Che i magazzini dei musei e delle soprintendenze siano scrigni di tesori è, tutto sommato, fatto noto. Che Palazzo Montecitorio, dove ha sede la Camera dei Deputati, sia zeppo di opere d’arte è, tutto sommato, altrettanto noto. Meno noto è che diverse centinaia di beni culturali che si trovano dentro la Camera dei Deputati siano lì in “deposito temporaneo”, molti da quasi cent’anni.
Del patrimonio artistico della Camera si torna a parlare periodicamente, in modo spesso caotico e fuorviante, ad esempio quando un qualche partito lamenta che un qualche politico si tenga nel suo ufficio una data opera. Ma la Camera ospita stabilmente oltre 3mila tra disegni, stampe, incisioni, litografie e acquerelli, molti acquistati dagli anni Trenta in poi, altri portati durante i lavori di ristrutturazione del Palazzo curati da Ernesto Basile nella prima parte del Novecento.
Circa mille, spiegano dagli uffici della Camera, sono dipinti, metà dei quali di proprietà della Camera dei deputati, acquistati in particolare negli anni Sessanta (quando fu costituita una commissione ad hoc in seno all’Ufficio di Presidenza, con l’intenzione di promuovere l’arte contemporanea del Novecento, assente dai depositi sino allora presenti a Palazzo) e negli anni Novanta, con la partecipazione della Camera, in qualità di acquirente, alla Quadriennale di Roma e alla Biennale di Venezia. Da allora, non si è proceduto ad ulteriori acquisizioni, salvo un comodato a titolo gratuito dell’opera di Ceroli, il Quinto Stato, del quale – appunto – la Camera dei deputati non è proprietaria. Non si tratta, naturalmente, solo di beni artistici vincolati, ma anche di opere pittoriche “probabilmente non di gran pregio, ma tuttavia facenti parte della collezione”, spiegano gli uffici di Montecitorio.
Di queste 3mila opere, poco più di 800 tra le più significative sono digitalizzate e a disposizione del pubblico anche online, nel sito arte.camera.it. E diverse centinaia, come anticipato, sono in “deposito temporaneo” dal 1926 o 1927: sono la quota più importante tra quelle arrivate a Roma da tutte le allora Soprintendenze d’Italia, per arredare e riempire un palazzo al tempo appena ristrutturato. Delle 825 pubblicate, solo 309 sono di proprietà della Camera. Non solo busti, o rappresentazioni che hanno a che fare con l’Unità d’Italia (battaglie, luoghi simbolo, il ritratto di Napoleone di Andrea Appiani...) ma anche allegorie delle più varie, e copie di alcuni dipinti celebri, quali una Gioconda dalle collezioni di Brera.
Con le varie riforme ministeriali intercorse in decenni, oggi queste opere sono proprietà di una pletora di diversi musei. 181 sono di proprietà delle Gallerie degli Uffizi, 119 vengono da Capodimonte, 46 da Brera e dalle Gallerie Nazionali di Roma (Barberini-Corsini). Per la gran parte non si tratta di capolavori, ma di opere che “a casa” sarebbero probabilmente destinate ai magazzini. L’ultima grande iniziativa di restituzione alle istituzioni originarie è datata 2001, in una commissione presieduta dall’allora deputato Vittorio Sgarbi. “Vennero riportati indietro quadri di Tintoretto e Luca Giordano”, ha spiegato Sgarbi vent’anni dopo. “E in cambio i musei, come compensazione, hanno donato a Montecitorio dipinti che avevano nei magazzini e non esponevano. Magari perché di grandi dimensioni, come quelli risorgimentali di Palazzo Pitti, Uffizi e Capodimonte”.
In realtà qualche quadro di Luca Giordano (attribuito) è rimasto a Montecitorio, ma soprattutto sono rimasti questi 500 circa tra quadri e disegni (450 quelli nella piattaforma pubblica) che lì si trovano dal biennio 1926-1927. Ci sono tra questi quadri di Andrea Schiavone, Francesco De Mura, Domenico Ferri, del Padovanino e tanti altri, oltre a copie e lavori di bottega. Gli uffici della Camera spiegano che vi è un continuo confronto sui beni in deposito, molti dei quali sono stati – su richiesta degli enti proprietari – restituiti nel corso del tempo. L’ultimo, a settembre scorso, verso Palazzo Barberini, che ha provveduto al restauro e all’esposizione in Museo di un’opera di Jacopino del Conte. E ancora, lo scorso 4 dicembre è stato siglato un protocollo di intesa tra Camera e MIC, volto a valorizzare ulteriormente il patrimonio artistico con una nuova stagione di scambi di depositi esistenti.
Il portale arte.camera, che ha aperto nel 2021, è un avanzamento importante per la pubblica conoscenza dei beni che si trovano a Montecitorio, seppur riguardi ad oggi una minoranza dei beni lì conservati. In assenza di un intervento di catalogazione ufficiale, spiegano da Montecitorio, ci si è attestati a rendere pubbliche e fruibili le opere di proprietà presenti nei due cataloghi ufficiali ad oggi esistenti, uno del 1993 (Trombadori e Rivosecchi) e uno del 2006 (Pirovano), arricchendo le schede online con le relative spiegazioni presenti nei cataloghi. Nel frattempo, è stato individuato, unitamente alla Soprintendenza Speciale di Roma e all’Istituto per il Catalogo (ICCD), il criterio di catalogazione come “collezione della Camera dei deputati” e, al termine dello scorso anno, è stata completata l’operazione di ricognizione e di classificazione di 500 dipinti.
Oggi, nella Sala Aldo Moro, la Camera espone a rotazione selezioni tematiche delle opere d’arte presenti nelle proprie sedi. La Camera inoltre segnala che, da ottobre 2020, si è dotata, a seguito di opportuni adeguamenti impiantistici per garantire in particolare le migliori condizioni igrometriche del locale, di uno spazio per dar corso a interventi di restauro e conservazione dei beni artistici. Ciò consente una più puntuale vigilanza sulle diverse fasi delle lavorazioni, oltre che una riduzione dei costi di movimentazione e assicurazione delle opere. In parallelo, vengono documentati su quel sito i più recenti interventi sui beni, attraverso un corredo di testi, foto e video.
Approfondimenti sono resi possibili anche grazie ai Musei proprietari dei dipinti in deposito, che hanno aderito con entusiasmo allo spirito dell’iniziativa. La loro collaborazione non si è, quindi, limitata all’attività istituzionale di vigilanza nell’esecuzione dei lavori, ma ha portato alla redazione di schede descrittive che, contemperando l’aspetto tecnico con quello divulgativo, raccontano il restauro e la storia dell’opera, spiega lo staff di Montecitorio. Tutti i beni catalogati (e ad oggi maggiori rispetto a quelli rinvenibili sul portale) sono consultabili sul Catalogo dei Beni culturali nazionali online, la piattaforma chiamata SIGECWeb. Proprio in queste settimane, spiegano da Montecitorio, si sta procedendo all’integrazione dei beni di proprietà non presenti ancora sul sito della Camera, ma catalogati dalla Soprintendenza. L’operazione, presumibilmente, si concluderà nel corso del mese di novembre-dicembre 2025.
L'autore di questo articolo: Leonardo Bison
Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.