Antonio Preiti: “Limitare gli ingressi a Venezia? Sì ma non sempre, e non con criteri economici”


Cosa ne pensa dell'idea di limitare gli ingressi a Venezia e Firenze uno dei massimi esperti italiani di comportamenti sociali collettivi? Abbiamo parlato di questo argomento con Antonio Preiti, direttore di Sociometrica. Che offre la sua ricetta.

Ticket, biglietti oppure offerte libere per entrare nelle nostre città: da Firenze, dove il sindaco Dario Nardella lancia l’idea di un donativo dei turisti che arrivano nel centro storico, a Venezia dove è allo studio l’idea del numero chiuso, le nostre città dove il turismo di massa morde di più cercano di porre un freno e provano a immaginare strumenti di governo dei flussi turistici che stanno tornando rapidamente a essere quelli pre-pandemia. Ovvero un turismo massivo che in alcune località si concentra in pochi chilometri quadrati e diventa un problema, e non più una risorsa, per le città che lo devono accogliere. Come valutare queste due idee? Abbiamo sentito Antonio Preiti, esperto di comportamenti sociali collettivi e direttore di Sociometrica, società che si occupa di studi e ricerche nel campo del turismo, della cultura e dell’economia territoriale (con un passato di Direttore di ricerca al Censis), contattato da Finestre sull’Arte per avere un parere sulle proposte al momento allo studio.

Antonio Preiti
Antonio Preiti

AL. Direttore, quelle di Firenze e Venezia sono due idee lanciate nello stesso periodo e che sembrano simili.

AP. Sono due approcci e modi di affrontare la questione diversi. Condivido quella di Firenze: chiedere un contributo per la città a chi ne usufruisce va bene, e succede in altri paesi, a Londra ad esempio l’ingresso dei musei non è a pagamento ma si chiede comunque ai visitatori un contributo per la manutenzione del luogo d’arte visitato. La proposta del sindaco Nardella la definirei quindi una misura ’gentile’.

Firenze città della gentilezza... e Venezia invece?

Per Venezia il problema è difficile da risolvere perché ogni costrizione è un vulnus alla possibilità per tutti di visitare la città. Bisogna capire come selezionare le persone.

Quali rischi intravede?

Premetto che Venezia è un caso unico al mondo con una dimensione speciale e non rapportabile a quello di altre città, basti solo pensare al fatto che è un’isola e che ha turismo che non soggiorna in questi confini. Se diventa un fatto burocratico o è percepito come “punizione” per quelli che non hanno abbastanza soldi per entrare o se ha tono anti-turistico, è sbagliata. Se invece è il modo per regolare i flussi in base alla fruizione migliore della città, con la dovuta flessibilità può essere positivo ma bisogna vedere i criteri che verranno scelti per la selezione all’ingresso.

A cosa penserebbe?

Servirebbe formula che alimenti desiderio di apprezzamento della città e modulare il ticket d’ingresso intorno al desiderio di quell’apprezzamento: tanto più “apprezza” la città usufruendo di musei o alloggiando in alberghi, ad esempio, tanto meno si deve “tassare” questa persona per il suo ingresso in laguna.

Un ticket dunque, nelle sue valutazioni, che distingua tra persona e persona, un contributo richiesto in maniera flessibile in base al comportamento in città di ognuno?.

Stabilirei criteri non legati al reddito ma alla dimensione turistica, il criterio economico è quello più antipatico. Servirebbero criteri più legati al turismo: chi non dorme e non vede musei e visita Venezia solo come esperienza da entertainment, una visita da ’selfie’ su ponte Rialto, tanto per intendersi, può anche pagare un ingresso.

Giacomo Zaganelli, Dalla serie Grand Tourismo (2018)
Giacomo Zaganelli, Dalla serie Grand Tourismo (2018)
Piazza San Marco a Venezia
Piazza San Marco a Venezia
Venezia, Palazzo Ducale
Venezia, Palazzo Ducale

Il nodo quindi è il criterio di selezione?

Sì, sicuramente il problema centrale è quello della selezione del criterio degli ingressi, ma io riterrei più giusto, se limitazione ci deve essere, una limitazione temporanea degli ingressi in determinati casi: occorre studiare qualche metodo per cui un eventuale vincolo all’ingresso scatta solo quando si superano dei limiti di saturazione, ad esempio oltre un certo numero di persone o in maniera stabile in determinati giorni in cui si prevede che ci sia il pienone come il sabato o la domenica. Così facendo si avrebbe un sistema tanto più efficace quanto più flessibile. Perché farsi pagare quando non si raggiungono i limiti della sostenibilità non ha senso.

Allargando lo sguardo sul fenomeno del turismo che rischia in determinate località di diventare un problema anziché una risorsa, Lei come la vede?

Occorre andare a vedere le radici del fenomeno, porre attenzione alle cause dell’over tourism. Pensiamo ad esempio al caso di Roma: il numero degli alberghi nella capitale è cresciuto meno del 10% in 10 anni mentre il turismo, dati al 2019, è cresciuto del 40%. E c’è un 30% di turismo non rilevato, sommerso. Se i posti letto negli hotel non sono cresciuti e il turismo sì si capisce che il problema dell’over tourism sta da un’altra parte.

Il famoso “turismo mordi e fuggi”?

Parlare di turismo mordi e fuggi come si fa spesso non ha senso. Il mordi e fuggi che si vorrebbe attribuire a un americano che viene in Italia e sta due giorni a Venezia, due a Firenze e due a Roma non esiste. Per chi viene da un paese con quelle dimensioni, dall’altra parte del pianeta, andare da Roma a Firenze in un’ora e mezza è considerato uno spostamento urbano.

Sì, per i loro canoni queste distanze non sono a lunga percorrenza.

Da Parigi a Eurodisney, ad esempio, ci vuole un’ora. In nessuna città nel modo c’è la permanenza media di 5 notti, di solito è tra le 2 e le 3.

Non si può quindi inseguire un cambiamento di abitudini del turismo internazionale partendo da questo presupposto?

Per il turismo internazionale è normale questa bassa permanenza, anche io in una settimana di vacanza cercherei di vedere 3 città e non una sola, quando sono così vicine e ugualmente attraenti.


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