Il calcio secondo Steve McCurry: un gioco che unisce i popoli in un abbraccio fraterno


Che cos'è il calcio secondo il grande fotografo Steve McCurry? L'essenza stessa del calcio: un gioco di strada che unisce tutti i popoli.

Quando pensiamo al calcio e alla fotografia, l’immagine che probabilmente comparirà per prima nella nostra mente sarà quella di un grande campione del football colto nelle fasi salienti di un’azione che ha portato a un gol decisivo, a una parata in tuffo, a un contatto duro con un giocatore della squadra avversaria. Immagini, insomma, da riviste sportive, da trasmissioni televisive di approfondimento sulle partite, da pubblicità per la quale un calciatore è stato scelto come testimonial. Non è tuttavia questo il calcio di cui s’interessa il grande fotografo Steve McCurry. McCurry è, sostanzialmente, un viaggiatore: ha girato tutto il mondo con la sua apparecchiatura fotografica, per documentare usi e costumi di un vasto numero di paesi e popoli. Per lui, dunque, il calcio non è quello delle grandi partite internazionali, e non è neppure, scendendo di livello, quello delle partite ufficiali dei campionati minori. Per Steve McCurry il calcio è l’essenza stessa del calcio.

Perciò, ogni elemento accessorio non può trovar spazio nella sua arte. Le competizioni, le coppe, le classifiche, gli sponsor, i gesti atletici impeccabili, le televisioni sono dei sovrappiù, perché il calcio è essenzialmente un pallone, un numero indefinito e non codificato di giocatori, e quella spensieratezza necessaria per qualunque passatempo. E siccome queste tre caratteristiche necessarie per giocare a calcio hanno valenza universale, la prima conseguenza consiste nel fatto che, per Steve McCurry, il calcio è essenzialmente calcio di strada. Non importa quanti e quali siano i giocatori, che età abbiano, quale sia il terreno: basta un pallone ed è possibile far giocare i monaci di un tempio buddhista durante una pausa dalle loro meditazioni, un gruppo di ragazzi nella periferia di una città devastata dalla guerra, un simpatico bambino che corre da solo con la palla tra i vicoli del suo quartiere. La seconda conseguenza apparirà dunque scontata: il gioco del calcio, per l’artista statunitense, travalica ogni barriera, ogni nazione, ogni lingua, per unire tutti i popoli della Terra in un abbraccio fraterno, che accomuna gli stessi volti allegri a Cuba come in Etiopia, in Russia come in Libano, in India come in Afghanistan. Steve McCurry ci ha abituati a scatti dall’intenso sapore narrativo, e la mostra Football and Icons che si è aperta a Castelnuovo Magra (e che sarà visitabile fino all’11 settembre) ci propone venticinque scatti che ci raccontano venticinque storie diverse, benché la morale sia sempre unica: il calcio è un potentissimo mezzo di aggregazione, che fa superare le divisioni. Il calcio insomma è passione positiva e, come ogni passione positiva, è in grado di riportare la gioia in luoghi in cui si era spenta.

La Torre del Castello dei Vescovi di Luni
La sede della mostra: la Torre del Castello dei Vescovi di Luni a Castelnuovo Magra

Le tre caratteristiche essenziali del gioco del calcio di cui s’è detto sopra vengono riassunte in uno scatto che la curatrice dell’esposizione, Biba Giacchetti, ha strategicamente posto all’inizio del percorso espositivo, che si dipana lungo i sei piani della Torre del Castello dei Vescovi di Luni, nel centro storico di Castelnuovo Magra. Si tratta di un’immagine scattata nel 1998 in Marocco: un bambino, avrà cinque o sei anni, si diverte a calciare un pallone davanti ai caratteristici portoni blu delle antiche città del paese nordafricano. La foto, giocata su toni delicati, suscita subito sentimenti di tenerezza che riescono a evocare la poesia del calcio e a farci comprendere che le barriere non sono che un’invenzione dell’uomo (anzi: una delle più brutte e irragionevoli invenzioni dell’uomo), perché l’espressione serena e spensierata di un bambino riesce ad aprire i cuori e, anche se solo per un attimo, a farci dimenticare i discorsi vuoti e insignificanti di chi vorrebbe fomentare le discordie. La foto è, inoltre, un riassunto di quello che il calcio dovrebbe essere: un pallone, qualcuno disposto a calciarlo, e un sorriso. Sono queste le tre componenti, declinate in vari modi e presenti in ogni angolo del globo, che accompagnano il visitatore lungo la mostra. Una mostra, peraltro, originale: è la prima volta in assoluto che a Steve McCurry viene dedicata un’esposizione tematica sul calcio. Abbiamo dunque la consapevolezza di muoverci attraverso un percorso inedito. Come inedite e recenti sono, peraltro, alcune delle foto esposte.

Steve McCurry, Marocco, 1998
Steve McCurry, Marocco, 1998


La curatrice Biba Giacchetti presenta la mostra
La curatrice Biba Giacchetti presenta la mostra Football and Icons durante l’inaugurazione

Uno degli ultimi scatti ritrae due ragazzini che giocano con la palla a Rybinsk, in Russia. La foto è di poche settimane fa, risale a dicembre del 2015: sullo sfondo, un aereo ci racconta la vocazione industriale della città. Si tratta infatti di un monumento eretto durante gli anni dell’Unione Sovietica (per l’esattezza, nel 1983) per rendere omaggio ai lavoratori delle vicine fabbriche in cui si costruivano, e si costruiscono tuttora, motori e componenti per aeroplani. Il taglio diagonale scelto per lo scatto richiama le linee, anch’esse in diagonale, della base del monumento. Il campo di gioco qui è probabilmente ciò che rimane del cortile di un edificio. E un terreno “di fortuna” è anche quello, particolarissimo, rappresentato in una fotografia del 2014 i cui protagonisti sono alcuni giovanissimi pastori di etnia Amara che rincorrono una palla in discesa, tra le loro mucche, sul pendio che, in questo lembo di Etiopia, da pascolo diventa momentaneamente campo da gioco. Il campo, nelle fotografie di Steve McCurry, è quasi sempre scomodo: non solo un brullo cortile o un declivio, ma anche un prato fangoso sul quale capitombola un bambino in un’immagine del 1983 catturata in Bangladesh, oppure il cemento che conduce verso l’ingresso di un monastero in Birmania. E vale la pena sottolineare come i protagonisti delle immagini a tema calcistico di Steve McCurry non siano soltanto bambini o ragazzini: una fotografia scattata nel 2003 a Herat, in Afghanistan, ci mostra un gruppo di uomini che giocano sotto il Forte di Bala Hisar. Un tentativo di far tornare la normalità nei luoghi sconvolti dalla brutalità di un regime sanguinario e di guerre estenuanti.

Steve McCurry, Rybinsk (Russia), 2015
Steve McCurry, Rybinsk (Russia), 2015


Steve McCurry, Regione degli Amara (Etiopia), 2014
Steve McCurry, Regione degli Amara (Etiopia), 2014


Steve McCurry, Birmania, 2010
Steve McCurry, Birmania, 2010


Steve McCurry, Sylhet (Bangladesh), 1983
Steve McCurry, Sylhet (Bangladesh), 1983


Steve McCurry, Forte di Bala Hisar, Herat (Afghanistan), 2003
Steve McCurry, Forte di Bala Hisar, Herat (Afghanistan), 2003

Nel suo blog, Steve McCurry, presentando alcuni dei suoi lavori sul calcio di strada, cita una frase del calciatore scozzese Bill Shankly, da giocatore bandiera del Preston North End, e da allenatore leggenda del Liverpool che, sotto la sua gestione, vinse tre campionati nazionali, due coppe d’Inghilterra, e una coppa UEFA: “Certa gente crede che il calcio sia una questione di vita o di morte. Ma posso garantire che si tratta di una questione molto più importante”. Per comprendere questa affermazione occorre necessariamente soffermarsi su un paio di immagini che potrebbero quasi essere elette foto-simbolo della mostra. Risalgono entrambe al 1982 e ambedue sono state scattate in una Beirut distrutta dai bombardamenti della guerra che quell’anno tolse la vita a quasi ventimila civili. E sono due fotografie che ci mostrano quanto la potenza del gioco e dell’allegria riesca a sopraffare la violenza della guerra. Nel primo scatto, assistiamo a una partitella improvvisata tra alcuni bambini che giocano vicino alle macerie, davanti ai palazzi sventrati dalle esplosioni. Una foto altamente simbolica: i palazzi, un tempo colorati, e ora ridotti a una fila di scheletri grigi e muti, stanno sullo sfondo. In primo piano i bambini, con vestiti di tutti i colori, prendono a calci il pallone. Un messaggio che suona quasi come un invito, e allo stesso tempo come una speranza: lasciarsi dietro la distruzione e provare a far rifiorire la vita. Un messaggio che parte da un luogo (e la bandiera sullo sfondo assume giusto la connotazione di precisazione geografica) ma che si diffonde in tutto il mondo. E che viene completato dalla seconda fotografia: alcuni bambini giocano aggrappandosi alla carcassa di un cannone anticarro, sotto l’occhio di una madre. Il pallone non si vede, ma l’assenza non lede il significato del dipinto: come nella Venere con Marte di Sandro Botticelli gli amorini di Venere riuscivano ad addormentare Marte diventando simbolo dell’amore che vince sulla guerra, allo stesso modo i bambini di McCurry rappresentano allegoricamente il gioco, la spensieratezza, la voglia di futuro che hanno la meglio sulla violenza.

Steve McCurry, Beirut (Libano), 1982
Steve McCurry, Beirut (Libano), 1982


Steve McCurry, Beirut (Libano), 1982
Steve McCurry, Beirut (Libano), 1982


Durante la presentazione della mostra, il sindaco di Castelnuovo Magra, Daniele Montebello, ricordava del suo incontro con Steve McCurry di un anno fa, avvenuto per definire i dettagli della lectio magistralis che il fotografo tenne nel borgo ligure l’estate scorsa. McCurry si trovava a Milano e, parlando di calcio, constatava come nelle grandi metropoli si fosse perso un po’ il gusto di giocare a calcio per strada (e la cosa gli dispiaceva particolarmente anche per il fatto che, quando era al college, aveva lui stesso praticato il gioco del calcio). Montebello ribatté dicendo che a Castelnuovo c’è ancora una piazza dove i bambini giocano al pallone: è la piazza antistante il Castello dei Vescovi di Luni. In effetti, affacciandoci da una finestrella dall’alto della Torre dentro la quale si sviluppa la mostra, abbiamo notato proprio un gruppetto di bambini che con la gioia e la spensieratezza che li caratterizza stava giocando con una palla: correvano e si passavano la palla felici, con lo stesso sorriso che Steve McCurry ha immortalato sulle facce dei bambini protagonisti dei suoi scatti. Ecco che il messaggio di aggregazione, di unione tra persone che tirano calci a un pallone fuori dai consueti campi da calcio si rivela davanti ai nostri occhi: nelle straordinarie fotografie di McCurry e nella piazza sottostante la Torre del Castello dei Vescovi di Luni, come in qualsiasi altro luogo del mondo.

Steve McCurry, Football and Icons
Steve McCurry. Football and Icons, Torre del Castello dei Vescovi di Luni, Castelnuovo Magra, dal 22 aprile 2016 all’11 settembre 2016.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo



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