Israele vaccina a raffica e riapre i luoghi della cultura e dello spettacolo. Però...


Israele grazie alla sua massiccia campagna di vaccinazioni ha rimosso il lockdown: possono riaprire i luoghi della cultura e dello spettacolo. Ma ci sono ancora dei punti interrogativi... 

Mentre Israele, alla data del 21 febbraio, ha somministrato oltre 7 milioni di dosi del vaccino anti-Covid coprendo l’85% della popolazione del paese, la vita culturale riprende: sono state infatti rimosse pressoché tutte le limitazioni alla cultura ed è stata avviata, nella giornata di ieri, l’operazione Green Passport (“Passaporto verde”), il certificato che attesta l’avvenuta vaccinazione dei singoli abitanti e che verrà richiesto come condizione per entrare in determinati locali.

“La prima ragione per vaccinarsi”, ha dichiarato il 16 febbraio il primo ministro Benjamin Netanyahu, “è il pericolo di non essere vaccinati, che è molto più serio del piccolo disagio provocato dalla puntura per la vaccinazione. La seconda ragione per vaccinarsi consiste nel fatto che stiamo aprendo il programma Green Passport: tutti coloro che sono stati vaccinati potranno andare al teatro, al cinema, agli eventi sportivi, ai ristoranti, potranno viaggiare all’estero e molto altro. La terza ragione è ancora più importante: non state solo salvando voi stessi, ma se non vi vaccinate potreste ammalarvi e voi stessi costituirete una sfida per i nostri ospedali, e di conseguenza potremmo essere costretti a imporre un nuovo lockdown”.

Netanyahu festeggia i quattro milioni di israeliani vaccinati
Netanyahu festeggia i quattro milioni di israeliani vaccinati. Ph. Kobi Gideon

Come funziona il passaporto per i vaccinati in Israele

Israele ha abolito il lockdown nazionale lo scorso 8 febbraio, e dalla scorsa settimana il governo ha consentito le riaperture di cinema, teatri, sale concerto ma anche palestre, hotel, sinagoghe, garantendo l’accesso a chi è in possesso del passaporto verde: il certificato viene concesso a quanti hanno ricevuto la seconda dose del vaccino, e viene rilasciato a partire dalla prima settimana dopo la somministrazione. Inoltre, il passaporto viene dato anche alle circa 740.000 persone che si sono ammalate e sono poi guarite (sviluppando dunque l’immunità) e non hanno dunque necessità di vaccinarsi. Gli israeliani possono ottenere il loro Green Passport con una app, attraverso il sito del Ministero della Salute di Israele, oppure chiamando un apposito numero telefonico: occorre inviare i propri dati e si riceve in risposta un codice di conferma che servirà per scaricare il certificato, che è dotato di QR Code che funge da firma digitale. Nei locali in cui è necessario, basterà tirare fuori una copia stampata del passaporto oppure mostrarlo sul telefono, assieme alla propria carta d’identità, per poter entrare. Il passaporto è valido per sei mesi.

Quali sono le attività che richiedono il passaporto? In alcuni edifici di culto (che possono autonomamente scegliere se operare in regime di Green Passport o no: in quest’ultimo caso, sono costrette ad accogliere un numero molto più limitato di fedeli), nelle palestre, nelle piscine, negli impianti sportivi (stadi e palazzetti dello sport), nei cinema e nei teatri, ai concerti, alle mostre organizzate fuori dai musei (per i musei infatti non è necessario il passaporto).

Rimangono tuttavia in vigore diverse regole anti-Covid. I ristoranti, per esempio, non hanno ancora riaperto. I teatri, i cinema e i luoghi della cultura in generale sono obbligati a rispettare la capienza massima del 75% (e in ogni caso non possono esserci più di 300 persone all’interno e 500 all’esterno dei locali), e ci sono poi obbligo di prenotazione dei biglietti, posti marcati (lasciando un posto vuoto ogni due persone), per i musei visite guidate per gruppi di massimo dieci persone con prenotazione anticipata.

Tutto bene? Non proprio...

Tutto perfetto dunque? Purtroppo no: la ripartenza, infatti, non è facile, e a dare idea di cosa voglia dire riaprire in Israele i luoghi della cultura e dello spettacolo è intervenuto, quest’oggi sul Jerusalem Post, l’amministratore delegato di Lev Cinemas (un’importante catena di cinema israeliana attiva fin dagli anni Ottanta), Guy Shani, che dichiara: “In sostanza siamo stati chiusi per un anno, senza che ci siano stati aiuti specifici per la nostra industria. Altre organizzazioni come gli istituti della cultura e gli hotel hanno ricevuto supporto, noi no”. Per evitare la chiusura definitiva molte sale hanno dovuto spendere (per esempio per gli affitti delle sale, per la manutenzione, per le tasse) senza ricevere adeguati ristori, e in più tanti hanno dovuto licenziare o mettere in congedo la gran parte dello staff. Alcuni di loro probabilmente non torneranno al lavoro, perché magari nel frattempo hanno trovato altro. Occorrerà quindi procedere con nuove assunzioni, spendendo tempo per formare i nuovi assunti.

E c’è poi anche il capitolo Green Passport: non è infatti chiaro, riporta il quotidiano di Gerusalemme, quali linee dovranno applicare i datori di lavoro. Intanto perché molti dipendenti sono giovani e in ottima salute, di conseguenza saranno tra gli ultimi a essere vaccinati, e non si sa se potranno già tornare al lavoro. Inoltre, non si sa se per un datore di lavoro è legale chiedere a un suo dipendente l’obbligo di vaccinazione per poter lavorare. Ma i problemi non finiscono qui: le restrizioni ancora in vigore consentono le riaperture dei cinema, ma non la vendita di cibo e bevande al loro interno, attività che consente ai cinema di ottenere buoni guadagni (che per certe catene arrivano fino al 40%). Insomma, si riapre, ma ancora nell’incertezza. La conclusione? La tira un dirigente non nominato: “è un casino”.

La Henry Crown Hall del Jerusalem Theatre
La Henry Crown Hall del Jerusalem Theatre

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