Che la Versilia non sia più quella d’una volta, ormai dovrebbe esser chiaro a tutti. A chi la pensa diversamente occorrerebbe suggerire un giro sul lungomare tra Carrara e Viareggio in un qualunque giorno d’estate (tolto il sabato, quando c’è ancora un minimo di movimento). Senza andar dietro di troppi anni, questa striscia d’asfalto, questa linea che corre dritta come un binario dal confine con la Liguria fino alla Darsena, fino a non molto tempo fa pareva la main street di Disneyland. Le strade laterali erano come quelle che Tondelli immaginava per la sua Via Emilia: affluenti minori che portavano tutti lo stesso messaggio d’irrequietezza. Luci, bagliori, musica, ingorghi. Oggi, invece, fatichi a trovare un bar aperto dopo le undici di sera. È come se la Versilia fosse piombata in un settembre perenne. Sarà che le discoteche son finite quasi tutte in rovina e di aperto c’è rimasto poco, sarà il crollo dei salari reali e del potere d’acquisto, sarà il cambio delle abitudini, sarà che nella nostra società iperliquida e iperframmentata s’è frantumato anche il modo di divertirsi, ma dopo che t’aggiri per tutta la notte in mezzo alla desolazione è normale che ti domandi dove siano finiti tutti. Tutti: i ricchi, i poveri, i giovani, i vecchi, gli indigeni, i villeggianti. Sul lungomare di notte non c’è più nessuno. Te li immagini allora chiusi in casa come d’inverno, l’aria condizionata attaccata per scordarsi del cambiamento climatico, Netflix per scordarsi della vita reale, tutti rincoglioniti dai lacerti di vita altrui che vedono su di uno schermo.
È domenica sera, 6 luglio, il lungomare è deserto e trovi parcheggio di fronte all’ingresso della Versiliana, a Marina di Pietrasanta, per andare a vedere quella che dovrebbe esser la mostra dell’estate. S’intitola Io contengo moltitudini, va dal 4 luglio al 31 agosto, dunque copre tutto il clou della stagione in Versilia. Il pezzo forte è l’installazione eponima di Marinella Senatore nel giardino della villa, con tanto di curatore apposito (Arturo Galansino). E su questa sua milionesima, trita, noiosa insegna colorata che fa il verso alle luminarie del Salento non c’è granché da dire: le solite, pallide imitazioni dell’originale, sostenute dalla solita, pallida retorica sulla coesistenza tra le persone, sui contesti corali, sulla coesione sociale, sulla “tradizione che può diventare un dispositivo di attivare dei processi nel qui e ora” (così nell’intervista con Galansino pubblicata nel foglio distribuito alla mostra, qualunque cosa voglia dire). Un’installazione che, a detta di Marinella Senatore, dovrebbe trasmettere “celebrazione ed empowerment, illuminando il potenziale di ciascuno”. Sarà: Marinella Senatore, si dirà, è un’artista che s’esprime con un fraseggio da motivatore aziendale, però magari ha ragione e il pubblico si sente veramente coinvolto dalle sue luminarie. Tuttavia, il fatto è che probabilmente nessuno sembra essere interessato a farsi illuminare il potenziale, perché sono le dieci di domenica sera, due giorni dopo l’inaugurazione, alla Versiliana non c’è nessuno e l’unica coesistenza possibile è quella coi custodi delle sale che sorvegliano il resto della mostra, un contorno di “giovani artisti internazionali”, curato da Edoardo Monti e Sofia Simakova (nel lotto è inclusa anche la russa Alexandra Vertinskaya, classe 1969: evidentemente i due curatori devono avere un concetto di “gioventù” piuttosto dilatato) cui è stata affidata la cernita delle nuove leve da esporre di fianco alla Senatore. La cattiva notizia è che una mostra non c’è, se per “mostra” s’intende una selezione organica e coerente di opere che dovrebbero concorrere a far emergere un pensiero, sostenere una posizione, dimostrare una tesi. Piuttosto, c’è un insieme di oggetti più o meno interessanti (e, per inciso, ci si domanda a cosa servano i curatori, dato che per stipare cose dentro una decina di sale non serve alcuna preparazione, non serve alcun prerequisito intellettuale: basta semplicemente conoscere qualche artista ed essere forniti del minimo sindacale di gusto). La buona notizia è che comunque la mostra è di somma utilità. Se hai qualche migliaio di euro da spendere e vuoi arredarti casa.
Non si può tacciare d’incoerenza il sindaco di Pietrasanta, quando dice che la mostra “è un segno tangibile della direzione in cui vogliamo portare la Versiliana e la nostra città: Pietrasanta è da sempre un laboratorio di creatività e questo progetto artistico di così alto livello ne rafforza la vocazione contemporanea”. Ora, da una parte hai la Versilia d’estate, ch’è sempre stata un grosso luna park, forse oggi un po’ decadente rispetto a un tempo, ma sempre quella è la sua vocazione, e la Versiliana non ha mai smesso la sua mansione di buon salotto borghese del litorale, di parco giochi delle conventicole mondane che d’estate si trasferiscono in blocco tra Forte dei Marmi e Pietrasanta per bivaccare un paio di mesi e poi tornarsene da dove sono venute per ricominciare a occuparsi di cose importanti. Dall’altra invece hai un coacervo eterogeneo di opere che, effettivamente, se è vero che oggi il grosso dell’arte contemporanea è, direbbe Luca Rossi, una sorta d’evoluzione dell’IKEA, alla fine compongono un gran bazar con tante idee colorate per la villa al mare di chi frequenta la Versilia. E poiché, tolto il sabato sera, sul litorale di notte non c’è più granché da fare, allora Pietrasanta vuol rendere confortevole il confino domestico dei suoi danarosi villeggianti con un progetto d’altissimo livello se il tuo scopo è quello di appendere qualcosa sopra a un divano o decorare il giardino di casa.
Marinella Senatore è perfetta, giustappunto, per il giardino: la sua luminaria è l’ideale per affiancare un bel berceau, o per far luce alla tavolata dove solitamente fate strafogare i vostri commensali, tant’è che per l’inaugurazione gli organizzatori son stati così gentili da imbandire la cena di rito proprio sotto l’opera della Senatore per offrire ai visitatori intenzionati all’acquisto anche una bella foto ambientata. Si entra alla Versiliana e si trovano i trattori in ceramica di Cosimo Vella, che forse sono un po’ piccoli per un esterno, ma hanno le dimensioni corrette per decorare il vostro jardin d’hiver ricreando una bella ambientazione georgica, magari assieme alle lepri di Jacopo Naccarato che trovate poco più avanti. Giulia Messina che, c’informa la guida cartacea, “sviluppa la sua pratica a partire da un’intima connessione tra corpo, cibo, ritualità e vulnerabilità”, col suo body sushi di ceramica sta benissimo come centrotavola, un po’ come il trionfo che Gio Ponti aveva fatto realizzare dalla Manifattura di Doccia per il Ministero degli Esteri: dunque, a meno che non progettiate d’ospitare a casa vostra una delegazione di commissari europei, l’opera che vedete alla Versiliana andrà benissimo per la vostra sala da pranzo. Per il resto, non manca niente: per la stanza dei bambini i giocattoli di Mathilde Alboy (anche se un poco inquietanti) o il grillo parlante di Giovanni Stefano Rossi (magari togliendo il sacro cuore di Cristo che gli sta di fronte in dialogo), per la sala le eleganti silhouette di cipressi di Alisa Yoffe, per il portico le costellazioni in bronzo di Apollinaria Broche. Ci sono persino i vasi di Namsal Siedlecki che si presentano per quello che sono: dei vasi, appunto. E poi c’è Vladimir Kartashov, uno dei rari artisti che in questa mostra avrebbe qualcosa da dire, ch’è stato messo a decorare un letto a baldacchino per suggerire possibilità d’arredo per la vostra alcova.
Interessante rilevare che, sempre secondo il sindaco, questa mostra s’inserisce “come tassello strategico” a sostegno della candidatura di Pietrasanta a Capitale Italiana dell’Arte Contemporanea 2027. Non sappiamo se Pietrasanta vincerà il titolo (le probabilità sono alte: siamo il paese in cui L’anniversario vince il Premio Strega, quindi Pietrasanta ha tutto il potenziale per diventare la capitale dell’arte contemporanea), ma di sicuro ha i titoli per diventare, oltre che la capitale, anche la Maison du Monde dell’arte contemporanea. Per il resto, non si comprende quale “progetto artistico” tenga in piedi questa mostra. Non si capisce quale “dialogo intergenerazionale”, per usare l’espressione dell’organizzazione, ci sia tra le opere di Marinella Senatore e quelle degli artisti della collettiva. “Artisti legati al territorio”, ci dicono, anche se i due curatori si sono limitati a portare artisti delle rispettive scuderie. E poi, “territorio” è un concetto anche qui un poco allargato, dato che tra gli artisti scelti c’è anche chi probabilmente nel territorio ci viene giusto per fare le vacanze. Con Marinella Senatore per “ampliare le referenze per la candidatura della città”.
In sostanza, Pietrasanta sta sondando il modello Paris Saint-Germain di qualche anno fa: mettere insieme nomi roboanti (la Senatore, Galansino, Edoardo Monti, il comitato scientifico per la candidatura) al fine d’impressionare gli avversari e vincere le coppe. Per il progetto culturale, s’aspetterà. A meno che non si ritenga un’operazione di sommo valore culturale esporre, senza il minimo costrutto, le opere di una decina di artisti dentro le sale del principale e più frequentato spazio culturale di Marina di Pietrasanta, e ritenere d’aver raggiunto l’obiettivo per aver “favorito un dialogo intergenerazionale tra l’intervento di Marinella Senatore e quello dei giovani artisti” (stando però bene attenti a distinguere le due parti della mostra, non sia mai che la Senatore non debba passare per la superstar della mostra con tanto di curatore personale e forte d’una pagina e mezzo tutta per sé sulle quattro che compongono il foglio della mostra, con gli altri undici a spartirsi la quarta: perché va bene l’apertura, va bene la condivisione e va bene il dialogo, ma bisogna far capir bene al pubblico chi sia l’headliner, anche se, per la stragrande maggioranza di chi quest’estate entrerà alla Versiliana, “Senatore” è giusto il titolo di chi ha diritto a uno scranno a Palazzo Madama). Se basta questo, allora sì, Io contengo moltitudini è un progetto culturale di alto livello. Buono per gli appassionati e per chi si deve arredare la villa. Se poi si ha un appartamento, ci si contenterà di portare a casa una delle boccette d’acqua da 33 cl col logo della mostra, messe gentilmente a disposizione dei visitatori. Con le stesse forme delle bottigliette del Seven-Up degli anni Novanta: dato che, dice un versiliese come Fabio Genovesi, la nostalgia è la principale industria di questa terra, allora evidentemente anche la mostra ha voluto allinearsi.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Al suo attivo anche docenze in materia di giornalismo culturale (presso Università di Genova e Ordine dei Giornalisti), inoltre partecipa regolarmente come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).
Per inviare il commento devi
accedere
o
registrarti.
Non preoccuparti, il tuo commento sarà salvato e ripristinato dopo
l’accesso.