Firenze, al Museo Horne la Croce Siviero restaurata e ricomposta dopo 100 anni


Presentata al Museo Horne di Firenze la Croce Siviero, capolavoro del bolognese Lippo di Dalmasio, restaurata e ricomposta con i suoi tabelloni laterali un secolo dopo il suo smembramento: l’operazione riconsegna a Firenze e all’Italia una significativa testimonianza dell’arte del Trecento, con il recupero di gran parte del suo aspetto originario.

È stata presentata ieri, al Museo Horne di Firenze, una splendida opera recuperata: si tratta della Croce Siviero, tavola del bolognese Lippo di Dalmasio degli Scannabecchi (Bologna, 1355 circa – 1410) che prende il nome da Rodolfo Siviero (Guardistallo, 1911 – Firenze, 1983), capo Delegazione del Ministero degli Esteri per il recupero delle opere d’arte trafugate nel corso della seconda guerra mondiale. Siviero, infatti, acquistò l’opera per la sua collezione. L’opera è da ieri sera visibile nel salone del secondo piano del Museo Horne, dove rimarrà esposta fino al 4 novembre, dopo essere stata ricomposta con i suoi tabelloni laterali, che erano stati decurtati più di cento anni fa, e attentamente restaurata. Il restauro, diretto da Gabriele Mazzi (conservatore di Casa Museo Rodolfo Siviero) sotto la sorveglianza della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato (nelle persone della funzionaria storica dell’arte Graziella Cirri e del funzionario restauratore Alberto Felici), ha visto impegnate Lisa Venerosi Pesciolini, Chloe Roquefeuil, Agnese Marchesani e Serena Cappelli per le superfici dipinte, mentre la parte lignea ha visto al lavoro Marco Santi e Andrea Pettinari. La campagna di indagini diagnostiche e fotografiche è stata condotta da Fotodarte per le fotografie infrarosso, Teobaldo Pasquali per le radiografie e GSC Palladio srl per l’analisi XRF, mentre dello studio della Croce Siviero s’è occupato lo storico dell’arte Emanuele Zappasodi dell’Università per Stranieri di Siena. L’operazione è stata promossa dalla Regione Toscana (Direzione beni, istituzioni, attività culturali e sport – Settore patrimonio culturale, museale e documentario, arte contemporanea, investimenti per la cultura, con la fattiva collaborazione della Direzione Organizzazione, personale, gestione e sicurezza sedi di lavoro - Settore amministrazione del personale e del patrimonio) e da Casa Siviero in collaborazione con la Fondazione Horne. A rendere possibile la ricomposizione è stata una efficace collaborazione tra Soprintendenza, Università per Stranieri di Siena e casa d’aste Farsetti.

Da ieri, dunque, l’opera è esposta nell’allestimento disegnato da Luigi Cupellini e realizzato da Galli Mostre Firenze e Stampa in Stampa, con progettazione grafica di Danae Project. L’opera in antico aveva una cornice e una cimasa con un pellicano (oggi perduta), e prima del 1938 l’insieme fu smembrato, quando le figure dei dolenti sui due tabelloni della croce vennero staccati dal crocifisso e transitarono sul mercato di New York senza che si sapesse che facevano parte della croce di Lippo di Dalmasio. Poi, nel 2024, i due tabelloni sono passati in asta da Farsetti, e la Regione li ha acquistati per consentire di riunirli alla croce, in una virtuosa operazione di collaborazione pubblico-privato. Le tavolette erano in precedenza attribuite genericamente alla scuola bolognese del XIV secolo: spettano a Fabio Massaccesi la prima attribuzione al bolognese (nel 2011), e a Emanuele Zappasodi il merito di aver verificato l’originaria appartenenza dei due dolenti alla Croce Siviero. In seguito, Daniele Benati ha confermato la paternità a Lippo di Dalmasio aggiungendole al suo catalogo come estremità di una croce dipinta.

Dopo più di cento anni dalla manomissione dell’insieme, Firenze e l’Italia ritrovano dunque una significativa testimonianza dell’arte del Trecento, nella speranza che, prima o poi, possa ricomparire anche la cimasa per risarcire del tutto l’aspetto originario della croce di Lippo di Dalmasio, che dopo il restauro promosso da Casa Siviero è stato in gran parte recuperato.

La Croce Siviero dopo il restauro
Lippo di Dalmasio, Croce Siviero (1395 circa; Firenze, Casa Siviero). Dopo il restauro
Presentazione del restauro della Croce Siviero
Presentazione del restauro della Croce Siviero
L'allestimento della Croce Siviero al Museo Horne
L’allestimento della Croce Siviero al Museo Horne
L'allestimento della Croce Siviero al Museo Horne
L’allestimento della Croce Siviero al Museo Horne
L'allestimento della Croce Siviero al Museo Horne
L’allestimento della Croce Siviero al Museo Horne

La storia dell’opera e la sua attribuzione

La croce venne dipinta verso il 1395 da Lippo di Dalmasio, pittore documentato a Bologna, sua città natale, e Pistoia, ed è considerata un esempio particolarmente riuscito della sua attività. L’attribuzione a Lippo di Dalmasio si basa su confronti stilistici stringenti, in particolare con un Cristo in Pietà affrescato in Santa Maria dei Servi a Bologna, ed è stata confermata lo scorso anno quando a Lippo di Dalmasio è stata dedicata una mostra-dossier al Museo Civico Medievale di Bologna, curata da Massimo Medica e Fabio Massaccesi. L’espressione pacata del dolore, i dettagli anatomici (la capigliatura, le clavicole, le costole) e il trattamento pittorico rendono certa l’attribuzione. Si tratta, ha detto Zappasodi, di un’aggiunta significativa in quanto presenta Lippo di Dalmasio in una veste meno convenzionale rispetto alla solita, dal momento che Lippo è solitamente conosciuto come artista dalla iconografia devota e relativamente semplice. Qui, al contrario, si nota un tono più vigoroso e drammatico, che riflette l’influenza marcata di Jacopo di Paolo, altro pittore bolognese, noto per un neogiottismo rigoroso: si può osservare questa influenza dalla pienezza dei volumi e dal disegno tagliente che scheggia le forme.

Il confronto con altre opere permette di collocare la Croce Siviero nella seconda metà degli anni Novanta del Trecento. I volumi del corpo del Cristo, il panneggio frastagliato del perizoma e i giochi di luce e ombra confermano del resto una forte adesione alla pittura bolognese del tempo. Un dettaglio importante per collocare l’opera è l’ornato del nimbo: un motivo vegetale con foglioline lanceolate, raro a Bologna ma presente nella pittura fiorentina e toscana. Questo suggerisce un retaggio toscano che Lippo potrebbe aver assorbito nella sua esperienza pistoiese, con influenze da Taddeo Gaddi, Bernardo Daddi e altri maestri toscani. I due tabelloni con i dolenti, la Vergine e san Giovanni, sono stati riconosciuti come pertinenti alla Croce di Sivero in virtù della loro compatibilità iconografica e stilistica, delle dimensioni corrispondenti, dei gomiti delle due figure che combaciano con le tracce di questo dettaglio anatomico che ancora erano presenti sulla croce, dello stesso motivo decorativo perimetrale e della coincidenza delle fibre del legno in radiografia, quest’ultima definita da Zappasodi la “prova regina” della pertinenza, perché tale coincidenza assicura che i dolenti sono stati realizzati sullo stesso asse di legno della Croce Siviero. Tutti elementi che hanno confermato che le tre tavole facevano originariamente parte della stessa opera.

La Croce Siviero prima del restauro
La Croce Siviero prima del restauro
La Croce Siviero durante il restauro
La Croce Siviero durante il restauro
Dettaglio della Croce Siviero dopo il restauro
Dettaglio della Croce Siviero dopo il restauro
La Madonna
La Madonna
Il San Giovanni
Il San Giovanni
La Madonna come si presentava all'asta Farsetti
La Madonna come si presentava all’asta Farsetti
Il San Giovanni come si presentava all'asta Farsetti
Il San Giovanni come si presentava all’asta Farsetti

Il restauro

Per quel che riguarda il restauro, Lisa Venerosi Pesciolini ha spiegato che l’opera ha rivelato tracce di almeno due precedenti restauri. Il più antico, risalente probabilmente ai primi del Novecento, aveva rimosso una cornice molto elaborata danneggiata dall’erosione degli insetti xilofagi, problema riscontrabile tuttora su tutta la croce. In quel contesto furono eliminate anche le traverse, elementi strutturali inchiodati dal retro e ribattuti sul fronte, usati per tenere insieme e rafforzare le varie parti del supporto ligneo. Dopo questa rimozione furono mutilate le estremità della croce, poi ripristinate attraverso tasselli in legno di pioppo, usati per chiudere le segature. Il restauro più recente, probabilmente degli anni Settanta, si inserisce invece in una visione più moderna del restauro, orientata alla conservazione della materia originale piuttosto che alla sua ricostruzione. Durante questo intervento sono stati rimossi i rifacimenti pittorici più antichi e recuperato un frammento originale della pittura, interpretato come il gomito di una figura dolente. Questo ha portato alla ricostruzione speculare e arbitraria del gomito della figura opposta, su una porzione completamente ridipinta. Le estremità della croce sono state invece trattate con tonalità neutre che richiamano l’oro, segnalando con discrezione che si tratta di parti non originali.

Il restauro attuale è cominciato con indagini diagnostiche non invasive (radiografie, riflettografie a infrarossi e fluorescenza X) che hanno confermato la coerenza stilistica tra la croce e le figure dei dolenti. Le analisi hanno rivelato un disegno coerente eseguito a pennello con nero di carbone, usato per ombreggiature e tratti fisionomici. In aggiunta, sono state individuate stesure di bianco di piombo, usate come fondo pittorico, evidenti soprattutto nei dolenti, dove la pittura è più abrasa. La radiografia ha rivelato la presenza di elementi metallici (chiodi), usati per unire le varie parti del supporto. È stato possibile accertare, come anticipato, che le tavolette con i dolenti erano originariamente parte della stessa asse lignea della croce, grazie alla continuità delle fibre del legno, oltre che alla continuità delle gallerie dei tarli. Si è poi scoperto che una cavità presente al centro del petto del Cristo, stuccata e tassellata, potrebbe aver contenuto una reliquia, suggerito anche dalla presenza di fori quadrangolari (tipici dei chiodi antichi) lungo il profilo della cornice rossa.

Alla luce di queste scoperte, in accordo con la Soprintendenza e altri esperti, si è scelto un approccio conservativo votato al rispetto dei precedenti restauri laddove non compromettevano la restituzione finale dell’opera. Le stuccature sono state consolidate e intonate alla nuova visibilità dell’opera, rispettando anche gli interventi neutri degli anni Settanta. Per reintegrare le tavolette nella croce, è stata rimossa anche una protesi del restauro più antico, che ha ulteriormente confermato, grazie alla curvatura combaciante, che le tavolette erano parte originale del braccio. Sono state quindi ricostruite delle traverse in legno di rovere, ispirate a quelle originali, e montate con un sistema elastico consolidato.

Il retro della croce
Il retro della croce

Dichiarazioni

“È un’occasione molto bella per la Fondazione Horne, per tutti quelli che lavorano alla Fondazione Horne, per la direttrice Elisabetta Nardinocchi e per noi tutti del Consiglio che è al completo stasera”, ha dichiarato Giuseppe Rogantini Picco, presidente della Fondazione Horne. “Due fondazioni lungo l’Arno, Casa Siviero della Regione Toscana e Fondazione Horne: Casa Siviero è momentaneamente in restauro, ha questa strepitosa croce, e la Regione Toscana, che non ha mai mancato di assistere la Fondazione Horne e di fare attività con la Fondazione Horne, ci ha chiesto se era possibile fare un’esposizione qui da noi. È stato come invitare una lepre a correre, perché questa croce si inquadra in gran parte della nostra collezione, è un dipinto strepitoso che ha tanti richiami e rimandi nelle opere che vedrete esposte vicino”.

“La scelta di mettere qui la Croce Siviero”, ha detto Elena Pianea, direttrice del Dipartimento Cultura della Regione Toscana, “che ha avuto un restauro molto bello e che è il frutto di una ricomposizione, con un’acquisizione sul mercato che non è un fatto scontato, sarebbe piaciuta tantissimo a Horne. Dobbiamo al presidente Eugenio Giani l’agibilità su questo percorso, non soltanto di restauro e riallestimento, ma anche di attenzione alla collezione e di piccole implementazioni che coronano questa donazione importante che Siviero, negli anni Ottanta, fece alla Regione. La Regione sta lavorando anche con il concetto della Toscana diffusa: la stessa Casa Siviero è diffusa in questo momento a Guardistallo, là dove Siviero ha le sue radici familiari, e a Bibbona, il Comune accanto, dove è stata allestita una piccola mostra dedicata a questa collezione. Anche quella di oggi è una tappa importante per dare conto del fatto che vogliamo mettere a disposizione del pubblico il patrimonio di Casa Siviero negli anni in cui l’edificio è chiuso per lavori”.

“Il ruolo della Soprintendenza in questo restauro, e nei restauri in generale dei beni culturali”, ha spiegato Graziella Cirri, funzionaria della soprintendenza, “è quello di alta sorveglianza, che è un termine un po’ altisonante e anche inquietante: in realtà il nostro ruolo è quello di collaborare con i restauratori, con i curatori dei musei, con i proprietari delle opere in generali, con le altre istituzioni chiamate a tutelare i beni, a verificare tutto, a collaborare affinché il restauro sia fatto nel modo migliore. Quindi il mio ruolo, più che di alta sorveglianza, è veramente di collaborazione. In questo caso è stata una collaborazione allargata, perché il tutto nasce da una felice intuizione del professor Zappasodi che ha visto in queste tavolette gli anelli mancanti di questo crocifisso che ha avuto alterne fortune, perché è nato per la devozione, poi per una serie di vicende che noi non conosciamo è finito in un’altra fortuna, quella dei ‘primitivi’ e quindi del mercato antiquario, e purtroppo ha subito quelle ferite che vediamo ancora oggi, in parte risanate grazie al ritrovamento e al restauro delle due tavolette sul mercato antiquario”.


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