La polemica: “Bonami è un maschio bianco cis che alimenta idee retrograde”. Lui non ci sta


Tra i meandri di Instagram ecco la polemica: un gruppo di artisti e curatori accusa Bonami di essere un “maschio bianco cis fino all'osso” che propugna idee retrograde, e di ironizzare su temi legati all'identità di genere e alla decolonizzazione. Il curatore però non ci sta.

Chi non frequenta gli antri di Instagram si sarà sicuramente perso la polemica dell’estate: un gruppo di artisti e curatori ha accusato il loro collega Francesco Bonami (direttore artistico della 50^ Biennale di Venezia nel 2003, già Senior Curator al Museum of Contemporary Art di Chicago, e direttore onorario della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo) di prendersi gioco dei temi legati all’identità di genere e alla decolonizzazione per un suo video su Instagram pubblicato lo scorso 7 luglio. Tutto nasce da un articolo pubblicato due giorni prima su The Art Newspaper e firmato da Lisa Movius: nell’articolo, Movius si domandava perché le posizioni di vertice in alcuni dei principali musei della Cina (vengono menzionati quattro casi) siano appannaggio di uomini bianchi.

Tra gli “uomini bianchi” citati dalla giornalista figura proprio Bonami, che dirige il nuovo museo privato By Art Matters di Hangzhou, disegnato da Renzo Piano. Museo che, si legge nell’articolo, “aprirà alla fine dell’anno sotto la direzione remota del super-curatore italiano, residente negli USA, Francesco Bonami, supportato da un assistente alla direzione in loco, Wu Tian”. Movius, che si concentra su altri tre musei, contesta il fatto che le nomine riguardano tutte uomini occidentali che hanno scarsa esperienza in Asia, e che tre di loro lavorano in remoto dall’estero (caratteristica, quest’ultima, facilitata dalla pandemia di Covid). Secondo Movius si tratta però di un problema diffuso e che non riguarda solo la Cina, ma anche l’Occidente: viene riportato il punto di vista di una manager anonima che lamenta il fatto che, sebbene nei musei occidentali la maggior parte del personale sia costituito da donne, i direttori spesso siano uomini bianchi. Per la Cina c’è poi il limite della lingua che ostacola una leadership efficace, secondo l’articolo: senza competenze linguistiche, si legge nel pezzo, i direttori occidentali sono “burattini” che parlano con i media, fanno da uomini-immagine per il museo dando un tocco di internazionalità, ma alla fine sono sempre altri quelli che fanno il vero lavoro. “Il fenomeno”, sottolinea ancora Movius, “rispecchia la tendenza a reclutare curatori occidentali affermati, per lo più bianchi e maschi, per dirigere le biennali e le triennali asiatiche, o il predominio degli artisti occidentali nelle mostre dei musei cinesi e nelle vendite all’asta”. In sostanza, conclude Movius, “lo stereotipo dell’autorità professionale come bianco e maschio domina ancora in Cina”. Per migliorare la situazione, secondo la giornalista potrebbe essere utile stabilire più collaborazioni tra musei cinesi e musei internazionali, offrire migliori riconoscimenti e migliori retribuzioni ai curatori locali per aiutarli a emergere contrastando la fuga di cervelli, e fare in modo che i musei si vedano tra loro come colleghi e non come concorrenti.

Bonami, come detto, ha affidato la sua risposta a un video sul suo canale Instagram, definendo l’articolo “totalmente inappropriato e non corretto, se non politicamente scorretto”. Quello che però ha fatto infuriare diverse persone sono i motivi per i quali Bonami ha ritenuto l’articolo inappropriato, visto che, anziché rispondere nel merito, il curatore ha preferito ironizzare. In primo luogo, dice Bonami, “l’articolo assume che, per come guardiamo dentro a noi stessi, noi ci sentiamo sempre vecchi maschi occidentali, e questo non è vero: per esempio, nel mio caso io spesso mi sento di essere una lesbica iraniana trentacinquenne, quindi loro non possono sapere come mi sento dentro”. Bonami ironizza anche sull’aggettivo “bianco”: “come vedete”, dice, “nella foto abbiamo i capelli bianchi, quindi non capisco a cosa l’articolo si riferisca quando parla di bianco”. Ancora, dice Bonami, l’articolo non prende in considerazione il fatto che in Cina “tutte le persone vengono molto onorate, quindi probabilmente loro avvertono che in quanto vecchi curatori necessitiamo di essere onorati e aiutati negli ultimi anni della nostra vita”. Infine, un ultimo affondo ironico: “in tutta l’Asia, la prostata di un trentacinquenne o di un anziano è considerata una specie di oggetto di culto, e in certe culture è anche considerata una prelibatezza culinaria”.

La risposta non si è fatta attendere, e un gruppo di artisti e curatori (tra i quali spiccano i nomi di Milovan Farronato, curatore del Padiglione Italia all’ultima Biennale di Venezia, dell’artista Paulina Orlowska, del curatore Matteo Lucchetti della Fondazione Pistoletto, della critica e storica dell’arte Stella Bottai: in tutto sono circa una quarantina) ha pubblicato contro Bonami una dura lettera aperta. “Dobbiamo presumere”, si legge nella lettera, “che annunciando la sua identità non binaria egli si stia effettivamente dimettendo dal suo attuale incarico a Hangzhou, dato che non potrebbe ricoprire un ruolo di così alto profilo pubblico in Cina come giovane donna trans iraniana. Ovviamente no. È un maschio cis bianco fino all’osso. Per Bonami, l’identità di genere sembra essere un cappello da festa usa e getta, senza traumi annessi. Non sembra preoccuparsi dell’esperienza di vita reale di discriminazione e omofobia subita da molti, né che l’omosessualità in Iran sia illegale e punita con la reclusione e persino l’esecuzione”.

La lettera accusa il curatore fiorentino anche di superficialità: “Se Bonami si fosse davvero preso la briga di leggere l’articolo completo di Movius, avrebbe saputo che il punto di questo servizio giornalistico è quello di criticare la mancanza di impegno a livello nazionale cinese per favorire migliori opportunità di lavoro e percorsi di sviluppo per i professionisti cinesi. Viene da chiedersi perché questo sembri così sbagliato al signor Bonami – così sbagliato da meritarsi una presa in giro pubblica”. E arriva poi un’accusa diretta: “indipendentemente dal potere e dalla fama che si è guadagnato, Bonami si sente insicuro e minacciato dal cambiamento sociale e dalle giovani generazioni al punto di scagliarsi contro di questi nella sfera pubblica. Ha mai pensato a come il proprio lavoro si sarebbe sviluppato in modo molto diverso se tutte le opportunità professionali che ha ricevuto in Italia in passato gli fossero state negate, e invece riservate a professionisti stranieri invitati a mostrare al Paese ‘come si fa’”? In ultimo, l’affondo finale: “Bonami appartiene a una generazione di leader culturali con ampio potere, budget e influenza che stanno plasmando il presente e il futuro per le istituzioni e gli artisti globali. Quindi, quando lo sentiamo parlare in questo modo, ci sentiamo emotivamente scossi, proviamo panico e rabbia. Lo scopo di questa lettera è invitare il signor Bonami a smettere di incitare punti di vista che considerano tematiche di genere e razziali, nonché la decolonizzazione, come questioni ridicole. È offensivo e pericoloso per altri cittadini in posizioni meno privilegiate della sua. Per favore, mostri empatia. È devastante vedere qualcuno che presumibilmente ha tutti gli strumenti intellettuali e il cui lavoro dovrebbe essere intrinsecamente connesso a coltivare l’immaginazione e la libertà, scegliere attivamente di influenzare l’opinione pubblica nella direzione di idee retrograde che alimentano e amplificano la nostra società, già molto polarizzata. Per favore, signor Bonami, smetta di sfogarsi e lasci vivere gli altri”.

Bonami ha poi replicato alla lettera con un secondo video (però molto meno visualizzato del primo: a oggi 3.900 visualizzazioni contro le circa 9.000 del primo), questa volta tuttavia caratterizzato da toni seri. “Mi hanno accusato di essermi preso gioco di alcune importanti questioni”, premette il curatore. “The Art Newspaper non ha citato le migliaia di altri musei in Cina che sono diretti e curati da curatori e direttori cinesi, quindi tre curatori bianchi che lavorano e collaborano con tre riconosciuti musei cinesi non sono che una piccola goccia nel vasto panorama dei musei cinesi. In secondo luogo, mi accusano di promuovere solo il mio ruolo di ‘super curatore’, che non so neanche cosa voglia dire. Vorrei sottolineare che sono direttore artistico per ragioni artistiche. Collaboro e lavoro con una fantastica squadra di giovani curatori e professionisti cinesi, in uno scambio aperto, imparo da loro e spero (perché questo è il mio ruolo) di essere in grado di insegnar loro qualcosa che li aiuti a sviluppare le loro visioni e abilità professionale, e spero di ricevere da loro le loro visioni per aprire la mia mente chiusa”.

Quanto al tema dell’identità di genere, dice Bonami: “Dicono che in Iran l’omosessualità viene punita dalla legge, e su questa base cercano di vedermi come una persona che non prende sul serio questi argomenti. Nell’era dell’identità di genere fluida non capisco perché il mio scherzare su questo problema venga preso come un’offesa: stavo cercando di sottolineare l’esatto opposto, ovvero stavo cercando di far capire che il problema dell’identità di genere è molto serio, mentre concentrarsi su tre curatori maschi e bianchi è una distrazione da problemi più importanti e molto drammatici”. Poi, sul discorso opportunità: “non mi sono mai state negate e dunque non posso capire come gli altri curatori si sentano quando le opportunità di dirigere e curare istituti e mostre vengono negate. Vorrei però ricordare a chi ha firmato la lettera che non mi è mai stata offerta la direzione di un museo americano, dove vivo da trentacinque anni, non mi è mai stata offerta la direzione di un museo pubblico italiano, perché sono piuttosto diretto su molte questioni e a tante persone non piacerebbe avermi attorno come direttore di un istituto”. Infine, Bonami chiude così: “vorrei dare un consiglio: ci sono problemi molto seri nel mondo e nel mondo dell’arte, quindi prendeteli sul serio ma, per favore, non prendete voi stessi troppo sul serio, perché quando vi prendete troppo sul serio fate un pessimo servizio ai problemi che volete affrontare”.

A sostegno di Bonami si sono schierati, tra gli altri, il critico Jerry Saltz, il conduttore tv Costantino della Gherardesca, e la brand visual director di Vogue Italia, Alessia Glavano. Polemica finita? Chissà...

Nella foto: Francesco Bonami

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