Dürer e il Rinascimento a Milano, una mostra che delude e non convince


Recensione della mostra 'Dürer e il Rinascimento tra Germania e Italia' a Milano, Palazzo Reale, dal 21 febbraio al 24 giugno 2018.

Sembra proprio che Albrecht Dürer (Norimberga, 1471 - 1528) abbia timidamente cominciato a condividere, malgré lui, la sorte già da tempo toccata ad altri suoi illustri colleghi di diverse epoche (Caravaggio, Frida Kahlo, Andy Warhol e impressionisti assortiti, tanto per citare alcuni esempî), accomunati dall’unica colpa d’avere un nome che garantisce facile richiamo di pubblico agli organizzatori di mostre blockbuster. Così, ecco che a Milano arriva una nuova monografica sul genio tedesco quando, solo negli ultimi dieci anni, l’artista è stato protagonista di due grandi mostre (quella delle Scuderie del Quirinale del 2007, e quella dello Städel Museum di Francoforte del 2013-2014), oltre che d’un profluvio di rassegne minori costruite principalmente attorno alla sua opera grafica. E soprattutto, occorre considerare il fatto che la mostra Dürer e il Rinascimento tra Germania e Italia, in corso a Palazzo Reale fino al 24 giugno 2018, non presenta novità scientifiche di rilievo. Sempre rimanendo entro le mura dell’istituto milanese, si può operare un confronto con la precedente rassegna su Caravaggio: anche lì si trattava di mostra eminentemente blockbuster, ma almeno occorreva riconoscerle il merito d’aver proposto qualche novità su alcuni documenti coevi, oltre che i risultati delle indagine radiografiche condotte sui dipinti, che hanno consentito di sfatare definitivamente il “mito” del “Caravaggio che non disegnava”.

Ma non è comunque detto che, anche senza presentare risultati scientifici che possano rivelarsi d’interesse per il grande pubblico, non sia possibile allestire una rassegna inappuntabile sotto il profilo divulgativo, o quanto meno coerente nei confronti dei proprî propositi, e quindi comunque utile al pubblico. Tuttavia, anche su questi aspetti la mostra milanese su Albrecht Dürer appare alquanto lacunosa: il percorso sembra privo d’una vera coerenza di fondo, gli apparati didattici sono scarni e non aiutano il pubblico a contestualizzare l’opera di Dürer, e lo stesso dicasi per l’audioguida che si limita a una breve introduzione e a poche notizie su alcune delle opere più importanti (una ventina abbondante), e soprattutto gl’intenti programmatici non vengono affermati con forza. Se è vero che la mostra, come da presentazione, ambisce a “proporre la grande figura di Albrecht Dürer” (qualunque cosa voglia dire), allora vengono tralasciati alcuni aspetti significativi (su tutti, il suo rapporto con la Riforma protestante). Se invece è vero che l’obiettivo è più circoscritto e la rassegna, come suggerisce il curatore Bernard Aikema nel suo saggio in catalogo, vuole piuttosto “presentare Dürer come l’esponente di una cultura artistica articolata e di alta qualità, espressione della vita sociale e culturale delle città della Germania meridionale, città in continuo contatto con il mondo urbano, altrettanto evoluto e articolato in termini socio-culturali, della pianura nord-italiana”, alla prova dei fatti questi legami non vengono sufficientemente evidenziati, o comunque i visitatori che non siano adeguatamente preparati sull’argomento non sono messi in grado di coglierli appieno. E ancora, se è vero che il focus della mostra non è costituito soltanto dalla figura di Dürer, ma anche dai “suoi grandi contemporanei, come Lucas Cranach, Albrecht Altdorfer, Hans Baldung Grien, Wolf Huber e altri ancora, i cui rapporti reciproci con la cultura visiva (nord) italiana sono sempre rimasti un poco nell’ombra”, i problemi aumentano: la loro presenza in mostra si limita a qualche comparsata poco utile per sviluppare un discorso veramente organico. Altdorfer e Hans Burgkmair, per esempio, sono presenti con solo un’opera ciascuno: opere che, peraltro, nell’economia complessiva della mostra ricoprono un ruolo marginale.

Sala della mostra su Dürer a Milano, Palazzo Reale. Ph. Credit Paolo Poce
Sala della mostra su Dürer a Milano, Palazzo Reale. Ph. Credit Paolo Poce


Sala della mostra su Dürer a Milano, Palazzo Reale. Ph. Credit Paolo Poce
Sala della mostra su Dürer a Milano, Palazzo Reale. Ph. Credit Paolo Poce

Che le premesse non siano buonissime, appare evidente fin dalla prima sezione, un pastiche intitolato Dürer, l’arte tedesca, Venezia, l’Italia, che affastella senz’apparente ordine opere giovanili tese a inquadrare i primi passi di Dürer nell’ambiente artistico della natia Norimberga, e dipinti, stampe e disegni più maturi, riferibili al periodo dei viaggi in Italia, quello del 1495 (tuttavia la mostra sottolinea in maniera molto netta e precisa che questo primo viaggio non è documentato, e quindi è tutt’altro che sicuro), e quello del 1505-1507. Quest’ultimo fu forse dovuto al fatto che l’artista tedesco intendeva espandere il raggio d’azione delle sue attività, soprattutto quella d’incisore: da qui, l’idea di scegliere Venezia come meta del viaggio, dacché la Serenissima era allora uno dei principali centri di produzione editoriale in Europa. Opere giovanili, come il ritratto del padre, risalente al 1490 (l’artista aveva allora diciannove nani, e quella appena citata è la sua prima opera nota) si alternano a lavori che, al contrario, sono riferibili al soggiorno veneziano di Albrecht Dürer: tra questi, il Ritratto di giovane gentildonna veneziana del 1505, che rispetto al dipinto di quindici anni prima dimostra con chiarezza come il tratto e il modellato di Dürer, a contatto con le esperienze lagunari (contatto che la rassegna intende esplicitare: un momento particolarmente interessante giunge quando s’incontra la Madonna col Bambino e quattro santi di Alvise Vivarini, uno degli artisti cui Dürer guardò con più insistenza), si rendano più morbidi, e le cromie assumano tonalità più vive e naturali. Se tocca contentarsi d’ammirare solo una copia, ancorché antica, della Festa del rosario, una delle più interessanti opere veneziane di Dürer, ci si può rifare osservando l’Adorazione dei Magi in arrivo dagli Uffizi ed esposta praticamente in apertura di percorso. Chissà per quale ragione: probabilmente per dimostrare fin dove si fosse spinta l’arte di Dürer prima del viaggio in Italia, ma comunque l’Adorazione, nel percorso a Palazzo Reale, s’incontra prima di opere cronologicamente precedenti. Ad ogni modo, si tratta di un’opera che precede di poco il soggiorno in Italia, in quanto realizzata nel 1504 forse per la cappella del castello di Wittenberg, su commissione del principe elettore di Sassonia, Federico III. L’opera consente di cogliere i riferimenti leonardeschi nell’arte di Dürer, dacché figurano elementi ispirati o desunti dalla celeberrima Adorazione di Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 - Amboise, 1519), come il paesaggio, le rovine classiche, financo il gruppo dei cavalieri che risulta quasi replicato.

Il confronto, uno dei principali motivi d’interesse della mostra milanese, prosegue in maniera diretta con l’esposizione, nella seconda sezione (Geometria, misura, architettura), del San Girolamo di Leonardo, posto a paragone con alcuni ritratti düreriani, come la Testa di vecchio prestata dalla Pinacoteca Nazionale di Siena (in mostra tuttavia è data come “attribuita a”), e dopo che il pubblico ha avuto modo d’ammirare, alla fine della sala precedente, un’opera come il Cristo tra i dottori, che potrebbe rivelare la conoscenza, da parte di Dürer, delle teste grottesche di Leonardo, e che denota una gestualità simile a quella che si ravvisa nella summenzionata Madonna di Vivarini. Per il resto, il secondo capitolo della mostra prova ad addentrarsi nelle teorie estetiche di Dürer, presentandoci l’artista anche come trattatista che, sulla scorta di quanto avevano fatto anni addietro altri colleghi, su tutti Leon Battista Alberti, fissò le proprie idee su carta scrivendo trattati sulla misurazione e sulla proporzione. Dürer elaborò l’idea d’assoggettare il corpo umano a un canone proporzionale agl’inizî del Cinquecento, quando entrò in contatto con l’incisore veneziano Jacopo de’ Barbari (Venezia, 1470 circa - 1516 circa), ch’era giunto a Norimberga nel 1500: affascinato dall’idea di rappresentare la bellezza secondo un canone formale, Dürer produsse dapprima una Nemesi (esposta tuttavia nella sezione successiva) ancora caratterizzata da un duro e nordico naturalismo, e poi la celebre coppia Adamo ed Eva che, al contrario, palesa un avvicinamento a modelli di bellezza classici (“manifesto düreriano del modus classico”, la definisce Aikema nel catalogo). Le sue ricerche, tuttavia, non dovettero soddisfarlo pienamente, se a un certo punto della sua carriera pronunciò la famosa frase “Wasz aber die schonheit sy, daz weis jch nit” (“Cosa sia la bellezza, non lo so”), e soprattutto se un paio di decennî dopo l’Adamo ed Eva, scriveva Elena Filippi nel catalogo della mostra romana del 2007, i suoi trattati “rivelano quanto lontano si trovi il Maestro da un aprioristico canone di bellezza esemplato sull’antico”, perché Dürer maturò non solo la convinzione che “non basta individuare precisi rapporti proporzionali fra le parti del corpo per guadagnare una sistematica della rappresentazione della figura umana”, ma anche la consapevolezza “della ricchezza inesauribile delle forme e della impossibilità di sottometterle a moduli estetici e leggi universalmente valide”.

Albrecht Dürer, Ritratto del padre Albrecht il vecchio
Albrecht Dürer, Ritratto del padre Albrecht il vecchio (1490; olio su tavola, 47,5 x 39,5 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture)


Albrecht Dürer, Ritratto di giovane veneziana
Albrecht Dürer, Ritratto di giovane veneziana (1505; tavola, 32,5 x 24,2 cm; Vienna, Kunsthistorisches Museum)


Alvise Vivarini, Madonna col Bambino e i santi Pietro, Girolamo, Agostino e Maddalena
Alvise Vivarini, Madonna col Bambino e i santi Pietro, Girolamo, Agostino e Maddalena (1500; olio su tavola, 145 x 100 cm; Amiens, Musée de Picardie)


Copia da Albrecht Dürer, Festa del Rosario
Copia da Albrecht Dürer, Festa del Rosario (post 1606; olio su tela, 160 x 193 cm; Vienna, Kunsthistorisches Museum)


Albrecht Dürer, Adorazione dei Magi
Albrecht Dürer, Adorazione dei Magi (1504; olio su tavola, 100 x 114 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture)


Leonardo da Vinci, San Girolamo nel deserto
Leonardo da Vinci, San Girolamo nel deserto (1490 circa; olio su tavola, 103 x 75 cm; Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana)


Albrecht Dürer (attribuito), Testa di vecchio (1514; olio su tavola, 33,2 x 35,6 cm; Siena, Pinacoteca Nazionale)
Albrecht Dürer (attribuito), Testa di vecchio (1514; olio su tavola, 33,2 x 35,6 cm; Siena, Pinacoteca Nazionale)


Albrecht Dürer, Cristo tra i dottori
Albrecht Dürer, Cristo tra i dottori (1506; olio su tavola, 64,3 x 80,3 cm; Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza)


Albrecht Dürer, Nemesi
Albrecht Dürer, Nemesi (1501; incisione su rame, 335 x 260 mm; Schweinfurt, Collezione Schäfer)


Albrecht Dürer, Adamo ed Eva
Albrecht Dürer, Adamo ed Eva (1504; bulino, 251 x 198 mm; Schweinfurt, Collezione Schäfer)

La sezione successiva, dedicata alla natura, è sicuramente la più riuscita dell’esposizione di Palazzo Reale, anche per il fatto che è quella che meglio contestualizza la produzione di Dürer nella realtà storica e artistica del suo tempo. Si comincia con un’analisi della pittura di paesaggio, vista nell’evoluzione che l’avrebbe portata a diventare un genere autonomo, grazie alle ricerche degli artisti che, di là e di qua dalle Alpi, si cimentarono in rappresentazioni in cui la figura umana perdeva sempre più la sua importanza (illuminanti in tal senso sono le Storie di Damone dipinte da Andrea Previtali) e, viceversa, il paesaggio veniva sottoposto a uno studio sempre più attento: effetti di luce, variazioni atmosferiche, resa naturalistica degli elementi naturali. A Dürer s’attribuisce il merito d’esser stato tra i primi artisti (ma non il primo in assoluto: su questo aspetto il co-curatore, Andrew John Martin, nel catalogo è molto chiaro) a compiere indagini sul paesaggio valutato come un elemento indipendente e non subordinato alla presenza di scene o personaggi, e questo per una ragione precisa: “esaltare la natura come creazione divina, scoprirne le verità, e indagare scientificamente le forze e le proporzioni che costituiscono i vari aspetti nel micro e macrocosmo”, scriveva Kristina Herrmann Fiore, sempre nel catalogo della mostra delle Scuderie del Quirinale, “era per Dürer il compito fondamentale del suo operato”. La mostra presenta dunque alcuni acquerelli con paesaggi alpini che Dürer realizzò negli anni Novanta del Quattrocento: si tratta d’indagini che venivano abbozzate in loco e poi terminate tra le pareti dello studio, esattamente come faceva Leonardo da Vinci (presente nella sala con un disegno di Cime innevate), anch’egli autore, fin dai primi anni Settanta del quindicesimo secolo, di studî sul paesaggio (a lui in particolare s’attribuisce il primo disegno di paesaggio autonomo della storia dell’arte, il Paesaggio del Valdarno conservato al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi), il cui “aspetto innovatore” risiede nella “capacità di restituire la percezione visiva del paesaggio” offrendo non tanto una definizione puntuale ma un suggerimento (così Maria Teresa Fiorio nel catalogo della mostra su Leonardo da Vinci tenutasi a Palazzo Reale nel 2015). Le ricerche di Dürer ebbero un impatto tanto sulla produzione italiana, come dimostra il Paesaggio roccioso di Domenico Campagnola (Venezia, 1500 circa - Padova, 1564), che denota un’attenta ricezione dei modelli düreriani soprattutto nella resa tecnica, quanto su quella tedesca: la cosiddetta Donauschule, la “scuola del Danubio”, sulla scorta di tali suggestioni sarebbe arrivata, con Albrecht Altdorfer (Ratisbona?, 1480 circa - Ratisbona, 1528), all’elaborazione dei primi dipinti di paesaggio indipendenti.

La sottosezione sullo studio della flora e della fauna appare molto più sbrigativa: i fogli qui esposti (imperdibile il famoso Granchio) conducono, in uno dei passaggi più coerenti della mostra, alla quarta area, dedicata alla “scoperta dell’individuo”. Si tratta d’un viaggio nella ritrattistica di Dürer teso a dimostrare come l’approccio scientifico dell’artista tedesco nei confronti della ricerca artistica coinvolga anche, ovviamente, il volto umano: la bella carrellata di ritratti che si dipana lungo la sala dimostra come Dürer avesse guardato a modelli veneziani, su tutti Antonello da Messina e soprattutto Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1556/1557), presente con un Busto di donna in prestito dal Musée des Beaux-Arts di Digione, per realizzare opere contraddistinte da un luminismo terso e omogeneo capace d’esaltare le caratteristiche somatiche del personaggio, rese con straordinario naturalismo. Esemplificativi in tal senso sono il Ritratto di giovane uomo (s’osservino da una distanza molto ravvicinata le pupille del protagonista: si noteranno i riflessi d’una finestra) e il Ritratto di religioso, realizzati a seguito d’una ben evidente assimilazione della pittura lagunare. La circolarità dei modelli è ben testimoniata dalla presenza, in mostra, d’un ritratto di Andrea Previtali (Brembate di Sopra?, 1480 circa - Bergamo, 1528), conservato a Tolosa, che dal Giovane uomo di Dürer riprende con dovizia l’impostazione, l’espressione e il fondo verde.

Andrea Previtali, Storie di Damone
Andrea Previtali, Storie di Damone (1510 circa; olio su tavola, 45,2 x 19,9 cm; Londra, National Gallery)


Albrecht Dürer, La strada del Brennero nella valle dell'Isarco
Albrecht Dürer, La strada del Brennero nella valle dell’Isarco (1494-1495 circa; acquerello, 20,5 x 29,5 cm; Madrid, Real Biblioteca del Monasterio de San Lorenzo de El Escorial)


Leonardo da Vinci, Cime innevate
Leonardo da Vinci, Cime innevate (1511; sanguigna con lumeggiature bianche su carta con imprimitura rosso chiaro, 105 x 160 mm; Windsor Castle, The Royal Collection)


Domenico Campagnola, Paesaggio roccioso con un fitto bosco
Domenico Campagnola, Paesaggio roccioso con un fitto bosco (1516 circa; penna e inchiostro marrone, 238 x 362 mm; Parigi, Fondazione Custodia)


Albrecht Dürer, Il granchio marino
Albrecht Dürer, Il granchio marino (1495 circa; acquerello, 263 x 365 mm; Rotterdam, Museum Boijmans van Beuningen)


Lorenzo Lotto, Busto di donna (Giovanna de’ Rossi vedova Malaspina?)
Lorenzo Lotto, Busto di donna (Giovanna de’ Rossi vedova Malaspina?) (1506; olio su tavola, 36 x 28 cm; Digione, Musée des Beaux-Arts)


Albrecht Dürer, Ritratto di giovane uomo
Albrecht Dürer, Ritratto di giovane uomo (1506; olio su tavola, 46 x 35 cm; Genova, Musei di Strada Nuova - Palazzo Rosso)


Albrecht Dürer, Ritratto di religioso (Johann Dorsch?)
Albrecht Dürer, Ritratto di religioso (Johann Dorsch?) (1516; olio su pergamena montata su tela, 41,7 x 32,7 cm; Washington, National Gallery of Art)


Andrea Previtali, Ritratto di giovane con pelliccia
Andrea Previtali, Ritratto di giovane con pelliccia (1506; olio su tavola, 33 x 27 cm; Tolosa, Fondazione Bemberg)

Il percorso torna a perdere coerenza nelle ultime due sezioni. La quinta, in particolare, espone i quindici fogli dell’Apocalisse, coi quali Dürer intese illustrare il testo giovanneo arrivando a produrre il primo libro nella storia dell’Occidente la cui progettazione, illustrazione e pubblicazione sono da attribuire alla figura d’un singolo artista, e la serie della Grande Passione, che invece aveva l’obiettivo d’illustrare i varî momenti della Passione di Cristo. Tuttavia la sezione, per quanto interessante di per sé, appare totalmente slegata dal resto della mostra: in altri termini, non si comprende bene per quale ragione la rassegna debba abbandonare il filo narrativo teso a calare Dürer nel contesto storico, artistico e culturale del suo tempo, per inoltrarsi in una sezione dedicata a un preciso momento della sua attività artistica.

L’ultima sezione, Il classicismo e le sue alternative, torna ad allargare il campo: l’obiettivo è dimostrare come, tra la fine del Quattrocento e gl’inizî del Cinquecento, anche l’arte tedesca fosse attraversata da pulsioni classicheggianti e, viceversa, l’arte dell’Italia del nord palesasse quelle stesse tendenze anticlassiciste che pervadevano le opere di molti tedeschi, da Wolf Huber ad Hans Baldung Grien, per arrivare alla conclusione che, scrive Aikema, “la storia dell’arte centro europea post-Dürer è multiforme” e che “l’eredità del classicismo di Albrecht Dürer era ovviamente importante, ma in fin dei conti soltanto una delle opzioni di cui disponevano gli artisti delle generazioni successive”. Difficile tuttavia trovare un nesso che leghi le opere esposte in una sezione dagl’intenti tanto generici. Si possono tuttavia proporre alcuni esempî: il classicismo dei fogli düreriani, come il Bagno degli uomini o il Bagno delle donne, dimostra l’adesione a modelli mantegneschi e la conoscenza dell’arte fiorentina del tempo, e al contrario la Testa di giovane uomo con la bocca aperta di Wolf Huber (Feldkirch, 1485 - Passau, 1553) è un esempio di quel “repertorio di tipi da utilizzare per commissioni di dipinti, che in parte spinge fino al grottesco la gamma di variazioni relative alla mimica umana della riflessione, dello stupore, della paura o dell’ira” (Anna Scherbaum) e che l’artista adottò. Il momento forse più riuscito di quest’ultima sezione è il confronto tra i due Ritratti di vecchia, uno del Giorgione (Castelfranco Veneto, 1478 - Venezia, 1510), e l’altro di Hans Baldung Grien (Schwäbisch Gmünd, 1484 circa - Strasburgo, 1545), separati da una distanza di circa trent’anni (anche se, per una svista, il catalogo data la tempera del Giorgione al 1535 circa, venticinque anni dopo la scomparsa dell’artista... ): si tratta di due opere per le quali Aikema individua una radice comune nell’arte nordica, e soprattutto si tratta di opere alquanto enigmatiche. Riguardo al foglio di Baldung Grien, non sappiamo se si trattasse d’uno studio da inserire in una composizione più ampia, oppure d’un ritratto. Quanto al dipinto giorgionesco, sfuggono utilizzo, destinazione e significato: si trattava, probabilmente, di un’allegoria della vanità, ma anche, secondo un’ipotesi di Peter Lüdemann, di un’allegoria delle virtù che l’uomo acquisisce “col tempo”, come recita il cartiglio che la protagonista reca in mano e che sarebbe dunque da intendersi in senso positivo.

Albrecht Dürer, Il bagno degli uomini
Albrecht Dürer, Il bagno degli uomini (1496-97 circa; xilografia, 392 x 283 mm; Monaco, Staatliche Graphische Sammlung)


Wolf Huber, Testa di giovane uomo con la bocca aperta
Wolf Huber, Testa di giovane uomo con la bocca aperta (1522; carboncino e gessetto bianco su carta colorata di rosso mattone, 260 x 181 mm; Erlangen, Universitätsbibliothek)


Giorgione, Ritratto di vecchia
Giorgione, Ritratto di vecchia (1506 circa; tempera e olio su tela, 68 x 59 cm; Venezia, Gallerie dell’Accademia)


Hans Baldung Grien, Ritratto di vecchia
Hans Baldung Grien, Ritratto di vecchia (1535 circa; matita nera, acquerellato, su carta bianca, 396 x 249 mm; Washington, National Gallery of Art)

Il confronto tra Giorgione e Baldung Grien accompagna il visitatore verso l’uscita d’un percorso caratterizzato da alcuni interessanti acuti (la sezione che esplora il modo in cui Dürer affrontò il problema della misurazione e della proporzione, la sala dedicata alla pittura di paesaggio, il confronto tra i ritratti di Dürer e quelli dei pittori veneti coevi), ma che in una valutazione complessiva delude le aspettative e non convince, per le ragioni di cui s’è detto in apertura e che s’è provato a motivare entrando nel dettaglio delle singole sezioni. Sono molti i punti che, al termine della mostra, rimangono in sospeso. Per esempio, nel catalogo, una sezione del saggio introduttivo di Bernard Aikema ragiona sulle conquiste di Albrecht Dürer e fa riferimento al fatto che “buona parte di queste conquiste è il risultato del dialogo con la cultura (nord)italiana”: si parla del confronto con Mantegna e della capacità di trasformare le creazioni dell’artista veneto “in figure vive”, o della curiosità nei confronti della natura che ha reso Dürer il contraltare tedesco di Leonardo da Vinci, o ancora dell’introduzione in Germania delle “teorie filosofiche e tecniche sull’arte sviluppatesi in Italia nel corso del Quattrocento”. Sono aspetti che in mostra vengono accennati, ma allo stesso tempo sviluppati in maniera forse troppo rapida. E ce ne sono altri che invece sono affrontati nel saggio introduttivo (per esempio, il rapporto tra Dürer e gli umanisti tedeschi del suo tempo, su tutti Conrad Celtis), ma che in mostra non vengono toccati, o sono minimamente sfiorati.

Meglio dunque concentrarsi proprio sul catalogo, un ottimo prodotto con diversi interessanti approfondimenti, a cominciare dal saggio di Larry Silver sul rapporto tra impero, Chiesa e Venezia nei primi anni del Cinquecento, il contributo sui legami tra Dürer e Mantegna firmato da Anne-Sophie Pellé, e ancora il saggio di Giovanni Maria Fara che mette a confronto Dürer e Leonardo, oppure quello di Thomas Schauerte che indaga invece la posizione dell’artista nei confronti della Riforma. Ben curate anche le introduzioni delle singole sezioni, che però hanno il difetto di citare di rado le opere effettivamente esposte a Palazzo Reale.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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