Addio ad Alberto Garutti, pioniere dell'Arte Pubblica italiana


È scomparso a 75 anni Alberto Garutti, uno degli artisti italiani più influenti della sua generazione, pioniere dell’Arte Pubblica, autore di opere celebri ed evocative. 

È scomparso ieri, all’età di 75 anni, l’artista Alberto Garutti, uno dei più influenti della sua generazione, pioniere dell’Arte Pubblica in Italia, titolare fino al 2013 della cattedra di pittura all’Accademia di Brera a Milano, e docente in precedenza anche all’Accademia di Belle Arti di Bologna.

Nato a Galbiate (Lecco) nel 1948, si trasferì a Milano negli anni Cinquanta laureandosi in Architettura al Politecnico di Milano e cominciando la propria carriera artistica collaborando con i galleristi Massimo Minini, Lucio Amelio e Paul Maenz, compiendo il suo esordio con una personale nel 1975 alla galleria Diagramma di Milano arrivando al grande successo internazionale relativamente tardi: è del 1990 infatti la sua prima partecipazione alla Biennale di Venezia, con una sala personale al Padiglione Italia in cui aveva presentato opere della serie Orizzonti, lastre di vetro dipinte per metà in bianco e per metà in nero, ognuna dedicata a un committente o a un collezionista (di cui porta il nome), immaginando che la retta dell’orizzonte sull’opera leghi tutti i passi della sua carriera.

Risalgono agli anni Novanta i primi, importanti progetti di arte pubblica, per esempio Quest’opera è dedicata alle ragazze e ai ragazzi che in questo piccolo teatro si innamorarono, ristrutturazione di un teatro a Peccioli dove Garutti appone una lastra con la frase che dà il titolo all’opera e che rappresenta la prima committenza pubblica dell’artista. Comincia da qui il metodo che caratterizzerà tutte le sue opere successive, come spiegato dall’artista stesso: “l’incontro con i cittadini, i destinatari dell’opera, ma indirettamente anche i suoi committenti, inteso come un grimaldello per stimolare un aggiornamento linguistico dell’opera; l’indagine nel territorio, di cui l’opera non intacca la memoria storica, ma anzi ne fa il suo tema; il commento alle dinamiche economiche del sistema dell’arte, per cui l’artista mette a disposizione la propria ‘professionalità’ e l’intero budget per un intervento ‘utile’ alla cittadinanza; il ricorso alla didascalia come dispositivo attivatore e alla dedica come ‘motore perpetuo’ dell’opera”. Sulla stessa linea un’altra delle sue opere più famose, Ai nati oggi (1998), un intervento con cui l’artista rende più intensa la luce dei lampioni di un luogo di una città (una strada, una piazza o un ponte) ogni volta che nasce un bambino, o ancora Dedicato agli inquilini che abitano al di là del muro (1996-1999), sensori che si attivano quando una stanza di un edificio viene abitata da qualcuno, e poi Alba giorno sera notte (1998), centoventi lampadine colorate disposte in una sala di Villa Borromeo a Senago per ricreare i colori del cielo nelle quattro fasi del giorno. Tra le sue opere più note da ricordare anche Il cane qui ritratto appartiene a una delle famiglie di Trivero. Quest’opera è dedicata a loro e alle persone che sedendosi qui ne parleranno, del 2009, una serie di panchine installate a Trivero (Biella) sulle quali sono scolpiti i cani appartenenti alle famiglie del luogo.

Particolarmente evocative opere come Dedicato alle ragazze e ai ragazzi che in questa sala hanno ballato (2000), installata a Palazzo Doria Pamphilj a Valmontone (un’opera che consiste in una serie di sensori che si attivano al passaggio dei visitatori trasmettendo motivi musicali scelti dagli anziani della cittadina laziale, tra quelli che hanno amato in gioventù), Storie d’amore (fotografie di coppie la cui relazione è nata all’Ospedale Sant’Andrea di Roma), Irrigatori (2003), intervento con l’artista che si pone al servizio della natura tra utile e bello modificando un irrigatore per fare in modo che l’azione sul campo da irrigare diventi una sorta di danza, e poi ancora la celeberrima Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora (2004 - ), opera che semplicemente incidendo su una lastra la frase che le dà il titolo vuole suggerire all’osservatore una riflessione sulla sua esistenza e sulla complessità della sua vita.

Risale al 2012 la prima retrospettiva su Garutti, organizzata dal PAC di Milano, mentre è del 2021 l’ultima opera, realizzata per il MAXXI dell’Aquila dietro incarico del Ministero della Cultura. L’ultimo intervento risale invece a febbraio scorso, quando ad Arte Fiera a Bologna aveva riproposto un’edizione di una delle sue installazioni più celebri, Che cosa succede nelle stanze quando le persone se ne vanno?. Nella notte, quando le luci erano spente e gli stand erano deserti, una serie di mobili sparsi nei padiglioni (sedie, tavoli, panche) si accendevano di luce fosforescente: “Viene modificata così”, spiegava l’artista, “la percezione che il pubblico ha dell’opera: essa si può solo immaginare, pensare, aspettare. È in questa tensione immateriale che si svela la natura del lavoro: l’opera si realizza solo nell’incontro con lo spettatore”. Questa era anche la base che animava le sue ricerche.

Addio ad Alberto Garutti, pioniere dell'Arte Pubblica italiana
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