Maurizio Cattelan: “ho sempre qualcosa da imparare”


Intervista esclusiva di Finestre sull'Arte a Maurizio Cattelan, che lunedì 23 aprile inaugurerà il suo nuovo progetto 'Eternity' e riceverà il titolo di professore onorario all'Accademia di Belle Arti di Carrara.

Lunedì prossimo, 23 aprile 2018, Maurizio Cattelan (Padova, 1960), sarà a Carrara per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Accademia di Belle Arti: durante la cerimonia, riceverà il titolo di professore onorario e inaugurerà Eternity, il progetto che ha realizzato assieme agli studenti dell’Accademia, ai quali è stato chiesto di esprimersi su tematiche legate alla ritualità funebre e alla morte. Tra le opere presentate, Cattelan ne ha selezionate venti, che sono state premiate con altrettante borse di studio, del valore di 1.500 euro l’una (per un totale di una donazione di 30.000 euro garantita dall’artista), e che comporranno una grande performance-installazione che sarà scoperta proprio lunedì, nei giardini dell’Accademia. In attesa dell’evento, abbiamo raggiunto Maurizio Cattelan che ci ha rilasciato un’intervista esclusiva sul progetto, e non solo. L’intervista è stata condotta dal direttore responsabile di Finestre sull’Arte, Federico Giannini.

Maurizio Cattelan
Maurizio Cattelan

FG. Maurizio Cattelan, Lei arriva a Carrara con il progetto Eternity, che affronta il tema della ritualità funebre e della morte. L’ultima volta che Lei è stato a Carrara, in occasione della Biennale del 2010, aveva proposto proprio un’opera d’arte funeraria: Untitled, il monumento a Bettino Craxi, che tante discussioni aveva acceso in città. Perché per il progetto destinato agli studenti ha scelto l’arte funeraria? Carrara le ispira sempre... argomenti funerei?
MC. Ovviamente non lo è Carrara come città, ma il marmo su cui si basa parte della sua economia. È un materiale autoritario e autorevole, a cui da secoli deputiamo, nella cultura occidentale, la commemorazione dei defunti. Gli artisti hanno spesso un rapporto di vicinanza e fascinazione con la morte. Credo sia una delle spinte a fare arte, il superamento di quel limite mortale. È un tema classico dell’arte, e per questo penso sia interessante che i giovani artisti ci si confrontino.

A proposito di riti funebri, il 2010 è stato anche l’anno in cui s’è celebrato il funerale della Biennale d’Arte di Carrara: quella a cui Lei partecipò nel 2010 fu l’ultima edizione. Secondo Lei, quanto è stata grave, per il mondo dell’arte, la perdita di una manifestazione dalla storia pluridecennale, fondata nel 1957, e alla quale hanno partecipato grandi personalità dell’arte?
Sempre meglio andarsene col botto che invecchiare su una poltrona! Scherzi a parte, non conosco le ragioni della chiusura, e sicuramente sarebbe stato importante mantenere una certa continuità... al tempo stesso è vero che certe istituzioni hanno la necessità di rinnovarsi e trovare nuove forme di esistenza. Come la fenice, la Biennale potrebbe rinascere dalle sue ceneri più viva e interessante di prima.

Maurizio Cattelan, Untitled (2010; marmo, 155 x 140 x 40 cm). Opera presentata alla XIV Biennale di Carrara
Maurizio Cattelan, Untitled (2010; marmo, 155 x 140 x 40 cm). Opera presentata alla XIV Biennale di Carrara. Foto Zotti, courtesy Archivio Cattelan

Quanto influisce il pubblico sul successo o sull’insuccesso di una manifestazione? E quanto pesa davvero il pubblico nelle logiche dell’arte contemporanea, per esempio per determinare il successo di un artista? Si ha la sensazione che ci sia una sorta di scollamento tra la critica, gli artisti e il pubblico...
Ho sempre lavorato soprattutto per me e per altre due o tre persone che sono nella mia testa, le più esigenti. Mi sono detto: se soddisfo loro anche il pubblico, la critica e tutti gli altri saranno soddisfatti senza bisogno di pensarci. Di certo il pubblico può decretare il successo del lavoro, ma trovo molto più interessanti i limiti dell’opera, che non sono mai decretati dal pubblico. Sono sempre stato il giudice più severo del mio lavoro, e questa è l’unica pressione che mi abbia mai interessato.

Tornando all’argomento principale: qual è il bisogno che ha spinto un artista di fama internazionale come Lei a recarsi di nuovo in un centro piccolo come Carrara e a fare qualcosa per questa città?
Per combattere un paradosso: quando sei giovane, sei pieno di idee ma non hai i soldi per realizzarle. Da vecchio succede più spesso il contrario: i mezzi non mancano, ma la fertilità di quando avevi vent’anni è sparita. Ma, sotto un certo punto di vista, ogni età ottiene quello che si merita: non sono un grande fan dei rimpianti.

La Sua azione è rivolta agli studenti dell’Accademia di Belle Arti. Lei stesso ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Quanto è importante il peso dell’Accademia di Belle Arti, secondo Lei, nella formazione di un artista? È per lui determinante la frequentazione di un’Accademia? E la frequentazione di un’Accademia esercita un’influenza sulla crescita commerciale di un artista?
In realtà non ho mai frequentato l’Accademia, mi è bastato frequentare le persone che la frequentavano. Fortunatamente non è sempre vero che bisogna frequentare le scuole più costose per ottenere soddisfazione da quello che fai: il confronto e la capacità di ascolto valgano più di qualsiasi scuola.

L'Accademia di Belle Arti di Carrara
L’Accademia di Belle Arti di Carrara

E sempre a proposito delle relazioni tra artisti e mercato: a Suo modo di vedere, quanto il mercato determina la produzione di contenuti da parte di un artista? Come dovrebbe porsi di fronte al mercato un giovane che s’è appena affacciato sul mondo dell’arte?
È sempre vero per me che ognuno si sceglie il proprio percorso intrecciando tre fattori: abilità, motivazione e attitudine. L’abilità è cosa sei capace di fare. La motivazione determina cosa fai, l’attitudine quanto bene lo fai. La mia fortuna consiste nell’aver avuto la forza di intrecciarli così bene da riuscire a emanciparmi dal mio passato, spero che sarà lo stesso per i giovani studenti dell’Accademia.

Parlando di contenuti, ci sono critici che affermano che l’arte contemporanea, nella società odierna, sia diventata irrilevante. L’arte non è dunque più in grado di produrre contenuti forti?
I lavori più interessanti che ho visto negli ultimi tempi sono quelli in cui vedi una lotta incompiuta, in cui puoi percepire un mistero profondo, un segreto. Non penso che questo sia cambiato, è solo una questione di quanto viene prodotto e di quanti lavori sono degni di nota: credo che la proporzione tra questi due sia sempre più o meno la stessa. È innegabile che, in un certo senso, il mondo dell’arte contemporanea rifletta tendenze economiche travolgenti che implicano un certo grado di superficialità. Negli ultimi anni il mercato dell’arte si è diffuso a macchia d’olio e nuovi modi di collezionare sono sorti in tutto il mondo. Questa crescente domanda porta a un turnover sempre più veloce, in modo simile a ciò che accade nella moda con le stagioni. L’arte è uno status symbol, ma questo non significa che abbia perso la sua aura: le idee che scaturiscono sono per tutti e gratis, e questo è quello che conta davvero.

Per tornare al progetto Eternity: la sua è un’operazione di puro mecenatismo, tanto più rara se pensiamo che proviene da un artista, perché sono pochissimi gli artisti che decidono di mettere in atto operazioni come la Sua, mettendo a disposizione ben trentamila euro da destinare ai progetti di venti giovani studenti dell’Accademia di Belle Arti. Quali sono i motivi di questa decisione?
Penso che sia importante sostenere i giovani artisti e sono molto curioso di vedere i risultati del loro lavoro: credo che ognuno abbia qualcosa da insegnare e io ho sempre qualcosa da imparare.

Il mecenatismo in Italia è molto meno praticato che altrove. Pensiamo al sostegno al mecenatismo da parte dello stato. In Italia, l’Art Bonus, fin dalla sua introduzione, quindi da circa quattro anni a questa parte, ha portato nelle casse dello stato circa duecento milioni di euro. In Francia, solo nel 2016 il “mécénat culturel” ha portato mezzo miliardo di euro. Nel 2010, il Louvre riuscì ad acquisire un’opera di Cranach il Vecchio coprendo un quarto dei costi con il crowdfunding. In Italia, operazioni del genere sono soltanto agli albori. Cosa abbiamo sbagliato finora? In che stato si trova il mecenatismo secondo Lei nel nostro paese? L’Italia è un paese in cui un mecenate, secondo il Suo punto di vista, può trovarsi bene?
Penso che sia importante che i giovani abbiano la libertà di reinventare la vita con formati e contenuti che noi non abbiamo ancora usato. Dovrebbero incendiarci, distruggerci e ricostruire. Se penso alla mia esperienza, la cosa migliore da fare all’inizio è stare lontano dalle istituzioni: spesso veicolare la ricerca e la sperimentazione non è il loro primo interesse, ma può essere quello dei mecenati: alcuni si innamorano degli artisti e li sostengono per tutta la loro carriera, a seconda delle proprie possibilità. E devono essere stimolati a agire con determinazione, al limite della ragionevolezza.

In merito alla Sua operazione, occorre fissare alcuni punti fondamentali: il fatto che viene spronato il lavoro di venti giovani, il fatto che l’Accademia di Belle Arti di Carrara si giova della collaborazione di un artista internazionale, il fatto che la stessa città di Carrara trae visibilità da questa operazione. Si potrebbe però pensare che un’operazione simile possa far parte delle Sue strategie di marketing. Nel caso come risponderebbe a un’osservazione del genere?
Anche la cattiva pubblicità è pur sempre pubblicità!


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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