto di coppi che, tuttavia, adombra la forma di un paio d’ali.
Affonda nella storia, anche dell’arte, l’altra installazione, quella video di The bell tolls upon the waves – citazione dalla Meditation XVII di John Donne – proposta in Santo Spirito in Sassia (visita il 27 e il 30 giugno e in altri giorni prestabiliti, dalle 15 alle 19, fino al 21 settembre: l’elenco sul sito e sui canali social di Conciliazione 5). Prodotta dalla Fondazione Giorgio Pace e realizzata a poche decine di metri dalla riva del mare a Termoli, l’opera si compone di tre schermi, un trittico con i due elementi laterali che convergono, come quinte teatrali, verso quello centrale. Il pannello di mezzo è a sua volta in asse con, sulla controfacciata, l’affresco manierista della Crocefissione di Cristo di Jacopo Zucchi nella corsia di sinistra dell’ospedale papalino, ora gestito dalla Asl Roma 1 e – forte del portale di Bernini e, soprattutto, del ciborio di Andrea Palladio – museo di sé stesso, aperto da alcuni anni all’arte contemporanea (nel 2024 ha ospitato ad esempio l’installazione pittorica di Piero Pizzi Cannella Le migranti). Una nuova sfida, quella dell’architettura religiosa del Cinquecento, per un autore che si è spesso confrontato con gli spazi del sacro: dalla chiesa di Sant’Eustorgio a Milano nel 2017 al chiostro di Sant’Agostino con la performance Chords lo scorso 6 giugno.
Nei circa venti minuti di girato di The bell, con la linea dell’orizzonte che non sempre si allinea sui tre schermi, vediamo scorrere una giornata al mare: dall’alba al tramonto, sino alla notte illuminata dalla luna. Centro dell’azione dove non appare mai anima viva, ma dove l’umanità è continuamente evocata, è la campana issata su una boa nel tratto di mare – vuole una leggenda – dove nel Cinquecento si inabissò la nave turca il cui equipaggio aveva rubato la campana di santa Caterina, che fece sprofondare lo scafo degli infedeli. Il tempo della chiesa, contrapposto a quello del mercante, rivive nel video di Adrian Paci in cui sono le onde del mare mosso a scuotere il batacchio e far risuonare i rintocchi. Un’immagine potente, quella della campana di Termoli – nel Molise di Agnone, il paese noto per la produzione di questi strumenti.
E se le campane si ritrovano, quali ready made, in più d’una delle installazioni di Jannis Kounellis, come anche nell’opera scultorea di Luigi Mainolfi, nella storia costruita per immagini in movimento da Adrian Paci il gigante di bronzo scandisce tra le onde il trascorrere delle ore (lasciando a volte anche il campo all’inquadratura delle sole nuvole in cielo), ma anche del tempo meteorologicamente inteso. Soprattutto, come ha sottolineato il cardinale José Tolentino de Mendonça, l’opera “è un monito e un segnale di allarme sulla nostra perdita di empatia e di umanità nei confronti dei migranti”. Ecco per chi (e perché) suona la campana di Adrian Paci. La sua struggente, poetica, a tratti “pittorica” veduta dell’Adriatico, è infatti anche una scultura politica. Pronta, senza retorica, a fare polemica.
L'autore di questo articolo: Carlo Alberto Bucci
Nato a Roma nel 1962, Carlo Alberto Bucci si è laureato nel 1989 alla Sapienza con Augusto Gentili. Dalla tesi, dedicata all’opera di “Bartolomeo Montagna per la chiesa di San Bartolomeo a Vicenza”, sono stati estratti i saggi sulla “Pala Porto” e sulla “Presentazione al Tempio”, pubblicati da “Venezia ‘500”, rispettivamente, nel 1991 e nel 1993. È stato redattore a contratto del Dizionario biografico degli italiani dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana, per il quale ha redatto alcune voci occupandosi dell’assegnazione e della revisione di quelle degli artisti. Ha lavorato alla schedatura dell’opera di Francesco Di Cocco con Enrico Crispolti, accanto al quale ha lavorato, tra l’altro, alla grande antologica romana del 1992 su Enrico Prampolini. Nel 2000 è stato assunto come redattore del sito Kataweb Arte, diretto da Paolo Vagheggi, quindi nel 2002 è passato al quotidiano La Repubblica dove è rimasto fino al 2024 lavorando per l’Ufficio centrale, per la Cronaca di Roma e per quella nazionale con la qualifica di capo servizio. Ha scritto numerosi articoli e recensioni per gli inserti “Robinson” e “il Venerdì” del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Si occupa di critica e di divulgazione dell’arte, in particolare moderna e contemporanea (nella foto del 2024 di Dino Ignani è stato ritratto davanti a un dipinto di Giuseppe Modica).
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