L'overtourism è un problema enorme. Ecco cosa si dovrebbe fare secondo gli esperti


L’overtourism è un problema che comincia a diventare insostenibile, è sentito in tutta Italia ed è purtroppo tornato d’attualità dopo la pandemia. Cosa fare? Ecco cosa dicono gli esperti.

“Dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, da Scilla al Don, dal Mediterraneo all’Atlantico...” si potrebbe citare Manzoni a mettere in fila le località di ogni latitudine e altitudine i cui sindaci o opinion leader si siano espressi sulla richiesta di trovare una modalità di contenere o addirittura limitare i flussi turistici che inondano (e rendono ricche) le loro città, litorali o borghi. “Overtourism”, lo chiamano (dove ‘Over’ sta per ‘troppo’, in senso molto negativo). Con il rischio di snaturare ecosistemi naturali fragili (l’impatto del turismo di massa è tracimante in termini di rifiuti prodotti e ‘usura’ di sentieri, litorali, arenili) o trasformare urbanisticamente i centri cittadini espellendo residenti e botteghe storiche a tutto vantaggio di attività ricettive, ristorazione e case trasformate in posti letto da affittare. Dei grandi dormitori con Disneyland fuori la porta.

Con il rischio, come esprime bene Niccolò Fabi in una sua canzone, della perdita del racconto interpersonale delle città contemporanee dove la comunità si sta sgretolando, i centri storici che sono abbandonati dalle famiglie dei residenti per far posto a case vacanze e dove quindi spesso non c’è più la quotidianità di una comunità che si conosce, che si vede in piazza per raccontarsi le cose, e ci sono solo turisti che sono di passaggio. Città che tendono ad assomigliarsi sia nelle architetture, nelle scelte dei centri commerciali, nelle scelte estetiche e che fanno perdere la personalità di ciascuna di esse.

Dopo il fine settimana di Pasqua sono riemerse voci che forse la pandemia aveva in parte sopito e che ora – con la voglia di tornare a viaggiare per recuperare il tempo perduto – riesplodono in tutta la loro complessità dopo due anni di turismo zero. Nei mesi scorsi ci siamo occupati di Venezia che vuole introdurre l’accesso a numero chiuso o limitare la destinazione d’uso di case private ad affitti turistici (nella città lagunare sono circa 7mila le abitazioni destinate a locazione turistica che si contano sui portali web e che equivalgono a 30mila posti letto, mentre gli abitanti della città storica invece continuano a diminuire nel tempo: meno di 50mila nel 2022, nel 2000 erano 65mila, nel 1950 175mila) e Firenze che, non potendo fare come Venezia (che può limitare la destinazione d’uso delle locazioni brevi in forza della Legge speciale su Venezia del 1973 che per ovvi motivi conferisce al sindaco maggiori poteri rispetto ai colleghi di terra ferma, e a cui è stato aggiunto un emendamento l’anno scorso nel corso dell’approvazione del ‘DDL Aiuti’ con il quale può stabilire un limite di 120 giorni l’anno per gli affitti brevi occasionali), invece vuole chiedere un obolo ai forestieri tramite sms direttamente sul telefonino appena varcato il suolo comunale (della serie, appena oltrepassata la linea: “Chi siete? Quanti siete? Un fiorino”); ma il problema è generalizzato e anche le Cinque Terre lanciano un appello per evitare l’assembramento (non da covid) in un posto con un ecosistema fragile come il loro, oppure città culturali medio grandi o universitarie che vedono schizzare in alto il mercato degli affitti (da Como alla Costiera Amalfitana, da Assisi a Lecce). Fino ai sindaci di 12 città d’arte che fanno fronte comune chiedendo al governo di intervenire con una legge nazionale visto che ogni ordinanza o norma locale non ha effetto, e fino alla presa di posizione del ministro del Turismo Daniela Santanchè in una intervista al quotidiano Il Messaggero: “Occorre una stretta sugli affitti brevi, i B&B sono un far west. Non chiuderemo le città d’arte”.

Turisti alla Fontana di Trevi
Turisti alla Fontana di Trevi
Turisti alla Stazione di Manarola (Cinque Terre). Foto: Wikimedia Commons/Chabe01
Turisti alla Stazione di Manarola (Cinque Terre). Foto: Wikimedia Commons/Chabe01

Il problema dell’overtourism era sentito già da prima della pandemia e Finestre sull’Arte nei mesi scorsi aveva provato a sentire cosa proponevano al riguardo alcuni soggetti titolati del mondo del turismo. Uno dei massimi esperti del settore come Antonio Preiti sulla misura del numero chiuso a Venezia aveva spiegato come secondo lui servisse una “formula che alimenti desiderio di apprezzamento della città e modulare il ticket d’ingresso intorno al desiderio di quell’apprezzamento: tanto più ‘apprezza’ la città usufruendo di musei o alloggiando in alberghi, ad esempio, tanto meno si deve ‘tassare’ questa persona per il suo ingresso in laguna”. Un ticket dunque, nelle sue valutazioni, che distingua tra persona e persona, un contributo richiesto in maniera flessibile in base al comportamento in città di ognuno. “Stabilirei criteri non legati al reddito”, spiegava, “ma alla dimensione turistica, il criterio economico è quello più antipatico. Servirebbero criteri più legati al turismo: chi non dorme e non vede musei e visita Venezia solo come esperienza da entertainment, una visita da ’selfie’ su ponte Rialto, tanto per intendersi, può anche pagare un ingresso” .

Paola Migliosi, fiorentina e presidente italiana di Confguide, ci spiegava che “occorre destagionalizzare, diluire e spostarlo anche in mete meno battute. Servono eventi importanti come grandi mostre per attirare nuovo pubblico, penso ad esempio a quello che stanno facendo gli Uffizi e Palazzo Strozzi a Firenze. Andrebbe valorizzato di più un museo di arte contemporanea come il Pecci di Prato ed altri come lui. Perché il turismo altrimenti soffocherà le città d’arte. Si dovrebbe parlare di bellezza, non di mangiare”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il Direttore Europa di UNWTO (Organizzazione Mondiale del Turismo), l’Agenzia ONU per il turismo, Alessandra Priante, che parlava di necessità di programmazione e gestione dei flussi attraverso la collaborazione con questi giganti del web: “È importante sedersi a un tavolo con questi grandi player internazionali delle prenotazioni online, e dopo averli ringraziati per lo sviluppo del territorio che hanno generato (perché sono molto bravi a fare marketing territoriale) gli chiediamo di condividere con noi delle regole e delle forme di contributo per investire una parte del guadagno che hanno in serie di cose per le nostre destinazioni turistiche”. E per le città d’arte “i drive degli eventi sono molto importanti perché consentono di portare persone in più. Le persone non viaggiano per andare a vedere un museo ma per mangiare e bere bene e fare cose interessanti. Non ci illudiamo del resto. Per la cultura si deve trovare il modo per essere fruita in modo più efficiente: niente code, facilitazioni e altri collateral. Pensare più al collateral che all’oggetto: l’oggetto c’è e non ha nemmeno bisogno di essere promosso. Le persone viaggiano nelle città d’arte perché sono belle e non perché c’è il singolo museo”.

E rispetto al turismo ‘mordi e fuggi’ e la ricerca del tanto decantato turismo di “qualità” il patron di Th Resorts Graziano Debellini ci disse che “il Turismo di qualità non può coincidere con il turismo dei ricchi. Si può avere una barca di 70 metri ma fare un’esperienza triste. Tra 32 mila alberghi italiani, ne abbiamo 28mila sotto le 30 camere e dobbiamo quindi immaginare che tantissimi siano gestiti da famiglie. Ci sono tante famiglie che lo fanno, io lo vedo in Trentino, in un modo straordinario e ti fanno vivere una grande esperienza, perché c’è una valorizzazione del concetto di ospitalità e un’attenzione ai dettagli: hanno una o 2 stelle ma ti danno un “prodotto” da 12 stelle! Quindi la qualità, il riscontro positivo non dipende dalla ricchezza, dalla capacità di spesa o dalla quantità di servizi erogabili. Dipende dalle persone. Questa è qualità. La qualità è legata allo spessore umano di chi accoglie”.

Il disagio è comune, in tutta Italia. Lo scrittore Maurizio Maggiani ha accusato come le Cinque Terre (che in tutto contano 3mila abitanti rispetto ai 3 milioni e 300mila turisti all’anno che vi si riversano) “siano state trattate come Disneyland. Non vi stupite dell’assedio dei turisti. Visto che siamo a Pasqua e si dice che c’è redenzione solo dopo l’espiazione, penso che per le Cinque Terre questo dovrebbe significare la rinuncia ad una parte dell’arricchimento smodato accumulato in questi anni”. E il sindaco di Riomaggiore la pensa nello stesso modo proponendo un numero chiuso di ingressi in certi periodo dell’anno, anche se la proposta vede contrari il sindaco di Vernazza e il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Il problema è serio perché questa voglia di mettere a reddito l’appartamento ai turisti piuttosto che a una famiglia sta facendo esplodere il mercato degli affitti con studenti universitari e famiglie a dover fare i conti con cifre da capogiro o – nella peggiore delle ipotesi – a non trovare alloggi da prendere in affitto.

Turisti a Venezia. Foto: Stefano Accorsi
Turisti a Venezia. Foto: Stefano Accorsi
Turisti a Venezia. Foto: Jean-Pierre Dalbéra
Turisti a Venezia. Foto: Jean-Pierre Dalbéra

Ma la questione è dilagante. A Verona, ad esempio, città da 255mila abitanti, a fronte di 66 alberghi troviamo 4mila appartamenti che si offrono nelle varie piattaforme web appositamente per essere prese in affitto qualche notte per chi vuole andare a vedere il balcone di Romeo e Giulietta. Stessa cosa sul Lago di Garda dove Federalberghi lamenta che spesso queste attività di affitto “si sottraggono alle normative in vigore sul turismo” riferendosi cioè ad esempio alla tassa di soggiorno. Senza contare la concorrenza da parte loro considerata “sleale”, in quanto una struttura ricettiva ha degli obblighi normativi su impiantistica, sicurezza, igiene, antincendio e quanto altro, mentre chi affitta la casa della nonna a turisti stranieri non ha dovuto sostenere spese minimamente paragonabili. Se poi pensiamo a proprietari di case che vengono da esperienze di sfratto dove anche dopo due anni ancora non si riesce a recuperare l’immobile, si capisce che chi ha la casa si stia buttando sui tanti turisti per pochi giorni disposti a spendere anche molto, piuttosto che prendere una famiglia con contratti per lunghi anni.

A Bologna qualche mese fa si fece sentire addirittura il Magnifico Rettore dell’Alma Mater Giovanni Molari: “Case introvabili, adesso basta ai B&B. I genitori dei ragazzi sono disperati. Occorre una legge nazionale e intervenire sulle situazioni ambigue e illegali". Gli iscritti fuori sede all’ateneo bolognese infatti sono 45 mila (i non residenti in Emilia Romagna. La metà del corpo studentesco) e i posti letto negli studentati appena 1600. Non c’è altro da dire. Stessa musica stesso mare anche al sud: a Ostuni la zona ottocentesca della Città bianca da mesi combatte contro l’immondizia cresciuta e lasciata abbandonata dove capita vedendo salire il costo della tassa sui rifiuti ai residenti del 100% in un anno.

A Napoli il turismo va bene, anche troppo: annunciato l’aumento della tassa di soggiorno per far fronte alle spese derivanti dal turismo. "Il weekend di pasqua è stato un grande successo una presenza che è andata al di là anche delle nostre previsioni”, ha commentato il sindaco Manfredi a La Repubblica: “Noi abbiamo il tutto esaurito fino a giugno, quindi oramai è un percorso tracciato. Poi abbiamo tutto il tema di una regolamentazione delle case vacanze, bed and breakfast, flussi nelle strade, dobbiamo abituarci a un turismo molto alto e anche continuo nel tempo e quindi è necessario un piano di gestione che progressivamente metteremo in campo per migliorare l’accoglienza in città“ ma ”questo grande flusso turistico - ha spiegato - porta tante risorse nell’economia della città e questa è una cosa che ci fa piacere perché crea lavoro, crea opportunità per tanti, però poi ricadute sulle casse del comune non ci sono perché noi non è che abbiamo, ad eccezione sulla tassa del turismo, altro che ricade mentre i costi dei servizi crescono. Perciò è anche questo un tema che dobbiamo progressivamente affrontare per fare in modo che ci siano le risorse per affrontare tutto questo incremento di servizi che sono indispensabili. Da qui l’idea di aumentare di 50 centesimi della tassa di soggiorno per i turisti”.

Ma una via normativa va trovata e da qui l’appello dello scorso 6 aprile dei sindaci di Bologna, Bergamo, Firenze, Lodi, Milano, Napoli, Padova, Parma, Roma, Torino, Verona al Governo per una legge che permetta loro di fermare la proliferazione di case adibite a B&B e similari, dopo la pubblicazione dello studio di “Alta tensione abitativa” sullo spopolamento dei centri urbani a vantaggio della rendita da turismo. Il sindaco Matteo Lepore ha seccamente classificato “il mercato degli affitti brevi socialmente insostenibile”. Filippo Celata, professore ordinario della Sapienza di Roma, ha calcolato che il rapporto tra intere case sulla piattaforma e il totale degli alloggi residenziali nelle zone più turistiche della città è quasi di uno a tre. ”Serve una legge nazionale per mettere un tetto ai micro affitti” cercando di colpire la rendita di chi ne fa un uso spropositato e non certo il piccolo proprietario che mette in affitto la casa del nonno arrotondando lo stipendio, affermando il principio “one home one host”, una casa un proprietario. Occorre mettere un tetto ai soggetti imprenditoriali che che gestiscono decine di alloggi. “Oggi”, ha detto il sindaco di Firenze a Repubblica, “è difficile trova persone che affittino su Airbnb per sbarcare il lunario. Il fenomeno era nato così, si affittava la vecchia casa della nonna. Ora ci sono interi isolati sulle piattaforme on line della locazione breve. E ci sono agenzie e fondi che li affittano. È un fenomeno che ha drogato il mercato immobiliare in tutto il Paese, rendendo di fatto impossibile per una giovane coppia o per una famiglia con reddito medio acquistare un appartamento in un centro storico, a Firenze come a Roma o Milano”. Da segnalare che nella città di Dante ci sono oltre 1.100 alloggi Airbnb in mano a 20 aziende e i primi tre della classifica ne controllano rispettivamente 169, 109 e 102, quasi tutti nel centro storico. A rilevarlo è il sito Inside Airbnb da cui si evince inoltre che soltanto il 33% degli 11mila host metta sul mercato un solo appartamento in riva d’Arno.

Così anche l’assessore al Turismo di Roma Capitale Alessandro Onorato: “Non è possibile che con un click oggi chiunque possa aprire qualunque struttura ricettiva extralberghiera, non è più tollerabile il far west. Serve concedere ai Comuni la possibilità di regolamentare il fenomeno dell’extralberghiero, stabilendo dei meccanismi che limitino le nuove aperture. Il secondo per istituire l’obbligo sui portali online Airbnb, Booking, Expedia, e su tutti i motori di ricerca, di pubblicare solo gli annunci delle strutture dotate del codice identificativo rilasciato dal Comune. Se così non sarà presto il centro storico è destinato a morire, a diventare invivibile per cittadini e un’esperienza di basso livello per turisti”.

Gli enti locali e le regioni infatti non hanno strumenti normativi per impedire attività imprenditoriali a singoli o a soggetti economici in quanto non è in loro potere. In base alla divisione dei compiti sancita dalla Costituzione così modificata nel 2021 al Titolo V, il turismo è sì tema di competenza regionale ma la libera concorrenza è in capo allo Stato. E limitare a qualcuno di aprire una qualsiasi attività è materia economica e concorrenza (l’attività imprenditoriale è definita dal Codice Civile) che quindi spetta al Parlamento e al Governo regolamentare. Quello che propone Roma lo ha già fatto però la Regione Toscana con la Legge Regionale 89 del 2016 dove si trovò un sistema normativo che fosse equilibrato tra la comprensibile attività di arrotondamento del reddito del pensionato o del singolo che ha ereditato la casa del nonno e quelli che invece ne fanno una vera e propria attività professionale svuotando letteralmente interi palazzi del centro per trasformarli in appartamenti standardizzati per turisti. Praticamente dei caseggiati che sono degli alberghi con l’unica differenza che non c’è la reception e il personale. La Legge Regionale 86 della Toscana quindi, “per distinguere chi affitta una parte della propria casa da chi, invece, fa dell’affitto ai turisti di una o più case una vera e propria attività – spiegava nel 2019 Stefano Ciuoffo, assessore al Turismo dal 2015 al 2020 - avevamo individuato nel Testo unico (art. 70 e 71 della Legge Regionale 86 del 2016) una formula oltre la quale dovesse scattare il riconoscimento implicito dell’attività imprenditoriale e quindi il regime fiscale e normativo cui sono soggette le imprese, al pari delle strutture ricettive classiche. Al di là del criterio trovato (80 contratti annuali complessivi per chi affitta tre immobili), che poteva essere o meno considerato congruo, chi superava tale soglia era soggetto agli obblighi di una struttura ricettiva. I due articoli però sono stati impugnati dal Governo, dato che, secondo la Consulta, hanno invaso una materia di esclusiva competenza dello Stato, cioè concorrenza e attività imprenditoriale. Stato che nel 2017 è intervenuto (art. 4 dlg 50) indicando solo nel Ministero dell’Economia e delle Finanze il soggetto che può indicare chi svolge o meno questa attività in forma imprenditoriale. Da allora, nonostante ripetute e formali richieste da parte di tutte le regioni, il Mef non è intervenuto su questa materia. Intervento che, viste le dimensioni del fenomeno, sarebbe ormai urgente e prioritario”.

Turisti a Firenze. Foto: Yair Haklai
Turisti a Firenze. Foto: Yair Haklai
Turisti a Firenze. Foto: Yair Haklai
Turisti a Firenze. Foto: Yair Haklai

L’obbligo di registrarsi sul portale della Regione per poter affittare è entrato in vigore ma per tutto il resto da Roma tutto tace. Ci aveva provato nel 2022 il Ministro al Turismo Garavaglia del Governo Draghi che, ricalcando sostanzialmente la legge toscana con il combinato disposto del numero di notti e del numero di immobili posseduti identificati da un codice, aveva presentato un Disegno di legge che però non è andato in porto in quanto ci sono state le elezioni anticipate e si fermò tutto. Sulla bontà dell’impianto della legge toscana d’altra parte non si può non ricordare un comunicato di Federalberghi Toscana che la definì “una pietra miliare nella trasformazione economica della Toscana, e di questo va dato merito”. Garavaglia inoltre, nel 2021, due anni dopo l’entrata in vigore della Toscana, aveva dato il via alla banca dati che mappa le strutture ricettive con un codice identificativo per contrastare abusivismo e irregolarità, firmando l’apposito decreto attuativo.

Adesso le carte sono in mano alla ministra Santanchè che si è espressa in modo netto: “È un problema globale, le persone che si muovono stanno aumentando in modo esponenziale e le località da visitare in Europa sono più o meno sempre le stesse. Penso a Roma, Firenze, Venezia. Io non credo al numero chiuso per l’accesso ai centri storici mentre sul tema degli affitti brevi servono nuove regole. Il far west deve finire. Le poche regole esistenti non vengono applicate. Servono regole vere e stiamo aspettando ciò che elaborerà l’Europa, tenendo conto però di alcune peculiarità come ad esempio i piccoli borghi dove non ci sono alberghi e l’affitto breve in una casa è l’unica soluzione. Inoltre per noi la casa è sacra e se una famiglia decide di affittare una stanza non è giusto impedirlo. Discorso diverso invece se tu affitti con questa formula 20 appartamenti” afferma la ministra per la quale “intanto dobbiamo capire quanti sono gli affitti brevi e dove sono. Dobbiamo fare una mappatura perché ad oggi non esiste. Dopo avremo una fotografia completa interverremo”. Quindi di fatto approva quanto fatto dalla Regione Toscana con il registro dove si devono segnare i proprietari a cui viene dato un codice identificativo.

In Italia però c’è chi il numero chiuso lo ha messo nero su bianco con tanto di cifra finale: la provincia autonoma di Bolzano, infatti, con una delibera di 13 pagine (italiano/tedesco) ha fissato il tetto annuo in 34 milioni di pernottamenti, “ovvero il numero di presenze turistiche che registrammo nel 2019“ spiega Arnold Schuler l’assessore al turismo della Provincia. ”Ci siamo accorti - racconta - che il nostro territorio, la nostra comunità e le nostre risorse, acqua, territorio, energia, erano arrivate ad un livello di sfruttamento che non doveva e poteva essere più superato. Così, con una delibera abbiamo deciso di introdurre un limite massimo di pernottamenti”. E già era così per l’accesso all’Alpe di Siusi, l’altopiano più vasto d’Europa parte delle Dolomiti - dove l’unica strada è chiusa al traffico privato dalle 9 alle 17, a meno che non si sia prenotato un soggiorno in una delle non molte strutture presenti, e quindi vi si può arrivare solo tramite cabinovia o con il bus navetta.

Da epitaffio la severa constatazione di Cristina Acidini, ex Direttrice del Polo museale fiorentino ed attuale direttrice Accademia delle Arti del Disegno (l’Istituzione erede della più antica accademia artistica fondata da un potere pubblico nel mondo, 1563, che nel 1784 cambiò il nome in Accademia di belle arti di Firenze: tra i suoi membri sono stati Michelangelo Buonarroti, Benvenuto Cellini, Andrea Palladio, Galileo Galilei, Lorenzo Bartolini, per giungere fino a Pablo Picasso) che su La Nazione ha sottolineato come non ci sia “più il concetto del viaggiare educativo, noto più un passaggio inconsapevole tra tesori che si devono vedere per forza ma che forse neanche si comprendono” e, aggiungiamo noi, per occupare il tempo prima e dopo un pasto tipico del luogo. Proprio come diceva Alessandra Priante: la gente viaggia per andare a mangiare. Buon appetito.


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