Carlo Crivelli e il suo spettacolare trittico... tridimensionale alla Pinacoteca di Brera


Uno dei capolavori più affascinanti della Pinacoteca di Brera è il trittico di San Domenico, opera... tridimensionale di Carlo Crivelli, realizzata nel 1482.

Il 24 settembre del 1811 giungeva alla Pinacoteca di Brera un carico di dipinti che erano stati radunati ad Ancona e quindi inviati, assieme, alla volta di Milano: erano le opere che i soldati napoleonici avevano requisito in tutte le Marche, e tra queste figurava un nucleo di opere provenienti dal convento di San Domenico a Camerino. La più interessante tra le opere che si trovavano all’interno dell’edificio di culto camerte è il cosiddetto Trittico di San Domenico, realizzato da Carlo Crivelli (Venezia?, 1430 circa - Ascoli Piceno, 1495) nel 1482: la firma che l’artista appone sullo scomparto centrale (dove leggiamo “OPVS CAROLI CRVELLI VENETI M48II”, “Opera di Carlo Crivelli veneto, 1482”) ci ha tramandato con certezza nome dell’autore e data d’esecuzione. Per molto tempo si ritenne che Crivelli avesse eseguito il trittico per la Cattedrale di Camerino: l’equivoco era nato per il fatto che nel 1799, a seguito d’un disastroso terremoto che colpì la città e distrusse il suo Duomo, diverse opere di Crivelli furono ricoverate nel convento di San Domenico, che non aveva riportato danni significativi, e si pensò che tra le opere tratte in salvo vi fosse anche il grande trittico. Tuttavia, negli inventarî del Duomo figura un solo grande polittico, quello realizzato dopo il 1490 e oggi diviso tra diversi musei (il pannello centrale, la cosiddetta Madonna della candeletta, è anch’esso a Brera). E ancora, la presenza, nel trittico di San Domenico, di due santi domenicani, sarebbe stata da sola indizio sufficiente ad avvalorare l’ipotesi d’una presenza ab origine nella chiesa dalla quale fu asportato. Il rinvenimento, reso noto nel 2002, d’un documento datato 1483 nel quale era attestato il nome del committente (un certo Romano di Cola), e dove veniva specificato che il polittico si trovava in San Domenico, ha contribuito a fugare ogni dubbio. Inoltre, la data 1482 rende il Trittico di San Domenico la prima opera eseguita da Carlo Crivelli a Camerino, all’epoca governata dai Varano: particolare di non poco conto ai fini della comprensione del dipinto, e più sotto se ne vedrà il motivo.

Quando l’opera arrivò a Brera, insieme alle altre dodici di Carlo Crivelli destinate all’istituto milanese, ne fu inventariato ogni suo singolo pezzo, segno che anch’essa fu smembrata, probabilmente per facilitarne il trasporto. La sorte toccata al Trittico di San Domenico, tuttavia, fu migliore rispetto a quella riservata al Polittico del Duomo, dacché oggi tutti i tre scomparti, assieme a due pannelli della predella, si conservano in un unico istituto: le tre cuspidi sono invece divise tra lo Städel Museum di Francoforte e la collezione Abegg-Stockar di Zurigo, mentre non si hanno notizie del pannello centrale della predella, benché con la recente mostra del 2009 su Carlo Crivelli, tenutasi proprio alla Pinacoteca di Brera, s’è proposto di identificare nell’Ultima cena oggi conservata al Museo di Belle Arti di Montréal, in Canada, il tassello mancante nella ricostruzione del polittico. Si tratta di un’opera che riprende uno schema tradizionale: nello scomparto centrale, troviamo la Madonna col Bambino, seduta su di un alto trono. Nei pannelli laterali, a sinistra san Pietro e san Domenico, mentre a destra san Pietro martire e san Venanzio. Nei due scomparti della predella notiamo a sinistra i santi Antonio Abate, Girolamo e Andrea, mentre a destra vediamo Giacomo maggiore, Bernardino da Siena e, probabilmente, il beato Ugolino Malagotti da Fiegni, identificato però in via dubitativa. Nelle cuspidi, al centro una Resurrezione che separa le figure dell’Angelo annunciante a sinistra e della Vergine annunciata a destra.

Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico (1482; tempera, oro e inserti a pastiglia su tavola, pannello centrale 190,5 x 78 cm, pannello sinistro 167 x 63 cm, pannello destro 167 x 61,8 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico (1482; tempera, oro e inserti a pastiglia su tavola, pannello centrale 190,5 x 78 cm, pannello sinistro 167 x 63 cm, pannello destro 167 x 61,8 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)


Carlo Crivelli, scomparto sinistro della predella del Trittico di san Domenico con i santi Antonio Abate, Girolamo e Andrea (1482; tempera e oro su tavola, 26 x 62 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Carlo Crivelli, scomparto sinistro della predella del Trittico di san Domenico con i santi Antonio Abate, Girolamo e Andrea (1482; tempera e oro su tavola, 26 x 62 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)


Carlo Crivelli, scomparto destro della predella del Trittico di san Domenico con i santi Giacomo e Bernardino da Siena e il beato Ugolino Malagotti da Fiegni (1482; tempera e oro su tavola, 26 x 62 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Carlo Crivelli, scomparto destro della predella del Trittico di san Domenico con i santi Giacomo e Bernardino da Siena e il beato Ugolino Malagotti da Fiegni (1482; tempera e oro su tavola, 26 x 62 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)


Carlo Crivelli, Ultima cena, probabile scomparto centrale della predella del Trittico di San Domenico (1482; tempera e oro su tavola, 26 x 62 cm; Montréal, Musée des Beaux-Arts)
Carlo Crivelli, Ultima cena, probabile scomparto centrale della predella del Trittico di San Domenico (1482; tempera e oro su tavola, 26 x 62 cm; Montréal, Musée des Beaux-Arts)


Carlo Crivelli, cimasa del Trittico di san Domenico con l'arcangelo Gabriele, la Resurrezione e la Vergine annunciata (1482; tutte tempera su tavola, 60,3 x 45,2 cm; arcangelo e Vergine a Francoforte, Städel Museum; Resurrezione a Zurigo, collezione Abegg-Stockar)
Carlo Crivelli, cimasa del Trittico di san Domenico con l’arcangelo Gabriele, la Resurrezione e la Vergine annunciata (1482; tutte tempera su tavola, 60,3 x 45,2 cm; arcangelo e Vergine a Francoforte, Städel Museum; Resurrezione a Zurigo, collezione Abegg-Stockar)


La firma sul Trittico di San Domenico
La firma sul Trittico di San Domenico

La forma molto particolare, ma comunque non innovativa, del polittico di Carlo Crivelli, ha fatto pensare a un richiamo d’una ben precisa opera realizzata da un artista attivo a Camerino negli stessi anni, Niccolò di Liberatore detto l’Alunno (Foligno, 1430 circa - 1502): il pittore umbro aveva realizzato, nel 1480, un polittico per la chiesa di San Venanzio, oggi conservato presso la Pinacoteca Vaticana, slanciato e dotato d’una struttura su tre scomparti, con predella (oggi purtroppo separata dal resto del polittico) e cuspidi, racchiusa in una cornice fiammeggiante, con archi mistilinei, di grande impatto scenografico e capace di far uso di forme insolite e particolari, come quelle delle cuspidi, che vengono riprese in modo pedissequo da Carlo Crivelli per il Trittico di San Domenico. Le analogie, tuttavia, terminano qui: concettualmente, il Trittico di San Domenico è un’opera molto più aggiornata rispetto a quella realizzata due anni prima da Niccolò di Liberatore, e si pone come un lavoro innovativo anche all’interno del percorso dello stesso Carlo Crivelli. Le figure principali, i santi e la Madonna col Bambino al centro, sono tutte inserite nello stesso spazio, scorciato prospetticamente (anche se in maniera empirica) e secondo una visione unitaria (almeno apparente, dacché le decorazioni differiscono leggermente), con la grande struttura a gradoni, decorata coi pannelli marmorizzati e coi rilievi di frutta e ortaggi tipici dell’artista, che prosegue in tutti e tre gli scomparti senza soluzione di continuità. Nuova poi è la disposizione dei santi nei singoli scomparti: per la prima volta vengono collocati su piani sfalsati, in diagonale, per dare una maggior impressione di tridimensionalità.

Eppure, non occorre trovare nella resa dello spazio i punti di maggior interesse del trittico di San Domenico. Anche perché, da questo punto di vista, Crivelli arrivò piuttosto tardi ad appropriarsi d’una spazialità tipicamente rinascimentale, specialmente se si tengono a mente i risultati che la coeva pittura fiorentina aveva già raggiunto. È facile farsi catturare dalla commistione tra questa nuova concezione dello spazio, vicina al sentire tipico del quindicesimo secolo, e gli elementi arcaizzanti: l’esuberante decorativismo, la preziosità delle stoffe (si osservino, a titolo d’esempio, la raffinatissima veste della Madonna, il fine damascato delle maniche che spuntano sotto il mantello di san Venanzio, i sontuosi paramenti di san Pietro, e l’eleganza del finto broccato del fondo oro di tutti i tre scomparti), l’atmosfera ancora cortese che permea tutta la composizione. “È proprio l’analisi dell’uso che il pittore fa della decorazione”, scriveva nel 2002 la studiosa Emanuela Daffra, a “illuminarci su come vada inteso” l’accostamento di Crivelli “alle problematiche più strettamente rinascimentali”. Nella decorazione, continuava la studiosa, “prevalgono la varietà e l’asimmetria (neppure il broccato del fondo è identico nelle tre tavole), a illustrare le possibilità combinatorie di un repertorio inesauribile piuttosto che a comporre corrette decorazioni all’antica. Il fregio usato in orizzontale nel parapetto alle spalle dei santi Venanzio e Pietro Martire, le improbabili palmette e gli embrici nelle cornici dell’architrave, le testine di putti che sono ritratti veri in finta pietra, le teste ’vive’ in iscorcio accanto a teschi e bucrani (ovvero teschi bovini) nascono da motivi classici piegati in sensi diversi e tessono un gioco ambiguo di realtà e finzione molto più vicino a certi artifici della pittura fiamminga che non al rinascimento pierfrancescano”.

Il repertorio figurativo delle decorazioni, suggeriva sempre Emanuela Daffra, era di chiara derivazione squarcionesca: sono in molti gli studiosi che credono che Crivelli abbia guardato alla cultura figurativa padovana di Francesco Squarcione (Padova, 1397 - 1468) e agli artisti a lui vicino. In particolare, il “mediatore”, nel trittico di San Domenico, sembra essere Marco Zoppo (Cento, 1433 - Venezia, 1478), allievo diretto dello Squarcione, che in un disegno conservato al British Museum, in cui è raffigurato un Cristo morto sostenuto dagli angeli, esibisce lo stesso repertorio fatto di testine di putti, bucrani, motivi classicheggianti. A mitigare il vivace e aspro espressionismo squarcionesco erano però intervenute altre fonti figurative. S’è già detto dei debiti nei confronti di Niccolò di Liberatore per quanto riguarda la struttura, ma si potrebbe analizzare anche la figura di san Venanzio: è il santo patrono di Camerino, e secondo la tradizione era un nobile romano nato pagano e convertitosi al cristianesimo, e per questo martirizzato. Era nativo di Camerino, e nell’iconografia reca sempre con sé il vessillo coi colori della città: così, e parimenti con in mano il modellino della città da presentare alla Vergine, è rappresentato anche nel trittico di San Domenico, che riprende in maniera quasi esatta il san Venanzio che, dieci anni prima, il pittore camerte Girolamo di Giovanni (notizie dal 1449 al 1503) aveva dipinto in un grande affresco nella chiesa di Sant’Agostino, sempre nel borgo marchigiano. E se la dolcezza dei lineamenti del volto della Vergine fa pensare a suggestioni umbre, la grande cura del dettaglio chiama invece rimandi fiamminghi.

Niccolò di Liberatore detto l'Alunno, Polittico di San Venanzio (1480; tempera e oro su tavola; Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana)
Niccolò di Liberatore detto l’Alunno, Polittico di San Venanzio (1480; tempera e oro su tavola; Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana)


Marco Zoppo, Cristo morto sostenuto dagli angeli (1455-1457 circa; penna e inchiostro su pergamena; Londra, British Museum)
Marco Zoppo, Cristo morto sostenuto dagli angeli (1455-1457 circa; penna e inchiostro su pergamena; Londra, British Museum)


Girolamo di Giovanni, Madonna e santi (1470-1480 circa; affresco, 214 x 365 cm; Camerino, Pinacoteca e Museo Civico)
Girolamo di Giovanni, Madonna e santi (1470-1480 circa; affresco, 214 x 365 cm; Camerino, Pinacoteca e Museo Civico)


Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, la figura della Madonna
Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, la figura della Madonna


Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, san Pietro e san Domenico
Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, san Pietro e san Domenico


Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, san Pietro martire e san Venanzio
Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, san Pietro martire e san Venanzio


Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, il basamento del trono
Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, il basamento del trono


Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, il modellino della città di Camerino
Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, il modellino della città di Camerino

Che Carlo Crivelli intendesse ostentare la sua tipica cifra stilistica, corrusca e sfavillante, è evidente anche dagli inserti in rilievo che l’artista inserì nel dipinto per far diventare reale la tridimensionalità dell’opera. Evidentemente non gli era sufficiente il grande illusionismo, che notiamo da particolari come il piede di san Pietro posto sul gradone con la punta della scarpa all’infuori, o come lo stesso gradone convesso, con le sue pere, le sue mele e i suoi cetrioli che paiono fuoriuscire dallo spazio fisico dell’opera: Crivelli necessitava di qualcosa che davvero fuoriuscisse dal dipinto. Ed ecco dunque gli straordinarî inserti: le chiavi di san Pietro, il suo pastorale, i gioielli di san Venanzio e della Vergine, il coltello che, come da tipica iconografia, affonda nel cranio di san Pietro martire, e ancora il manico di quello che gli trafigge il petto sono elementi che ancora rimandano a un gusto tardogotico ma che catturano il visitatore che si trova a passare dalla sala XXII della Pinacoteca di Brera, dal momento che osservando il trittico non vediamo un paio di chiavi dipinte, ma vediamo delle chiavi vere, realizzate secondo tecniche artigianali e applicate quindi all’opera bidimensionale.

L’artista veneto, per i suoi inserti, utilizzò la tecnica del rilievo in pastiglia, che fiorì nel periodo del gotico internazionale: alla tavola veniva aggiunta un’applicazione in stucco, modellata con le forme dell’oggetto, della decorazione o della figura che si voleva ottenere, e quindi la si ricopriva con foglia dorata, oppure la si colorava. Il risultato era di grande effetto e, in un ambiente artistico come quello di Camerino, doveva ancora incontrare il favore della committenza e del pubblico. Alessandra Fregolent scrive che “nel polittico eseguito per la chiesa di San Domenico di Camerino (Milano, Brera), datato 1482, incontriamo quasi una prova di ’realismo materico’ nella lama che trafigge il capo di san Pietro martire, ottenuta con l’inclusione della foglia metallica, oppure nelle chiavi veramente tridimensionali in mano a san Pietro. Alla profusione di metalli preziosi e di elaborati effetti decorativi dobbiamo molto nel fascino, quello più immediatamente percettibile, dei polittici crivelleschi che sotto questo aspetto ricordano la raffinata pittura del gotico internazionale, in particolare di Gentile da Fabriano, importatore a Venezia di accorgimenti che rendendo ancora più preziosa la materia pittorica raggiungono esiti di grande suggestione ottica”.

Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, le chiavi di san Pietro
Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, le chiavi di san Pietro


Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, gli oggetti di san Pietro
Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, gli oggetti di san Pietro


Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, particolare del piede di san Pietro
Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, particolare del piede di san Pietro


Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, dettagli di san Venanzio e san Pietro martire
Carlo Crivelli, Trittico di San Domenico, dettagli di san Venanzio e san Pietro martire

All’epoca, sul finire del Quattrocento, la signoria dei Varano rivaleggiava con quella dei Montefeltro nella vicina Urbino: anche l’arte era un mezzo d’affermazione del prestigio della signoria, e una maggior ricercatezza, una più esaltata ostentazione di sontuosità, un lusso esibito potevano essere utili allo scopo. Carlo Crivelli fu uno dei più grandi interpreti di questa feconda e intensa stagione dell’arte camerte. Un interprete che comunque non rinunciò all’umanità dei suoi personaggi in nome della magnificenza. Per quanto artificiosa fosse la sua arte, per quanto fosse sostanzialmente avulsa dalla rivoluzione rinascimentale che si stava compiendo in altre parti d’Italia, tanto da dividere la critica tra chi ha considerato Carlo Crivelli un semplice ritardatario e chi invece lo ha ritenuto artista avveduto delle novità del Rinascimento ma legato alle sue sognanti atmosfere tardogotiche, riuscì tuttavia a infondere sentimento ai suoi protagonisti. L’artificio, nel trittico di San Domenico, non influisce sulle emozioni dei santi né sulla loro umanità: l’espressione corrucciata e quasi grottesca di san Pietro con le rughe che gli segnano il volto, quella densa di misticismo di san Domenico, la sobria concentrazione di san Pietro martire e san Venanzio, col primo più malinconico e il secondo più orgoglioso, rivelano un attento studio delle emozioni che infonde una gran forza a questo meraviglioso polittico.

Lo aveva notato anche Lionello Venturi: nella sua opera Le origini della pittura veneziana, pubblicata nel 1907, il grande storico dell’arte individuò nel trittico di San Domenico non soltanto il punto apicale del decorativismo crivellesco, ma anche la vetta della sua indagine dei sentimenti. “Nell’82”, scriveva Venturi, “mentre portava a perfezione il suo ideale decorativo, i ricchissimi sontuosi troni, con i motivi particolari delle frutta, delle spezzature de’ marmi e simili, il Crivelli giunge all’espressione più seria del gruppo, più psicologicamente giusta. La tendenza notata fin da’ primi anni nella tristezza dei volti, ieratica, nobile, trova in questo tempo la maggior manifestazione. E di ciò è prova anche il riuscito tentativo nel trittico di Brera, ove la divisione di fatto tra i vari scomparti del quadro sì che i santi laterali vivano ognuno a sé è eliminata, e invece appaiati partecipano alla scena sacra”. Un’opera dove la tensione emotiva è tale che “per l’attenzione tutte le figure allungano il collo fuor dai ricchissimi paludamenti”. Ricchezza e umanità, decorativismo e raffinatezza in un’opera d’un artista indipendente e difficilmente inquadrabile, ma che è stato capace di regalarci opere in grado di catturarci col suo fascino indiscusso e di trasportarci nel suo singolare mondo dorato, caratterizzato da quell’eleganza, quella creatività, quella fantasia e quella colta consapevolezza che riescono a farlo sfuggire a ogni netta definizione.

Bibliografia di riferimento

  • Emanuela Daffra (a cura di), Crivelli a Brera, catalogo della mostra (Milano, Pinacoteca di Brera, dal 26 novembre 2009 al 28 marzo 2010), Electa, 2009
  • Andrea De Marchi, La pala d’altare: dal paliotto al polittico gotico, Art & Libri, 2009
  • Andrea De Marchi, Pittori a Camerino nel Quattrocento Federico Motta Editore, 2002
  • Marina Massa (a cura di), Il patrimonio disperso: il “caso” esemplare di Carlo Crivelli, atti del convegno (Montefiore dell’Aso, 12 ottobre 1996; Camerino, 26 ottobre 1996; Porto San Giorgio, 9 novembre 1996), Maroni Editore, 1999
  • Stefano Papetti (a cura di), Vittore Crivelli e la pittura del suo tempo nel Fermano, 24 Ore Cultura, 1997
  • Alessandra Fregolent, Materia e immagine in Carlo Crivelli, in Arte, 10 (1996), pp.29-33
  • Giuseppe Vitalini Sacconi, Pittura marchigiana: La scuola camerinese, Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata, 1968
  • Lionello Venturi, Le origini della pittura veneziana, Istituto Veneto di Arti Grafiche, 1907


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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