La rapina del Museo di Castelvecchio: una ferita che non sarà facile rimarginare


Dopo la rapina al Museo di Castelvecchio di Verona, il sindaco e la politica tutta dovrebbero domandarsi se si fa abbastanza per la cultura. Noi abbiamo dei dubbi.

Noi di Finestre sull’Arte abbiamo visitato più volte il Museo di Castelvecchio di Verona: lo consideriamo uno dei nostri musei preferiti. È stato dunque un durissimo colpo leggere, questa mattina, la notizia della eclatante rapina che ha permesso a una banda di malviventi di sottrarre diciassette dipinti del museo, alcuni dei quali tra i suoi principali capolavori: la Madonna della Quaglia del Pisanello, la Sacra Famiglia di Mantegna, il Ritratto di Bambino di Giovan Francesco Caroto, la Dama delle Licnidi di Rubens, diversi dipinti del Tintoretto.

Non riteniamo granché plausibile l’ipotesi del furto su commissione: suona strano che anche il più spietato collezionista possa non essere al corrente degli enormi rischi che un furto di tale portata reca con sé. Probabile che si tratti di un’operazione simile a quella con cui, nel 1992, Felice Maniero e la sua banda portarono via alcuni importantissimi dipinti della Galleria Estense di Modena al fine di utilizzarli, a mo’ di unità di scambio, in una trattativa con la magistratura. Di certo, in Italia un furto come quello di ieri notte è clamoroso come pochi altri nella storia: forse, solo il furto dei tre dipinti (due di Piero della Francesca e uno di Raffaello) del 1975 alla Galleria Nazionale delle Marche di Urbino è comparabile, per valore delle opere. Tuttavia, quello di quarant’anni fa fu messo a segno da ladri inesperti che speravano di rivendere i quadri: speranze ovviamente vane, e se oggi possiamo ancora ammirare quelle opere, lo dobbiamo ai Carabinieri che le recuperarono tempestivamente poco prima che i delinquenti le distruggessero. I rapinatori che hanno agito a Castelvecchio, a giudicare dalle testimonianze del personale coinvolto, paiono invece essersi mossi con un’abilità tipica di chi sapeva esattamente cosa cercare. Anche se non è chiaro perché, oltre ai principali capolavori del Museo, i malviventi abbiano sottratto anche opere di minor valore.

Potremmo comunque porci mille interrogativi sui motivi che hanno spinto la banda a rendere inoffensivo il personale del museo e a sottrarre dipinti unici, fondamentali per la storia dell’arte: solo le indagini ci aiuteranno ad avere un quadro più chiaro della situazione. Quello che è certo, è che alla base di questo furto c’è, ancora una volta, lo scarso interesse per la cultura. Il Comune di Verona ha rilasciato un comunicato in cui si dichiara che la vigilanza del Museo di Castelvecchio è affidata a una guardia giurata armata. Ma, anche se armata, è comunque una persona sola che deve occuparsi di un intero museo, di dimensioni importanti, quale è il Museo di Castelvecchio, e chi ci è stato almeno una volta non farà fatica a comprendere cosa voglia dire affidare la guardiania notturna di un museo così grande a un unico vigilante. E infatti, i malviventi non hanno avuto, sembra, grossi problemi a neutralizzare l’unica dipendente che era presente (la rapina è avvenuta mentre si stavano svolgendo le operazioni di chiusura del museo, verso le 20 di ieri sera, giovedì 19 novembre) e ad avere la meglio sulla guardia giurata.

Il sindaco di Verona, Flavio Tosi, dovrà pertanto farsi ben più d’una domanda per capire se il livello di vigilanza che il Comune ha imposto per il Museo di Castelvecchio fosse adeguato. Di certo, le immagini delle pareti vuote che hanno preso a circolare in queste ore stridono fortemente con le riprese delle strade delle nostre città in cui s’aggirano camionette dell’esercito e della polizia perché la politica vuol dimostrarci che, a causa degli ultimi terribili eventi legati al terrorismo, è stato innalzato il livello d’allerta nel nostro paese. Il problema, come ricordato, è che non si dà valore alla cultura, oppure della cultura ci si ricorda esclusivamente quando deve far rumore. Verona è un caso esemplare: il sindaco Tosi che favoleggia di donare l’antica copertura all’Arena, e il Museo di Castelvecchio umiliato dalla presenza di un’unica guardia giurata a occuparsi dell’intera vigilanza notturna, e adesso anche mortalmente sfregiato da un furto che non avrebbe mai dovuto verificarsi. E ancora Tosi non ha avuto niente di meglio da dire che “le norme che vengono applicate e i parametri di sicurezza non rendono impossibili i furti, li fanno anche al Louvre”. Sono affermazioni gravi: non solo perché è inutile e irresponsabile consolarsi col fatto che anche il Louvre ha subito furti, ma anche perché gli ultimi episodi che si sono verificati al museo parigino non sono neanche lontanamente paragonabili a quanto avvenuto a Verona, sia per le modalità, sia per le dimensioni del colpo. Si fa tuttavia presto, come stanno facendo molti in queste ore, a imputare alla sola parte politica che ha permesso a Tosi di diventare sindaco una scarsa sensibilità nei confronti della cultura: è vero che la cultura è quasi del tutto assente dai programmi di certe fazioni, ma è anche vero che il disinteresse per la cultura è, purtroppo, trasversale agli schieramenti.

In molti dovranno quindi fermarsi a riflettere dopo quanto avvenuto ieri notte. La politica, che dovrà chiedersi se quello che fa per la cultura è sufficiente per garantire a musei, biblioteche, archivi e istituti i fondi necessari per lavorare in condizioni ottimali. E se ovviamente può garantire a noi un adeguato livello di sicurezza, dacché risulta così facile rapinare un museo nonostante tutte le allerte, che al cospetto di un evento del genere sembrano quasi sfiorare il grottesco. I media, che sembrano ignorare quella che dovrebbe essere in tutto e per tutto una notizia da prima pagina su quotidiani nazionali, e che invece viene relegata agli ultimi minuti dei telegiornali o a spazi risicati sui siti web delle principali testate, ulteriore segno che della cultura, che dovrebbe essere specifica fondante della nostra identità nazionale, non ci interessa poi così tanto. E tutti coloro che, in generale, vedono la cultura come mezzo per far soldi piuttosto che come base della nostra civiltà: da ieri sera, è come se la nostra civiltà avesse perso una parte di se stessa.

Inutile dire quanto ci sentiamo amareggiati, delusi, abbandonati dalle istituzioni e, per quanto riguarda noi di Finestre sull’Arte nello specifico, colpiti anche nel personale, perché di Verona e del Museo di Castelvecchio abbiamo sempre conservato splendidi ricordi legati anche a vicende nostre. Insomma: è come se, da ieri sera, anche una parte di noi stessi fosse stata gravemente mortificata. Ci attendiamo, quindi, delle risposte serie da parte di chi di dovere. Bisogna pretendere che la cultura torni ad avere un ruolo centrale nelle strategie di sviluppo del paese, è necessario che si torni ad accordare alla cultura risorse adeguate per il suo funzionamento, e ci sarà anche da verificare se gli attuali protocolli di sicurezza sono sufficienti a garantire l’incolumità delle nostre opere. Certo: fermare i furti sarà impossibile. Ma dovrà essere impossibile anche portare a segno rapine clamorose come quella di Verona.

Tutte le opere rubate dal Museo di Castelvecchio

Pisanello, Madonna della Quaglia
Pisanello, Madonna della Quaglia (1420 circa; tempera su tavola, 54 x 32 cm)


Andrea Mantegna, Sacra Famiglia
Andrea Mantegna, Sacra Famiglia (1490-1500 circa; tempera su tela, 76 x 55,5 cm)
Pieter Paul Rubens, Dama delle Licnidi
Pieter Paul Rubens, Dama delle Licnidi (1602; olio su tela, 76 x 60 cm)
Giovan Francesco Caroto, Ritratto di bambino
Giovan Francesco Caroto, Ritratto di bambino (1523 circa; olio su tela, 37 x 29 cm)
Giovan Francesco Caroto, Ritratto di monaco benedettino
Giovan Francesco Caroto, Ritratto di monaco benedettino (1520 circa; olio su tela, 43 x 33 cm)
Jacopo Tintoretto, Madonna del latte
Jacopo Tintoretto, Madonna del latte (1540-1545 circa; olio su tela, 89 x 76 cm)
Jacopo Tintoretto, Giudizio di Salomone
Jacopo Tintoretto, Giudizio di Salomone (1541-1542; olio su tavola, 26,5 x 79 cm)
Jacopo Tintoretto, Trasporto dell'arca dell'alleanza
Jacopo Tintoretto, Trasporto dell’arca dell’alleanza (1541-1542; olio su tavola, 28 x 80 cm)
Jacopo Tintoretto, Banchetto di Baltassar
Jacopo Tintoretto, Banchetto di Baltassar (1541-1542; olio su tavola, 26,5 x 79 cm)
Jacopo Tintoretto, Sansone
Jacopo Tintoretto, Sansone (1541-1542; olio su tavola, 26,5 x 79 cm)
Jacopo Bellini, San Girolamo penitente
Jacopo Bellini, San Girolamo penitente (1450-1460 circa; tempera su tavola, 95 x 65 cm)
Domenico Tintoretto, Ritratto di Marco Pasqualigo
Domenico Tintoretto, Ritratto di Marco Pasqualigo (1588 circa; olio su tela, 48 x 40 cm)
Hans de Jode, Paesaggio
Hans de Jode, Paesaggio (1657; olio su tela, 70 x 99 cm)
Hans de Jode, Porto di mare
Hans de Jode, Porto di mare (1657; olio su tela, 70 x 99 cm)
Giovanni Benini, Ritratto di Girolamo Pompei
Giovanni Benini, Ritratto di Girolamo Pompei (1790; olio su tela, 85 x 63 cm)
Bottega di Domenico Tintoretto, Ritratto di ammiraglio veneziano
Bottega di Domenico Tintoretto, Ritratto di ammiraglio veneziano (olio su tela, 110 x 89 cm)
Cerchia del Tintoretto, Ritratto virile
Cerchia del Tintoretto, Ritratto virile (olio su tela, 54 x 44 cm)


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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