I due dipinti “italiani” di Gustav Klimt: “Le Tre età della donna” e la “Giuditta II”


Sono gli unici due dipinti di Gustav Klimt conservati in Italia: sono “Le tre età della donna” e la “Giuditta II”, il primo si trova a Roma e il secondo a Venezia.

La donna è stata raffigurata da Gustav Klimt (Baumgarten, 1862 – Vienna, 1918) nella maggior parte dei suoi dipinti, venendo esaltata ora per la sua sensualità, ora per la sua fierezza. Il corpo femminile, tutt’altro che nascosto, diviene simbolo di seduzione e di dolcezza materna, caratteristiche che ogni donna possiede. Elementi che appaiono evidenti anche nelle uniche due opere klimtiane custodite in Italia (se si fa eccezione per il ritratto femminile rubato dalla Galleria Ricci Oddi di Piacenza nel 1997): la Giuditta II e le Tre età della donna, protagoniste di un’arte che intende rappresentare su tela ogni aspetto del femminino, dalla donna-bambina alla donna-fatale, dalla passione carnale alla maternità, alla vecchiaia. In ogni caso, una donna consapevole della sua essenza, del suo temperamento e della sua femminilità. Del resto, l’arte del pittore austriaco si colloca in un’epoca in cui la sessualità e gli studi su di essa invadono ogni campo del sapere, soprattutto nella Vienna degli inizi del Novecento, grazie all’apporto medico e psicanalitico di Sigmund Freud (Freiberg, 1856 – Hampstead, 1939) e a quello letterario di Arthur Schnitzler (Vienna, 1862 – 1931). Contributi fondamentali che travalicarono le convenzioni e il perbenismo borghese e che resero la nudità un aspetto naturale dell’essere umano, volto a una maggiore conoscenza e consapevolezza del proprio corpo.

La nudità ricorre infatti nelle figure femminili di Klimt, da quelle in tenerà età a quelle più mature: lo si palesa inequivocabilmente nel celebre olio su tela Le tre età della donna, conservato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, alla quale fu destinato dopo che lo stato italiano lo acquistò nel 1911. Un’opera che ripercorre una accanto all’altra le tre fasi della vita di una donna: nella parte a destra sono raffigurate frontalmente una giovane donna che tiene in braccio, stringendola a sé, una bambina, mentre nella parte a sinistra è rappresentata di profilo un’anziana. I due nuclei di figure paiono allo stesso tempo vicine ma lontane, poiché oltre ad essere state dipinte da punti di vista differenti, anche i loro rispettivi sfondi sono diversi; tuttavia, sono poste in un unico nucleo centrale per significare presumibilmente una sorta di successione temporale insita al corso della vita. La bambina e la giovane donna sono teneramente abbracciate, come una madre fa con sua figlia; sono entrambe nude, cosicché ognuna di esse sente il calore del corpo dell’altra e ciascuna vive di tale calore, di questo incommensurabile amore. Entrambe tengono gli occhi chiusi, come per godere appieno di questo intimo momento materno e un grande senso di tenerezza traspare dall’avvicinarsi dei due volti, entrambi distesi e rilassati, nonché leggermente arrossati sulle guance, probabilmente per evidenziare quel calore di cui si è parlato in precedenza.

Gustav Klimt, Le tre età della donna (1905; olio su tela, 180 x 180 cm; Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea
Gustav Klimt, Le tre età della donna (1905; olio su tela, 180 x 180 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)


Gustav Klimt, Giuditta II (1909; olio su tela, 178 x 46 cm; Venezia, Galleria Internazionale d'Arte Moderna di Ca' Pesaro)
Gustav Klimt, Giuditta II (1909; olio su tela, 178 x 46 cm; Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro)

L’anziana è posta di profilo verso le due figure citate, con cui l’unico contatto visibile appare quello tra i capelli della prima e i capelli rossi e la spalla destra della giovane donna. Il viso della figura più matura è nascosto dalla chioma di capelli ricci e grigi che le scende sul seno, e inoltre con una mano si copre ulteriormente il volto. Il suo corpo è segnato dall’età e dalla passata maternità: la pelle sembra quasi indurita dal tempo e raggrinzita, l’ossatura è scarna e curva, il seno ha perduto la sua solidità e il ventre pronunciato indica una lontana gravidanza. Altro particolare da notare è la differenza tra le rispettive mani delle donne: quella dell’anziana è caratterizzata da una visibile ruvidità con dita sottili e nodose; più delicate, lisce e bianche quelle della giovane madre, con cui tiene la bambina. La piccola manina di quest’ultima spunta teneramente sotto il piccolo mento per appoggiarsi al seno della mamma.

La vicinanza della figura più matura alle altre due indica una volontà di presenza fisica e affettiva, ma con la sua posizione è come se volesse lasciare spazio alle più giovani, che hanno davanti una vita intera, ancora da godere appieno, mentre lei sta andando verso il declino. Sottolineano infatti la fertilità i fiori che cingono il capo della mamma e che le ricadono sulle spalle; le gambe sono inoltre avvolte da un sottile e leggero velo azzurro che avvolge in parte anche quelle della bimba: forse ad indicare lo stretto e inseparabile legame che unisce queste ultime.

Riguardo ai rispettivi sfondi, visibilmente differenti, si potrebbe affermare che il senso di vitalità e di fertilità pervade le decorazioni nelle quali sono immerse madre e figlia: un campo di fiori variopinti dalle piccole e medie dimensioni e dai colori vivaci; su uno sfondo un po’ dorato e un po’ nero è collocata invece l’anziana, ad indicare probabilmente un’età in cui coesistono la vita (con piccoli fiorellini dallo stesso tono spento) e il pensiero della morte (dove non esistono più fiori). Significativa in questo senso è la superficie su cui poggiano i piedi di quest’ultima: a cavallo di una specie di linea, uno è collocato nell’area dorata, mentre l’altro, quello più esterno, è posto nell’area di colore nero senza fiori, senza forme di vita. Come fosse a cavallo tra la vita e la morte. La mano portata al viso potrebbe essere in questo senso un segno di tristezza per la sua esistenza quasi giunta al termine.

Influente per le decorazioni che fanno da sfondo alle tre donne fu il viaggio che Klimt compì nel 1903 a Ravenna, nella terra dei mosaici: nei dipinti del pittore austriaco, gli ornamenti rimandano, sia per i colori che per la composizione, alla tecnica del mosaico. L’artista provò incredibile stupore quando visitò la Basilica di San Vitale e tutti gli altri luoghi di Ravenna dove il gusto bizantino ha prodotto meravigliosi capolavori, ancora oggi ammirati e amati da migliaia di persone, in cui il blu, il verde e l’oro creano elaborate ma precise e definite composizioni. Molto simile, a parere di chi scrive, agli sfondi ornamentali di questo dipinto klimtiano, è la volta a botte e la cupola con motivi floreali e stellati del Mausoleo di Galla Placidia. L’ispirazione ravennate diede vita a celebri suoi capolavori, caratterizzati sia da questi motivi variopinti e floreali che da tasselli dorati da mosaico da cui scaturì il “periodo aureo” della sua produzione. È del 1905 il dipinto de Le tre età, appena due anni dopo il suo viaggio nella città romagnola; venne esposto nella sala allestita con opere di Klimt alla Biennale di Venezia del 1910, insieme alla Giuditta II del 1909, oggi conservata alla Galleria d’Arte Moderna di Venezia (fu acquistata dal Comune di Venezia nel 1910).

Ravenna, Mosaici nella Basilica di San Vitale. Ph. Credit Finestre sull'Arte
Ravenna, Mosaici nella Basilica di San Vitale. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Ravenna, Mosaici della volta del Mausoleo di Galla Placidia
Ravenna, Mosaici della volta del Mausoleo di Galla Placidia


Ravenna, Mosaici della cupola del Mausoleo di Galla Placidia
Ravenna, Mosaici della cupola del Mausoleo di Galla Placidia. Ph. Credit Finestre sull’Arte

L’artista aveva già rappresentato sulla tela l’eroina biblica, divenuta simbolo della forza e del coraggio femminile e di vendetta contro i soprusi maschili: la bella e giovane Giuditta riuscì a salvare il suo popolo ebraico seducendo il generale assiro Oloferne, che aveva assediato il territorio avversario, e infine uccidendolo tagliandogli la testa. Klimt compì la Giuditta I, oggi conservata all'>Österreichische Galerie Belvedere di Vienna, nel 1901. Un’opera carica di sensualità e di erotismo che traspare dal corpo e dallo sguardo della figura femminile: la veste che lascia vedere il seno scoperto e lo sguardo ammiccante catturano lo spettatore; è una femme fatale quella che ci si trova davanti. La testa di Oloferne si intravede per metà nell’angolo in basso a destra, tenuta per i capelli dalla donna, in un gesto simile a una carezza, ma che in realtà nasconde un atto omicida. Si pensa che l’artista, per la realizzazione di questo dipinto, abbia preso a modello Adele Bloch-Bauer, donna dell’alta società di Vienna, di cui fece il ritratto nel 1907.

Persiste anche nella Giuditta II la caratteristica figura slanciata, quasi monumentale, che dona sensualità alle donne di Klimt, ma, a differenza della Giuditta precedente, questa è raffigurata di profilo e con linee maggiormente curve, dando l’impressione che l’eroina sia seduta con le gambe da un lato. Lo sguardo non è rivolto verso l’osservatore e il seno risulta interamente scoperto senza alcuna veste sul busto; una decorazione con motivi geometrici l’avvolge dal ventre in giù, lasciando fuori solo le mani. Con una mano ricca di bracciali con pietre preziose tiene a penzoloni per i lunghi capelli la testa del generale Oloferne, del quale si intravede un volto dai lineamenti più fini e curati rispetto a quello ritratto nella Giuditta I. Quest’ultimo aveva infatti un aspetto più rude, con una folta barba e folti capelli. Da notare il fatto che nella Giuditta II la testa tagliata sembra essere introdotta in un sacco di colore nero, come in effetti fece l’eroina biblica con l’aiuto della sua ancella per fuggire dalla tenda del generale assiro. Un elemento che dovrebbe far riflettere sull’attribuzione del soggetto rappresentato: questo dipinto infatti è stato accostato in molti casi alla raffigurazione di Salomè, altra donna biblica legata alla decapitazione di un uomo, ma in quell’occasione la testa di san Giovanni Battista venne portata su un vassoio.

Gustav Klimt, Giuditta I (1901; olio su tela, 84 x 42 cm; Vienna, Österreichische Galerie Belvedere)
Gustav Klimt, Giuditta I (1901; olio su tela, 84 x 42 cm; Vienna, Österreichische Galerie Belvedere)


Gustav Klimt, Ritratto di Adele Bloch-Bauer (1907; olio su tela, 138 x 138 cm; New York, Neue Galerie)
Gustav Klimt, Ritratto di Adele Bloch-Bauer I (1907; olio su tela, 138 x 138 cm; New York, Neue Galerie)


Arte assira, Rilievi di Lachish, dettaglio (700 a.C. circa; gesso; Londra, British Museum)
Arte assira, Rilievi di Lachish, dettaglio (700 a.C. circa; gesso; Londra, British Museum)

Anche gli sfondi delle due versioni della Giuditta sono nettamente differenti: nella prima è visibile un paesaggio stilizzato con alberi e colline completamente dorato, citazione di un rilievo assiro del Palazzo di Sennacherib a Ninive (e oggi conservato al British Museum). In questa tela l’oro è il colore predominante, che oltre al paesaggio invade con ornamenti circolari la veste trasparente e il lussuoso collare in stile liberty, nonché la stessa cornice realizzata dal fratello dell’artista, Georg (Vienna, 1867 – 1931), scultore e cesellatore. Le decorazioni della seconda presentano, come già affermato, motivi geometrici che vanno dalla spirale, al triangolo e al rettangolo; qui inoltre l’oro fa da cornice alla composizione pittorica che vede l’alternanza di neri, gialli, rossi, viola, bianchi e blu.

Gabriella Belli, curatrice della mostra Attorno a Klimt. Giuditta, eroismo e seduzione che si è tenuta a Mestre da dicembre 2016 a marzo 2017, ha scritto nel catalogo della rassegna: “Giuditta risalirà i secoli fino all’età di Klimt, via via spogliandosi nella letteratura, nella poesia e nell’arte della sua castità, della sua virtù e di quella fortitudine che l’aveva sorretta nella prova del suo estremo gesto di eroismo, in un’inversione negativa del mito che sarà appunto cantato da Klimt nel magnifico dipinto del 1909. Quella che il maestro viennese ci mostra non è più un’eroina della storia, non è una salvatrice, non è casta, piuttosto è una donna che ha scoperto la propria sessualità, che rifiuta la propria marginalità sociale, che ha disceso il buio dell’inconscio scoprendo le proprie più intime pulsioni, anche quelle legate al desiderio di dare morte”.

Le donne protagoniste delle opere citate di Klimt rappresentano nei loro atteggiamenti e nelle loro pose la cultura viennese d’inizio Novecento, rendendo tuttavia evidenti gli influssi che l’artista ebbe dall’Italia, dai celebri monumenti di Ravenna. Opere dove pittura e mosaico convivono su straordinarie e suggestive tele, divenute capolavori della storia dell’arte.

Bibliografia di riferimento

  • Dani Cavallaro, Gustav Klimt. A Critical Reappraisal, McFarland, 2018
  • Gabriella Belli (a cura di), Attorno a Klimt. Giuditta, eroismo e seduzione, catalogo della mostra (Mestre, Centro Culturale Candiani, dal 14 dicembre 2016 al 5 marzo 2017), Linea d’Acqua, 2016
  • Patrick Bade, Gustav Klimt, Parkstone International, 2011
  • Robert Weldon Whalen, Sacred Spring: God and the Birth of Modernism in Fin de Siècle Vienna, William B. Eerdmans Publishing Company, 2007
  • Eligio Imarisio, Donna poi artista: identità e presenza tra Otto e Novecento, FrancoAngeli, 1996
  • Adriano Donaggio, Biennale di Venezia: un secolo di storia, Giunti, 1988

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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, sono co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. Sono nata a Carrara nel 1987 e mi sono laureata a Pisa. Sono responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.

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