La città di Odessa non è rimasta ai margini della guerra che la Russia ha scatenato contro l’Ucraina, anzi: la città affacciata sul mar Nero è costantemente attaccata con i droni con i quali gli invasori cercano di fiaccare la popolazione (l’ultimo attacco risale solo a ieri notte). Gli abitanti però resistono e trovano forte motivazione anche nella loro arte e nei loro monumenti, e fanno il possibile per proteggere e salvare la loro arte. Un’arte che deve molto anche all’Italia: molti architetti e artisti italiani infatti lavorarono per rendere Odessa la città che è ancora oggi, e non esiste altra città in Ucraina con il quale il legame col nostro paese è così forte, tant’è che, lo scorso 10 luglio, il ministro della cultura Alessandro Giuli ha annunciato lo stanziamento di 45 milioni di euro per aiutare l’Ucraina a ricostruire i siti culturali di Odessa danneggiati dalla guerra. Come si vive a Odessa in questi giorni? Perché l’arte è così importante anche e soprattutto durante la guerra? Quali sono i principali monumenti di Odessa a rischio? Ne abbiamo parlato con la storica dell’arte ucraina Nataliia Chechykova, originaria di Odessa. L’intervista è di Federico Giannini.
FG. Vorrei cominciare la nostra conversazione chiedendole che cosa sta succedendo a Odessa in questi giorni, come la popolazione ha vissuto e continua a vivere questi tre anni di guerra, e come vive le sue giornate.
NC. Riguardo alla situazione a Odessa, diciamo che purtroppo la gente si abitua a tutto. Si abitua anche a sopravvivere, ad andare avanti, nonostante le notti insonni e i colpi che subisce la città. Eppure, nonostante tutto la gente non si perde d’animo e va avanti. Questa è la situazione. Ovviamente è difficile perché le notti insonni e i problemi quotidiani (come tutti sanno, vengono colpiti i punti nevralgici della città, le stazioni elettriche, manca l’acqua) fanno parte di una strategia pensata apposta per fiaccarci, per far disperare la gente e farla reagire, ma la gente resiste. Nonostante tutti i problemi, si va avanti e la vita continua: le scuole funzionano, gli uffici funzionano, tutti lavorano malgrado le notti insonni. Ho vissuto questa situazione sulla mia pelle, non così drasticamente come è accaduto all’inizio della guerra, ma ho sentito gli allarmi, i droni che volano e che ci rendono tutti nervosi. La gente si è abituata anche a questo, ed è brutto dirlo, perché sono cose a cui non ci si dovrebbe abituare.
La comunità degli studiosi, degli storici dell’arte, dei critici, dell’arte in generale di Odessa, come sta lavorando in questo periodo?
Si continua a lavorare nonostante la situazione attuale. Io per esempio lavoro in stretto contatto con il Museo dell’Arte Orientale e Occidentale di Odessa, che comunque ha fatto evacuare le opere: una parte consistente della collezione, più di 70 quadri, sono stati portati in salvo in Germania, dove attualmente si trovano in mostra. E per il resto, la comunità lavora. Si danno lezioni e, per quel che si può, si cerca di organizzare mostre per tenere alto il morale della popolazione. Anzi, la popolazione frequenta i musei molto volentieri perché manca la vita culturale fiorente di Odessa. Ci sono delle limitazioni, non si può fare tutto, in caso di allarme bisogna essere pronti a recarsi nei rifugi. Però la vita va avanti, nonostante tutto non fermiamo niente.
Quindi mi pare di capire che l’arte sia diventata per voi a Odessa, ma forse anche in Ucraina in generale, se me lo consente, un momento che tiene unità la comunità, un qualcosa con cui tutti possono ricordarsi chi sono durante la guerra.
Esatto. È triste vedere il museo spoglio di tutte le sue gemme: fa una strana sensazione. Ma nonostante ciò ci sono le mostre dei pittori contemporanei, degli artisti contemporanei. La vita va avanti, non ci sono le opere più famose, ma la vita va avanti. E il museo è aperto.
Che danni ha subito il patrimonio storico artistico di Odessa durante la guerra?
Non conosco le cifre esatte però ne ha subito tanti. A parte i palazzi nel centro storico di Odessa che sono stati danneggiati (vetri rotti, infissi saltati, tetti distrutti), parlando del patrimonio culturale e delle gemme di Odessa, come la cattedrale della Trasfigurazione, la Sala Filarmonica, il Museo delle belle arti, ecco, tutte le strutture sono ancora in piedi, non sono distrutte totalmente, però hanno subito grossi danni. Per fortuna è salvo il Teatro Lirico che non è stato danneggiato in nessun modo. I monumenti principali della città, inoltre, sono stati protetti con sacchi di sabbia.
Per capire cosa stiamo rischiando di perdere o di vedere danneggiato, penso sia interessante raccontare la storia, le caratteristiche e l’importanza di questi edifici per la città di Odessa, dove peraltro hanno lavorato anche tanti architetti italiani. Cominciando proprio dalla Cattedrale della Trasfigurazione, che è stata gravemente danneggiata nel luglio del 2023 (e l’Italia fin da subito si è offerta per i lavori di ristrutturazione proprio in virtù dei legami tra la città di Odessa e il nostro paese).
È un edificio che nasce praticamente insieme alla città di Odessa. Odessa fu fondata nel 1794, e nello stesso anno i padri della città scelsero il posto dove costruire la prima chiesa (i lavori iniziarono nel 1795). Il primo progetto fu dell’ingegnere Vonrezant, ma già nel 1804 i lavori venivano gestiti da un architetto italiano, Francesco Frappoli, fino al 1809. Nel 1809, 25 maggio, la chiesa fu consacrata e venne nominata “della Trasfigurazione”. Il fratello di Francesco, Giovanni Frappoli, eseguì il progetto del campanile, che venne costruito nel 1837: fu il punto più alto della città per molti anni, una sorta di riferimento per le navi che arrivavano nel porto di Odessa. Durante l’Ottocento la chiesa divenne cattedrale e nei decenni successivi subì altri rinnovamenti e ampliamenti: gli ultimi lavori vennero eseguiti nel 1903. La Cattedrale nasceva come un edificio neoclassico, ma durante l’Ottocento, subendo modifiche e ampliamenti, si è arricchita di molti elementi eclettici. E colpiva per la sua magnificenza, sia all’esterno che all’interno. La prima cosa che spiazzava, entrando nel tempio, era l’abbondanza di luci e di spazio, una cosa impressionante. È quello che si è cercato di ricostruire anche all’inizio del XXI secolo, perché nel 1936 la cattedrale fu abbattuta dai sovietici e poi venne ricostruita. Distruggerla fu molto difficile perché i blocchi che costruivano le mura erano tenuti insieme da malta con aggiunta di tuorlo d’uovo per renderli più resistenti, quindi per demolire questo enorme edificio i sovietici decisero di far saltare in aria il campanile in modo che cadesse sulla cattedrale e la distruggesse. Queste sono le testimonianze delle persone che erano presenti alla distruzione (o “ai funerali della cattedrale”, come scrivevano i testimoni del tempo). Nel 1999 venne poi presa la decisione di ripristinare questo edificio così importante per la città. Venne costituita la Fondazione Ortodossa del Mar Nero, esclusivamente grazie alle donazioni degli abitanti di Odessa, dei visitatori, degli emigrati, donazioni mirate proprio a far rinascere questa perla della nostra città. È stato un lavoro lungo e molto duro, andato avanti dal 1999 al 2010, quando la cattedrale fu di nuovo consacrata. Un fatto molto interessante è che questo luogo importante vide anche la sepoltura del governatore di Odessa, Mikhail Vorontsov, che governò la città dal 1823 al 1844: venne sepolto assieme alla sua consorte e dopo la distruzione della cattedrale i sarcofagi furono aperti, derubati, i loro resti sparpagliati. Poi, grazie soltanto agli abitanti che li avevano salvati, hanno avuto una degna sepoltura per quello che si poteva fare. Nel momento della ricostruzione della cattedrale, i coniugi Vorontsov hanno avuto una nuova sepoltura nel 2005 e sono tornati nel luogo dove furono sepolti originariamente. Peraltro è un fatto interessante che in chiesa fosse sepolta anche una donna, perché da noi questo onore era riservato soltanto ai membri della famiglia imperiale. È un sito importante dunque, un luogo che ha praticamente la stessa età della città, un cuore pulsante in tutti i sensi. Anche se i sovietici tentarono di sradicare questa memoria spirituale della città di Odessa (io per esempio ricordo che, quand’ero piccola, in quel posto si trovavano le giostre, non c’era niente, era tutto asfaltato, c’erano aiuole, fiori, alberi piantati per cancellare l’esistenza di questa cattedrale), questo non è stato possibile. Ho visto anche con i miei occhi, quando sono iniziati i lavori di ricostruzione, che gli scavi hanno fatto riemergere le fondamenta dell’antica Cattedrale, sito importantissimo non solo per i fedeli, ma in generale per tutti gli abitanti di Odessa.
Parliamo invece della Sala Filarmonica, anche questo è un importante simbolo.
La Sala Filarmonica nacque come nuova borsa mercantile, al posto della vecchia borsa di viale Primorsky, attuale sede del municipio di Odessa. La città cresceva, si sviluppava in tempi molto rapidi, per cui c’era bisogno di avere un posto adeguato per poter procedere con le operazioni mercantili. Era stata costruita la ferrovia, il porto si allargava, il commercio aumentava, per cui c’era bisogno di avere una struttura adeguata. Si pensò quindi di portare avanti questo progetto per il centenario della fondazione di Odessa, nel 1894. Il progetto venne annunciato con un concorso a cui parteciparono più di 30 architetti. Purtroppo non tutti i progetti originari sono arrivati ai giorni nostri, ma si sa che in questo concorso vinse un architetto viennese, Prohaska. La costruzione venne però diretta da un architetto di origini ticinesi, Alessandro Bernardazzi, che rielaborò il progetto di Prohaska e lo portò avanti per cinque anni, finché nel 1899 la borsa fu inaugurata. Un palazzo magnifico: il monumento che lo ha ispirato di più è stato il Palazzo Ducale di Venezia. Un’opera bellissima, neo-rinascimentale, con enormi trifore, realizzata con il materiale d’avanguardia di allora (Alessandro Bernardazzi utilizzò materiali molto innovativi), con calcestruzzo mescolato a mattoni, cosa nuova per Odessa perché fino ad allora tutti gli edifici della città venivano costruiti in pietra calcarea. E poi la nuova borsa fu anche uno dei primi edifici dove venne usata, ad esempio, l’elettricità. Poi lavorarono qui, nelle decorazioni di questo palazzo, moltissime maestranze italiane, ad esempio lo scultore Leopoldo Menzione, e lavorò in questo edificio un altro importante scultore del tempo, Boris Eduards, per realizzare le decorazioni che servivano per abbellire il palazzo. Era una perla, in tutti i sensi. Il palazzo diventò poi sede della Filarmonica soltanto nel dopoguerra, nel 1946. Negli anni Venti però era già diventato un punto di incontro per manifestazioni di grande importanza, per esempio concerti, congressi, esibizioni degli artisti importanti. Ad esempio, uno degli ultimi spettacoli venne fatto da Vladimir Majakovskij, letterato che com’è noto appartiene alla cultura sovietica. È un’altra gemma, un luogo simbolico che non si può dimenticare.
Direi che è tutto il centro storico di Odessa a essere una gemma, tant’è vero che nel 2023 l’UNESCO l’ha inserito nei patrimoni dell’umanità, proprio anche per quell’eclettismo che è la caratteristica principale del cuore della città.
Un eclettismo che è proprio un tessuto fatto da vari fili: italiani, francesi, tedeschi, di tante nazionalità. Odessa è una città cosmopolita: tutti quelli che cercavano una vita nuova, un futuro pieno di speranze, venivano qui e potevano realizzarsi. Ognuno portava un pizzico della propria patria e la propria anima, l’anima del suo popolo, e tutto questo viene incorporato in vari modi a Odessa. Adesso stiamo parlando di architettura, ma possiamo parlare anche di tanto altro: l’arte qui è nell’aria che si respira, nella cucina, in tutto. E c’è sempre stata tanta Italia a Odessa. Basti dire che nell’Ottocento le insegne in città erano in due lingue: una in russo e l’altra in italiano. Sono rimasti per esempio dei palazzi dove davanti al portone d’ingresso, sul marmo, si può ancora leggere la scritta “Salve”. Un fatto curioso.
E poi Odessa è una città di musei, a cominciare dal Museo delle Belle Arti che è una delle strutture museali storiche della città.
È uno dei musei più antichi della città anche se, ovviamente, il termine “antico” va messo in relazione alla storia di Odessa, perché considerando la storia mondiale è un museo giovanissimo, nato nel 1899. Ed è un museo che conserva l’imprinting italiano dell’architetto ticinese Francesco Boffo, il cui monumento più famoso è la famosa scalinata Pot’omkin. Boffo supervisionò la costruzione di questo palazzo, originariamente Palazzo Potocki, che finì definitivamente nel 1829. Boffo iniziò la propria carriera da architetto dei conti Potocki, una famiglia nobile polacca che, dopo la dissoluzione della Polonia alla fine del Settecento, si stabilì definitivamente nell’impero russo a Odessa e fece costruire questo palazzo. Il committente, il conte Seweryn Potocki, non lo vide finire, ma lo ereditò poi sua nipote Olga che sposò un importante rappresentante della nobiltà russa, Lev Narjškin, e per qualche periodo l’edificio fu chiamato Palazzo Potocki-Narjškin. È un palazzo neoclassico, tipica dimora nobiliare con la parte centrale di due piani, con il portico a sei colonne di ordine corinzio, dotato di rifiniture molto pregiate. All’interno la particolarità del palazzo è la sua grotta con stalattiti e stalagmiti ricreate, un posto fantastico che adesso però serve come rifugio antiaereo (questa purtroppo è la realtà dei giorni di oggi). Il palazzo venne poi acquisito dal sindaco di Odessa, Grigorios Maraslis, di origine greca. Fu proprio lui che vendette il palazzo nel 1882 alla Società delle Belle Arti di Odessa. Vennero impiegati sette anni per creare la collezione e alla fine il palazzo fu inaugurato come museo il 6 novembre 1899. Del 2021 è diventato Museo Nazionale dove sono state concentrate le opere degli artisti russi e ucraini, mentre la straniera che prima faceva parte della collezione fu spostata nell’attuale Museo dell’Arte Occidentale e Orientale (che nacque come pinacoteca della pittura antica nel 1924). Questa proprio la particolarità di questo museo: le opere degli artisti russi e ucraini sono separate dalle opere degli artisti stranieri, cosa che in Italia non esiste.
Proprio per via del legame storico che l’Italia ha con Odessa, il nostro Ministero della Cultura ha deciso di mettere a disposizione delle autorità dell’Ucraina una somma di 45 milioni di euro per ristrutturare alcuni luoghi della cultura di grande rilevanza, e ci sono anche diversi musei in questi luoghi che verranno ricostruiti. Lei, da ucraina, come commenta questo intervento dell’Italia in favore del Suo paese?
Penso che sia una cosa fondamentale. Chi meglio dell’Italia lo può fare? Nessuno. Perché gli architetti italiani hanno fatto tantissimo per far nascere Odessa, per farla diventare così com’è. Adesso ovviamente ha subito e sta subendo questo periodo nero nella sua storia, però il supporto dell’Europa e dell’Italia in particolare è fondamentale per farla rinascere, per darle una seconda vita, per dare un altro nuovo impulso, un impulso del XXI secolo. Sarebbe molto importante ottenere questo supporto, perché Odessa è stata fatta dagli italiani, è nata grazie agli italiani. Chi meglio degli italiani può aiutarci a conservare la sua originalità? Lo dico anche da storica dell’arte: la mia specializzazione è sempre stata quella dei rapporti tra Odessa e l’Italia. Nel 1994, nella mia tesi di laurea, ho affrontato questo argomento, l’apporto degli artisti italiani a Odessa, in particolare architetti e ingegneri, come hanno inciso sulla nascita della città. E, per quanto mi riguarda, credo che questo background sia molto importante anche oggi per portare avanti la mia ricerca e il mio desiderio di aiutare la mia città e il mio paese in questo senso.
Un’ultima domanda: mi piacerebbe sapere se ci sono già delle collaborazioni oppure anche soltanto degli scambi tra studiosi ucraini e studiosi italiani, tra la comunità ucraina della storia dell’arte e quella italiana.
Sì, ci sono collaborazioni: per quel che mi riguarda posso parlare di un argomento che mi è molto caro, la Cattura di Cristo del Museo dell’Arte Occidentale e Orientale. È un dipinto che sto seguendo da un po’ di tempo e che è soggetto di una causa ancora in corso (è stato sotto sequestro per lunghissimo tempo). Quest’anno però andrà tutto in prescrizione e... la cattura potrà essere liberata. Su questo lavoro mi ha aiutato molto la mia ex professoressa, la mia relatrice, Francesca Cappelletti, attuale direttrice della Galleria Borghese. Stiamo facendo di tutto per poter salvare questo quadro portandolo all’estero. Adesso si trova in Ucraina, e anche se al momento è al sicuro non si sa mai che cosa potrà accadere domani. Non a caso il museo di Odessa, come dicevamo, ha portato via le opere più importanti, più preziose, in Germania. Potremmo fare anche noi lo stesso con la Cattura di Cristo, portare anche in Italia il dipinto, e approfondire gli aspetti legati allo studio di questa tela. La collaborazione c’è, il supporto c’è, pensiamo di andare avanti, e siamo sicuri che andremo avanti a lavorare insieme agli studiosi italiani per molto tempo.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Al suo attivo anche docenze in materia di giornalismo culturale (presso Università di Genova e Ordine dei Giornalisti), inoltre partecipa regolarmente come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).
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