Christo e Jeanne-Claude. L’opera d’arte come esperienza di vita reale


Il mondo dell'arte deve molto a Christo e Jeanne-Claude. Grazie a loro un nuovo significato della stessa parola “arte” ha cominciato a prender forma.

“Con Christo e Jeanne-Claude ciascuno si sentiva parte dell’opera, qualunque lavoro si stesse compiendo in quel momento, e questa è un’esperienza che nessuna somma di denaro puó comprare” (Adam Kaufman, Manager dell’organizzazione no-profit “The Central Park Conservancy”, in un’intervista con Zornitza Kratchmarova, The hidden art of Christo and Jeanne-Claude, 2016).

Con le loro imprese, Christo Vladimirov Yavachev (Gabrovo, 1935 – New York, 2020) e Jeanne-Claude Denat de Guillebon (Casablanca, 1935 – New York, 2009), meglio conosciuti come il duo artistico Christo e Jeanne-Claude, hanno rivoluzionato profondamente il modo di concepire l’opera d’arte e il suo processo di realizzazione. Negli anni Sessanta, quando il sistema del mercato artistico e delle gallerie si stava affermando sempre più e con maggior forza, avevano deciso di non far parte di quel mondo, rifiutando di farsi rappresentare da qualsiasi galleria d’arte, respingendo finanziamenti esterni per conto di sponsor e autofinanziando i loro progetti, divenendo così di fatto gli unici padroni del loro fare artistico.

Ancora più eclatante è stato il loro voler aprirsi al pubblico, coinvolgendolo nella partecipazione reale dei loro progetti, in un periodo in cui, a metà degli anni Sessanta, gli artisti stavano diventando sempre più ermetici e concettuali. Nei loro “impacchettamenti”, termine con cui conosciamo le loro opere, Christo e Jeanne-Claude si sono tolti la maschera dell’artista irraggiungibile, rivestito di aura sacrale, per scendere allo stesso livello delle migliaia e migliaia di persone che hanno collaborato nel corso di più di cinquant’anni alla realizzazione delle loro imprese. Un’utopia che è diventata realtà.

L’Italia ha avuto il piacere di accogliere il loro ultimo progetto realizzato, TheFloating Piers (dal 18 giugno al 3 luglio 2016), con Germano Celant come suo direttore. Il solo Christo (la sua amata Jeanne-Claude era morta nel 2009) è riuscito a donare a circa seicentomila visitatori l’illusione di camminare sulle acque. Con questa installazione ben 200.000 cubi, ricoperti di 70.000 metri quadrati di fibra gialla iridescente, si mettevano in connessione i paesi di Sulzano e Monte Isola con l’Isola di San Paolo sul Lago d’Iseo. Un progetto approdato in Italia solo nel 2014: dal 1970, infatti, era già nella mente dei due, ma pensato per altri siti, come il Rio de la Plata River a Buenos Aires (Argentina) e, poi, per la Tokyo Bay in Giappone. In entrambi i siti, come spesso è accaduto per le loro opere, le trattative avevano portato ad un rifiuto delle autorizzazioni necessarie.

Christo e Jeanne-Claude nel 1964
Christo e Jeanne-Claude nel 1964


Christo e Jeanne-Claude nel 1976
Christo e Jeanne-Claude nel 1976


Christo e Jeanne-Claude nel 1995
Christo e Jeanne-Claude nel 1995


Christo e Jeanne-Claude nel 2005
Christo e Jeanne-Claude nel 2005. Ph. Credit Wolfgang Volz


Christo sul lago d'Iseo nel 2016
Christo sul lago d’Iseo nel 2016. Ph. Credit Wolfgang Volz


Christo e Jeanne-Claude, The Floating Piers (2014-2016; Lago d'Iseo). Ph. Credit Wolfgang Volz
Christo e Jeanne-Claude, The Floating Piers (2014-2016; Lago d’Iseo). Ph. Credit Wolfgang Volz

L’Italia non era nuova nell’ospitare le installazioni di Christo e Jeanne-Claude. Infatti, negli anni Sessanta, quando il mondo dell’arte guardava ai due come a un fenomeno transitorio di un’effimera avanguardia artistica, l’Italia è stata una delle prime nazioni ad offrire ai progetti della coppia la possibilità di svilupparsi. Si ricordano la Wrapped Fountain e la Wrapped Medieval Tower a Spoleto nel 1968, il Wrapped Monumet to Vittorio Emanuele e il Wrapped Monument to Leonardo da Vinci, nel 1971, in occasione del Festival del Neo-Realismo, corrente artistica a cui inizialmente Christo aveva aderito, insieme ad artisti del calibro di Jean Tinguely, César, Daniel Spoerri, Arman e Raymon Hains; e infine, la maestosa “impacchettatura” delle Mura Aureliane a Roma, nel 1974.

A suo tempo, molti critici accusavano Christo di “impacchettare” le sue opere perché non era capace di disegnarle. Invece è stata proprio la sua estrema precisione e dedizione al disegno a rendere possibile l’impossibile. Uno dei pochi a dare loro fiducia, già alla fine degli anni Sessanta, è stato il grande critico e curatore d’arte Harald Szeemann che, nel 1968, li aveva invitati ad impacchettare la Kunsthalle di Berna di cui era direttore. Ci sono voluti decenni, in un sistema artistico fortemente patriarcale, perché entrambi fossero accettati come coppia artistica in cui anche la sua compagna Jeanne-Claude fosse considerata non solo come la responsabile economica dei loro progetti, ma anche la loro ideatrice firmataria. Christo, squattrinato ritrattista emigrato e rifugiato politico in Francia dalla Bulgaria comunista, aveva conosciuto Jeanne-Claude a Parigi, nel 1958, proprio in occasione di un ritratto della giovane che la madre di lei aveva chiesto all’artista di realizzare. Con i due è cambiato anche il modo di percepire la tradizionale identità artistica a favore di una identificazione della collaborazione artistica come opera essa stessa.

Da allora i due sono diventati inseparabili e hanno contribuito a cambiare per sempre il modo di concepire l’opera d’arte all’interno del paesaggio aperto e dello spazio urbano, ma se si vuole, anche l’opera d’arte in quanto tale. Mediante l’impacchettamento, e il successivo spacchettamento (anche se chi scrive preferisce il termine “velare”), Christo e Jeanne-Claude hanno riconsegnato all’uomo l’aura poetica degli oggetti abitudinari di uso comune. In apparenza si pensa ad una semplice operazione di intervento sul tessuto urbano o paesaggistico che porta a cambiarne la vista da parte dell’osservatore. Le loro installazioni vogliono portare, ad un momento di profonda consapevolezza e riflessione sulla trivialità del quotidiano, sul distacco dal modo ripetitivo di guardare la realtà e sul fattore fondante nella vita dell’essere umano, il Tempo. “I nostri progetti attraggono le persone che vogliono vederli per poter dire ’L’ho visto, e se non lo vedi, non avrai altra occasione. Domani potrebbe non esserci più, esattamente come le nostre vite’” (da un’intervista a Christo con Megan O’Rourke per il Wall Street Journal del 24 Marzo 2011). Un’altra delle peculiarità delle opere di Christo e Jeanne-Claude è che sono temporanee, seppur sopravvivano in forma documentaria mediante fotografie, film e libri, oltre che nel numero consistente di schizzi, studi e disegni realizzati per la loro messa in opera. Certamente, però, la documentazione fotografica non costituisce una memoria appropriata (la coppia non l’ha mai autorizzato come arte in quanto tale) e pertanto vanno considerate l’unicità e l’irripetibilità dei loro progetti, così come affermato precedentemente dall’artista.

Christo e Jeanne-Claude, Wrapped Fountain (1968; Spoleto). Ph. Jeanne-Claude
Christo e Jeanne-Claude, Wrapped Fountain (1968; Spoleto). Ph. Jeanne-Claude


Christo e Jeanne-Claude, Wrapped Monument to Leonardo da Vinci (1970; Milano). Ph. Credit Shunk-Kender
Christo e Jeanne-Claude, Wrapped Monument to Leonardo da Vinci (1970; Milano). Ph. Credit Shunk-Kender


Christo e Jeanne-Claude, Wrapped Kunsthalle (1967-1968; Berna)
Christo e Jeanne-Claude, Wrapped Kunsthalle (1967-1968; Berna)


Christo, Wrapped Monument to Leonardo, progetto (1970; matita e carboncino su carta, 71 x 56 cm; Collezione Paul Jolles-Berne). Ph. Credit Shunk-Kender
Christo, Wrapped Monument to Leonardo, progetto (1970; matita e carboncino su carta, 71 x 56 cm; Collezione Paul Jolles-Berne). Ph. Credit Shunk-Kender


Christo, Kunsthalle Bern Packed, progetto (1968; matita su carta, 101,5 x 152,5 cm). Ph. Credit André Grossmann
Christo, Kunsthalle Bern Packed, progetto (1968; matita su carta, 101,5 x 152,5 cm). Ph. Credit André Grossmann


Christo, Wrapped Reichstag, progetto (1977; matita, tessuto, spago, matita, carboncino e pastello, 56 x 71 cm; Bonn, Kunstmuseum)
Christo, Wrapped Reichstag, progetto (1977; matita, tessuto, spago, matita, carboncino e pastello, 56 x 71 cm; Bonn, Kunstmuseum)


Christo e Jeanne-Claude, The Floagint Piers (2014; matita, carboncino e pastello su carta, 22,5 x 34,9 cm). Ph. Credit André Grossmann
Christo e Jeanne-Claude, The Floating Piers, progetto (2014; matita, carboncino e pastello su carta, 22,5 x 34,9 cm). Ph. Credit André Grossmann

È difficile dire quale sia la loro installazione più riuscita. Ciascuna è stata il frutto di trattative estenuanti per la sua realizzazione, sia per la parte più prettamente economica, che per quella burocratica e dei permessi. Ecco la ragione dei decenni spesso intercorsi fra l’idea del progetto e la sua realizzazione. All’inizio si è sempre guardato alle loro idee con molto scetticismo, da parte di critici, politici e persone comuni coinvolte, come quando, nel 1984, Chirac (allora sindaco di Parigi) e Mitterrand (Presidente della Repubblica francese), si erano opposti fortemente alla realizzazione di The Pont Neuf Wrapped (1975-1984), a Parigi.

Nonostante tutte le difficoltá, ogni volta che sono riusciti a portare a termine anche una sola delle loro azioni hanno cambiato il modus pensandi di chi ha avuto la fortuna e il privilegio di collaborarvi. Da Wrapped Coast (1968-1969) nella Little Bay della New South Wales in Australia, fino al poetico The Gates (1979-2005) al Central Park di New York (ultima opera realizzata insieme, prima della morte di Jeanne-Claude) la coppia è sempre riuscita ad attrarre non solo milioni di visitatori da tutto il mondo, ma collaboratori che hanno fatto di tutto per far parte di quella che loro chiamavano “famiglia”, ovvero il team di lavoro del loro studio. Le testimonianze che si leggono nei testi rilasciate da chi ha contribuito a dare vita alle loro folli e sublimi idee sono di chi ha veramente avuto stima del loro operato. “Danno alle persone l’opportunità di metterci del proprio, di contribuire al progetto, sapendo esattamente dove quelle persone avrebbero avuto la possibilità di brillare”. (Zornitza Kratchmarova, The hidden art of Christo and Jeanne-Claude, 2016.).

Diverse sono state le intimidazioni ricevute durante le estenuanti contrattazioni o le accuse di compromissione della stabilità del paesaggio dove si volevano realizzare le loro installazioni. Così non è mai stato. Infatti, oltre a fare utilizzo di fibre e materiali riciclabili (altra caratteristica fondante del loro modus operandi), il duo è sempre stato, se vogliamo dire, eticamente corretto sia nel pagamento giornaliero di tutte le persone coinvolte nei loro progetti (e ricordiamo che loro stessi si facevano carico dell’intero onore finanziario), sia nella presenza costante di figure professionali specializzate, fra cui biologi, oceanografi, ecologisti, esperti di animali, solo per citarne alcune.

Christo e Jeanne-Claude, The Pont Neuf Wrapped (1975-1985; Parigi). Ph. Credit Wolfgang Volz
Christo e Jeanne-Claude, The Pont Neuf Wrapped (1975-1985; Parigi). Ph. Credit Wolfgang Volz


Christo e Jeanne-Claude, Wrapped Coast (1968-1969; Little Bay, Sydney)
Christo e Jeanne-Claude, Wrapped Coast (1968-1969; Little Bay, Sydney)


Christo e Jeanne-Claude, The Gates (1979-2005; New York, Central Park). Ph. Credit Wolfgang Volz
Christo e Jeanne-Claude, The Gates (1979-2005; New York, Central Park). Ph. Credit Wolfgang Volz

Certamente una delle loro opere più complesse per le negoziazioni, i permessi e per la sua realizzazione è stata Wrapped Reichstag (1971-1995), ovvero l’impacchettamento con più di 100.000 metri quadri di fibra tessile e quasi 16 km di corda del Palazzo del Reichstag (oggi sede del Bundestag tedesco) dal 24 giugno all’8 luglio del 1995. L’installazione è stata vista da più di cinque milioni di visitatori per un costo complessivo di quindici milioni di dollari. Con Wrapped Reichstag, Christo e Jeanne-Claude hanno scritto una pagina importante della storia dell’arte, raggiungendo la fama internazionale e facendo la cosa più impensabile che si potesse fare, ovvero impacchettare la storia stessa, sia la storia personale di Christo che quella della Germania odierna.

Questo monumento è di un’importanza particolare per il popolo bulgaro. La storia, infatti, vuole che nel 1933, il Reichstag fosse stato bruciato a seguito di un incendio doloso, e un tale Georgi Dimitrov (al tempo funzionario tedesco e più tardi, durante il Comunismo sovietico, primo ministro della Bulgaria) era stato arrestato con l’accusa di coinvolgimento. Durante il processo a Lipsia, il funzionario era riuscito a dimostrare la sua innocenza e anzi a far sospettare dei membri anziani del partito nazista. Ovviamente, nella Bulgaria comunista, questa storia era diventata leggenda e veniva studiata a scuola come un evento di grande significato per la storia bulgara. Christo, che era un rifugiato politico da quasi venti anni, aveva avuto il desiderio di poter impacchettare con un suo progetto il simbolo delle relazioni fra mondo dell’Est e dell’Ovest al tempo della Guerra Fredda, ovvero il Reichstag a Berlino. Anche in questa occasione, la coppia di artisti si vide contro il personaggio politico più influente della nazione, ovvero Helmut Kohl che già dal 1985 aveva espresso tutto il suo disappunto in merito all’impacchettamento di questo monumento. L’installazione ha avuto così tanto successo che alla successiva richiesta di prolungamento del progetto, gli artisti hanno risposto con una sonora negazione, in linea con il proprio credo nei confronti del Padre Tempo.

Christo e Jeanne-Claude, Wrapped Reichstag (1971-1975; Berlino). Ph. Credit Wolfgang Volz
Christo e Jeanne-Claude, Wrapped Reichstag (1971-1975; Berlino). Ph. Credit Wolfgang Volz


Christo e Jeanne-Claude, Wrapped Reichstag (1971-1975; Berlino). Ph. Credit Wolfgang Volz
Christo e Jeanne-Claude, Wrapped Reichstag (1971-1975; Berlino). Ph. Credit Wolfgang Volz


Christo e Jeanne-Claude, Wrapped Reichstag (1971-1975; Berlino). Ph. Credit Wolfgang Volz
Christo e Jeanne-Claude, Wrapped Reichstag (1971-1975; Berlino). Ph. Credit Wolfgang Volz

Diverse sono le opere che, sfortunatamente, non sono stati in grado, fino ad oggi, di realizzare. Fra queste si ricordano la Mastaba di Abu Dhabi che avrebbe dovuto essere l’unica scultura permanente fra quelle da loro realizzate, e Over the River, un progetto che i due avrebbero voluto veder realizzato in Arkansas e che vede pannelli di fibra sospesi sulle acque per una lunghezza di quasi sessantotto chilometri, interrotti da ponti, rocce, alberi, con variazioni a seconda del corso dell’acqua. Non ultimo, si ricorda la loro installazione Wrapped Arc de Triomphe a Parigi che era stata prevista per questa fine estate, ma che a causa della pandemia in atto sarà possibile visitare tra il 18 settembre e il 3 ottobre del 2021.

Il mondo dell’arte contemporanea deve molto a Christo e Jeanne-Claude. Grazie a loro si è stati messi di fronte ad un nuovo significato della parola “arte”, per il quale “artista” non è solo chi realizza e rende visibili le proprie opere all’interno di quattro mura, di una galleria, di un appartamento o di uno studio. Artista è anche chi vive ed opera al di fuori di un qualsiasi spazio tridimensionale e opera d’arte è tutto ciò che coinvolge empaticamente il pubblico sin dalla sua idealizzazione e realizzazione.


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Francesca Della Ventura

L'autrice di questo articolo: Francesca Della Ventura

Ha studiato storia dell'arte (triennale, magistrale e scuola di specializzazione) in Italia e ha lavorato per alcuni anni come curatrice freelancer e collaboratrice presso il Dipartimento dei Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Molise (2012-2014). Dal 2014 risiede in Germania dove ha collaborato con diverse gallerie d'arte e istituzioni culturali tra Colonia e Düsselorf. Dallo stesso anno svolge un dottorato di ricerca in storia dell'arte contemporanea all'Università di Colonia con una tesi sul ritorno all'arte figurativa negli anni Ottanta in Germania e Italia. Nel 2018 è stata ricercatrice presso l'Universidad Autonoma di Madrid. Ha scritto sull'identità tedesca e italiana nell'arte contemporanea e nella politica, sul cinema tedesco e italiano del dopoguerra e grazie a diverse borse di studio D.A.A.D. ha presentato la sua ricerca a livello internazionale. Attualmente i suoi temi di ricerca riguardano l’arte degli anni Ottanta, in particolar modo quella femminista. Dal 2020 è entrata a far parte del gruppo di ricerca dell’Universitá di Bonn “Contemporary Asymmetrical Dependencies” con un progetto di ricerca sulla costruzione dei nuovi musei e delle condizioni di dipendenza asimmetrica dei lavoratori migranti nell’isola di Saadyat ad Abu Dhabi. Nell'ottobre 2020 ha fondato inWomen.Gallery, galleria online, sostenibile e per artiste. Dal 2017 lavora come giornalista d'arte per la rivista online e cartacea Finestre sull'Arte.



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