“Con il mio lavoro cerco di trasmettere leggerezza”. Conversazione con Beatrice Pediconi


Arte per trasmettere leggerezza e veicolare un messaggio di speranza e apertura che contrasti lo stato di divisione, perdita e profonda crisi che definisce il nostro presente. Beatrice Pediconi racconta la sua arte in questa conversazione con Gabriele Landi.

Beatrice Pediconi vive e lavora a New York. La sua formazione si svolge tra Parigi presso l’Università della Villette, e Roma, dove si laurea in Architettura nel 1999 presso l’Università “La Sapienza”. Il suo lavoro è stato esposto in mostre internazionali incluso: Presenze, Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, Roma (2023), Cinema Ephemera, Central Brooklyn Public Library, NY, (2020); NUCLEUS/Imagining Science, Groningen, The Netherlands (2017); Sequences VII, Real Time Art Festival, Reykjavik, Iceland (2015); Ensembles, Quand la Maison Européenne de la Photographie Collectionne, Les Rencontres d’Arles, France (2015); Untitled 2009, Macro Museo di Arte Contemporanea, Roma (2015); 9’/Unlimited, Collezione Maramotti, Reggio Emilia (2013); The Polaroid Years, The Frances Lehman Loeb Art Center, Vassar College, New York (2013); The Edge of Vision, Schneider Museum of Art, Ashland, Oregon (2012). Le sue opere sono nelle collezioni di numerose istituzioni pubbliche e private tra cui La Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea (Roma), la Maison Européenne de la Photographie (Parigi), la Lucid Art Foundation (San Francisco), il MACRO (Roma), la Videoinsight Art and Science Foundation (Torino) e la Collezione Maramotti (Reggio Emilia). Varie sono le residenze per artista alle quali ha partecipato, tra queste: Djerassi Resident Artists Program (Woodside, California) (2019); Yaddo Artist’s Residency (Saratoga Spring, New York) nel 2018.

Beatrice Pediconi
Beatrice Pediconi. Foto: Roger Moukarzel

GL. Per la maggior parte degli artisti, l’infanzia rappresenta il periodo d’oro in cui iniziano a manifestarsi i primi sintomi di una certa propensione ad appartenere al mondo dell’arte. È stato così anche per te?

BP. I ricordi legati alla mia infanzia sono molto labili, purtroppo. Più avanti nel tempo, durante l’adolescenza, ho manifestato un interesse sempre maggiore per la filosofia, una disciplina che mi ha insegnato la forza del pensiero e la rilevanza che questo trova nell’indagine di un significato più profondo sulla vita, e sull’esistenza – entrambi aspetti che sono poi tornati nel mio lavoro d’artista. Da ragazzina, mi sentivo un alieno, in un mondo che non riconoscevo; la miopia, e gli occhiali da vista che indossavo, rappresentavano un peso, una barriera, e, allo stesso tempo, la possibilità di amplificare la visione partendo da un “deficit”, da una mancanza. Da lì, forse, si è sviluppato il mio interesse per la fotografia, ovvero per qualcosa che mi dava la possibilità di deformare le immagini, trasformandole in qualcos’altro, al fine di provare che il reale può essere il risultato di un punto di vista e di uno sguardo laterale sulle cose: il reale non è mai sostanziale, ciò che ci circonda può avere tutta un’altra essenza.

Quali studi hai fatto?

Vengo da una famiglia di architetti e compositori d’orchestra; avrei desiderato frequentare l’Accademia di Belle Arti, ma mio padre non me lo permise, sostenendo che sarebbe stato meglio prendere un diploma universitario. Trovammo un compromesso negli studi di architettura all’Università “La Sapienza” di Roma. Adoravo tutte le materie legate al disegno ed ero particolarmente incapace nelle materie scientifiche. La fase creativa della progettazione mi piaceva moltissimo ma già allora mi spaventava il rapporto che l’architetto deve sostenere con la committenza pubblica al fine di realizzare i suoi progetti. Durante gli studi, iniziai subito a lavorare nella fotografia di architettura come assistente per la fotografa Giovanna Piemonti, pubblicando sulle riviste di settore per pagarmi gli studi e un affitto.

Ci sono stati degli incontri importanti durante la tua formazione?

Molte persone nel corso di questi anni sono state rilevanti; due incontri, in particolare: quello con Giulio di Gropello e quello con Marilena Bonomo mi hanno aperto a nuove esperienze e percorsi di vita. Quando incontrai Giulio di Gropello, un grande visionario che tra la fine degli anni Novanta ed il 2000 era uno dei collezionisti più attivi in Italia e all’estero, fu per fotografare la sua collezione privata. Giulio, in quelle occasioni, mi raccontava, con infinita passione e competenza, le vite degli artisti e le opere presenti nella sua collezione, descrivendone il contesto in ogni particolare. Il suo entusiasmo mi travolse a tal punto da spingermi a continuare la mia personale ricerca artistica, conducendola in parallelo allo studio e al lavoro come fotografa. Nel 2000, l’incontro con Marilena Bonomo – la mia prima gallerista – ha segnato l’inizio di un vero e proprio periodo di transizione. La prima volta che la vidi, le mostrai due serie, Oltre e Corpi Sottili. Oltre si compone di fotografie di architettura italiana, imparentate tra loro – l’antico con il moderno ed il contemporaneo – al fine di creare una visione trasversale dell’immagine e del tempo, anticipando così, anche attraverso la scelta del titolo, l’inizio di una nuova ricerca. Con la serie Corpi Sottili, invece, l’inchiostro di china, rilasciato in acqua e fotografato, mi consentiva di avviare una riflessione sul transitorio e l’invisibile, conducendomi all’opposto, ed in netto contrasto, con ciò che fino ad allora avevo fotografato. Nel passaggio dalla staticità delle architetture al movimento effimero delle tracce di china nell’acqua credo si sia manifestato ciò che maggiormente la colpì. Nel 2004 Marilena curò la prima mostra personale al Castello Svevo di Bari con la serie Oltre, mostrando al pubblico la profonda convinzione che mi spingeva verso una ricerca sperimentale. Ricordo molte conversazioni su quanto fossi determinata al cambiamento, allontanandomi dalla comfort zone e assumendomi il rischio di farlo. Colsi questa occasione e, nel 2006, presentai la serie Corpi sottili nella sede della sua galleria di Bari. Fu un successo.

Beatrice Pediconi, Teatro Bibiena (Mantova) e Cimitero (Modena), dittico (2004; stampa cromogenica, ed. 1/5)
Beatrice Pediconi, Teatro Bibiena (Mantova) e Cimitero (Modena), dittico (2004; stampa cromogenica, ed. 1/5)
Beatrice Pediconi, Basilica San Salvatore (Spoleto) e Lingotto (Torino), dittico (2004; stampa cromogenica, ed. 1/5)
Beatrice Pediconi, Basilica San Salvatore (Spoleto) e Lingotto (Torino), dittico (2004; stampa cromogenica, ed. 1/5)
Beatrice Pediconi, Corpo Sottile #4 dalla serie Corpi Sottili (2006; stampa cromogenica, ed. 1/5)
Beatrice Pediconi, Corpo Sottile #4 dalla serie Corpi Sottili (2006; stampa cromogenica, ed. 1/5)
Beatrice Pediconi, Scomposizione #8 dalla serie Corpi Sottili (2006; stampa cromogenica, ed. 1/5)
Beatrice Pediconi, Scomposizione #8 dalla serie Corpi Sottili (2006; stampa cromogenica, ed. 1/5)
Beatrice Pediconi, Scomposizione #9, dalla serie Corpi Sottili (2006; stampa cromogenica, ed. 1/5)
Beatrice Pediconi, Scomposizione #9, dalla serie Corpi Sottili (2006; stampa cromogenica, ed. 1/5)

Che ruolo ha il caso, ammesso che esista, in quello che fai?

Come nella vita, anche nella pratica artistica, il caso è un elemento con cui fare i conti: può essere determinante e indicare una strada da seguire. L’acqua, il medium che utilizzo sempre nei miei lavori e che è alla base del mio processo creativo, è il tramite attraverso cui arrivo al lavoro finale accettando un quoziente casuale, impossibile da controllare completamente. I pigmenti di colore disciolti in acqua, così come le emulsioni fotografiche lavorate a contatto con l’acqua – attraverso una tecnica peculiare che ho implementato nel corso di questi ultimi anni – implicano un aspetto di imprevedibilità che coniugo con l’attenzione per la natura mobile ed effimera tanto dell’esistenza quanto dell’immagine. Grazie al caso, il segno si mostra come un’epifania: questo aspetto è forse ciò che maggiormente mi sorprende ogni qual volta mi trovo immersa nel processo.

Se dovessi descrivere il tuo processo di lavoro che parole useresti?

La mia ricerca indaga la natura mobile, instabile, fragile e transitoria dell’esistenza attraverso la rappresentazione di immagini fluttuanti generate da un processo di trasformazione della materia impossibile da controllare completamente. Il lavoro finale è il risultato di una serie di azioni in cui diverse tecniche (pittura, disegno, video e fotografia) sono utilizzate in successione e in maniera non convenzionale. Una ricerca che rimane sempre in bilico e che rifiuta di rientrare in una categoria precisa. L’acqua è il medium attraverso cui si manifesta questo processo.

Come scegli i materiali con cui lavori?

La scelta dei materiali dipende molto da quello che voglio rappresentare e dall’idea che intendo trasmettere. Allo stesso tempo, la scelta è dettata dalla concreta possibilità di reperimento dei materiali stessi; perciò, talvolta, sono interessata anche al riuso e al recupero. Il vetro, per esempio, è un materiale che mi affascina e con cui vorrei iniziare a sperimentare ma, vivendo in America, mi sento di dover rimandare: collaborare con una fabbrica del vetro a New York mi sembrerebbe assurdo se penso ai professionisti e agli artigiani che in Europa hanno alimentato storia e tradizione di un materiale d’uso comune così affascinante. Il vetro mi attrae per il suo aspetto di intrinseca fragilità, così come per la forza del fuoco che è coinvolto nel suo processo di produzione. Lavorare con il vetro, e per traslato con il fuoco, sarebbe un po’ come lavorare con l’acqua – un processo mutante e in movimento.

L’acqua è forse l’elemento più importante nel tuo lavoro anche se poi è quello che scompare pur lasciando tracce molto evidenti della sua presenza che cosa ti affascina di questo elemento?

La spinta iniziale a lavorare con questo elemento arrivò come risposta a un trauma personale, in un momento in cui ho fatto dell’acqua – attraverso il processo creativo – un elemento curativo. L’acqua è all’origine della vita sul nostro pianeta ed ha per me una forte connotazione simbolica che, nella mia ricerca, passa attraverso la riflessione sulla condizione umana e la sua transitorietà. Mi intriga il suo essere un elemento mobile, capace di far immaginare forme fluttuanti e leggere, le stesse che prendono vita nei miei lavori proprio con un procedimento che parte dall’acqua per creare un nuovo universo di segni variabili.

Ti interessa l’idea di leggerezza in quello che fai?

Leggerezza significa, per definizione, agilità, scioltezza, velocità di movimento. La piuma è leggera, così come leggero è un gas, allo stesso modo di una stoffa sottile. Queste proprietà possono essere ricercate e ricreate attraverso il segno, dando all’opera una caratteristica interna di fluidità, di movimento leggiadro. Se i miei lavori arrivassero a trasmettere nell’osservatore una sensazione di leggerezza per me sarebbe già un grande obiettivo raggiunto. Ciò a cui tendo è veicolare un messaggio di speranza e apertura che contrasti lo stato di divisione, perdita e profonda crisi che definisce il nostro presente; forse è proprio in questi stimoli che risiede il mio interesse verso una certa idea di leggerezza.

Beatrice Pediconi, Untitled, Veduta dell'allestimento, Valentina Bonomo gallery, Roma, 2008
Beatrice Pediconi, Untitled, Veduta dell’allestimento, Valentina Bonomo gallery, Roma, 2008
Beatrice Pediconi, Untitled III (2009; stampa cromogenica, ed. 1/5)
Beatrice Pediconi, Untitled III (2009; stampa cromogenica, ed. 1/5)
Beatrice Pediconi, Red # 18 (2010; stampa cromogenica, ed. 1/5), Veduta dell'allestimento, Z2O Sara Zanin, Roma, 2010
Beatrice Pediconi, Red # 18 (2010; stampa cromogenica, ed. 1/5), Veduta dell’allestimento, Z2O Sara Zanin, Roma, 2010
Beatrice Pediconi, Red # 20 (2011; stampa su incisione, ed. 1/5)
Beatrice Pediconi, Red # 20 (2011; stampa su incisione, ed. 1/5)
Beatrice Pediconi, The Ambiguous lightness of being, Veduta dell'allestimento, Diana Lowenstein gallery, Miami, 2016
Beatrice Pediconi, The Ambiguous lightness of being, Veduta dell’allestimento, Diana Lowenstein gallery, Miami, 2016
Beatrice Pediconi, 9’/Unlimited (2013; proiezione video, dimensioni variabili, a calori, muta, durata 9', formato originale Red 4K, ed. 1/3), Veduta dell'allestimento, 9’/Unlimited, Collezione Maramotti Reggio Emilia, 2013. Foto: Dario Lasagni
Beatrice Pediconi, 9’/Unlimited (2013; proiezione video, dimensioni variabili, a calori, muta, durata 9’, formato originale Red 4K, ed. 1/3), Veduta dell’allestimento, 9’/Unlimited, Collezione Maramotti Reggio Emilia, 2013. Foto: Dario Lasagni
Beatrice Pediconi, Alien (2016; proiezione video, dimensioni variabili, a calori, muta, durata 5'40'', formato originale Red 4K, ed. 1/5), Veduta dell'allestimento, Italian Cultural Center, New Delhi, con una performance di Ankush Gupta
Beatrice Pediconi, Alien (2016; proiezione video, dimensioni variabili, a calori, muta, durata 5’40’’, formato originale Red 4K, ed. 1/5), Veduta dell’allestimento, Italian Cultural Center, New Delhi, con una performance di Ankush Gupta
Beatrice Pediconi, Untitled (2008; proiezione video, dimensioni variabili, a calori, muta, durata 7', formato originale HDV Pal, ed. 1/5), Veduta dell'allestimento, Macro, Roma, 2015. Foto: Dario Lasagni
Beatrice Pediconi, Untitled (2008; proiezione video, dimensioni variabili, a calori, muta, durata 7’, formato originale HDV Pal, ed. 1/5), Veduta dell’allestimento, Macro, Roma, 2015. Foto: Dario Lasagni

Ti interessa la dimensione pittorica?

Sono incuriosita da tutte le tecniche ma soprattutto dalla loro contaminazione. La pittura, anche se in maniera non convenzionale e non esclusiva, è sempre stata un’espressione presente nel mio lavoro, impiegata come mezzo per arrivare a uno stato di trasformazione. L’ho utilizzata, per esempio, come starting point dei miei lavori video, per cercare di rappresentare altri mondi: in questo caso la pittura è comparsa sotto forma dinamica, la tempera e l’olio, disciolti in acqua, sono stati chiamati a generare delle esplosioni di colore e materia, trasposte successivamente sotto forma di immagine in movimento attraverso la ripresa video. Questo utilizzo per certi versi atipico del medium della pittura ha guidato la mia ricerca in più di un’occasione, aprendo molteplici possibilità di senso. Nel 2010, con la serie RED, ho reso fluidi, pittorici, dei materiali alimentari impiegandoli per dipingere sull’acqua; successivamente fotografate, le forme e i movimenti originati da questi elementi organici sono serviti, a un livello più profondo, a esorcizzare un disturbo, quello alimentare, compiendo un’azione creativa e curativa. Nella mia ricerca più recente, con la serie Parliamo di Fiori impiego la pittura su tela servendomi di pigmenti naturali per creare un fondo di colore omogeneo su cui applico porzioni di emulsione fotografica – ottenuta da Polaroid realizzate in precedenza, ritagliate e lavorate in acqua. La pittura in questi lavori compare allo stato puro – il pigmento del fondo – e, mediata, nell’incontro con la fotografia – l’emulsione che utilizzo come materiale per dipingere. Da questa gestualità e da questa unione atipica si originano forme organiche e floreali in grado addirittura di dare origine a un sottile bassorilievo, appena percepibile, sul piano di fondo della tela.

L’idea di ineffabile divenire mi sembra avere una sua centralità nel tuo percorso, puoi raccontare l’idea di tempo che cerchi di mettere a fuoco nel tuo lavoro?

Sono particolarmente interessata a come utilizziamo quel lasso di tempo che per ciascuno di noi è inevitabilmente un tempo finito, dato dall’esistenza, il cui valore risiede in ciò che facciamo mentre tutto scorre. Per questo motivo l’idea di tempo nel mio lavoro è strettamente connessa al valore che il divenire possiede nella sua capacità di introdurre un elemento trasformativo, mobile. Ed è questa la dimensione che indago con la mia ricerca. In Diario di un tempo sospeso, per esempio, ho conferito all’opera una dimensione specificamente temporale data dalla scansione nello spazio di 43 emulsions lift, realizzate durante il primo lockdown, una per ciascun giorno di permanenza obbligata in Italia a causa della pandemia. In questo caso ho tentato di rendere il tempo visibile attraverso delle annotazioni di segno come in un insieme di pagine di diario.

Beatrice Pediconi, Untitled (2015; proiezione video, dimensioni variabili, a calori, muta, durata 6'46'', formato originale Red 4K, ed. 1/3), Veduta dell'allestimento, De la Poésie à l’Engament, Hotel des Arts, Tolone, 2015
Beatrice Pediconi, Untitled (2015; proiezione video, dimensioni variabili, a calori, muta, durata 6’46’’, formato originale Red 4K, ed. 1/3), Veduta dell’allestimento, De la Poésie à l’Engament, Hotel des Arts, Tolone, 2015
Beatrice Pediconi, Dimensioni Variabili, Veduta dell'allestimento, Z2O Sara Zanin, Roma (2016). Foto: Dario Lasagni
Beatrice Pediconi, Dimensioni Variabili, Veduta dell’allestimento, Z2O Sara Zanin, Roma (2016). Foto: Dario Lasagni
Beatrice Pediconi, Gaea (2018; proiezione video, dimensioni variabili, a calori, muta, durata 5'51'', formato originale Red 4K, ed. 1/5), Veduta dell'allestimento, Subject to Change, sepiaEye gallery, New York, 2019
Beatrice Pediconi, Gaea (2018; proiezione video, dimensioni variabili, a calori, muta, durata 5’51’’, formato originale Red 4K, ed. 1/5), Veduta dell’allestimento, Subject to Change, sepiaEye gallery, New York, 2019
Beatrice Pediconi, Il Segno è l’esemplare parlato, Veduta dell'allestimento Z2O Project, Roma 2023. Foto: Giorgio Benni
Beatrice Pediconi, Il Segno è l’esemplare parlato, Veduta dell’allestimento Z2O Project, Roma 2023. Foto: Giorgio Benni
Beatrice Pediconi, Presenze, Veduta dell'allestimento Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea,  Roma, 2023. Foto: Dario Lasagni
Beatrice Pediconi, Presenze, Veduta dell’allestimento Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, Roma, 2023. Foto: Dario Lasagni
Beatrice Pediconi, Nude #5 (2021; emulsione Polaroid su carta per acquerello, 172 x 76,5 cm). Foto: Dario Lasagni
Beatrice Pediconi, Nude #5 (2021; emulsione Polaroid su carta per acquerello, 172 x 76,5 cm). Foto: Dario Lasagni
Beatrice Pediconi, Presenze, Veduta dell'allestimento Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, Roma, 2023. Foto: Dario Lasagni
Beatrice Pediconi, Presenze, Veduta dell’allestimento Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, Roma, 2023. Foto: Dario Lasagni
Beatrice Pediconi, Parliamo di Fiori #10 (2022; emulsione Polaroid e acrilico su tela, 35,5 x 28 cm)
Beatrice Pediconi, Parliamo di Fiori #10 (2022; emulsione Polaroid e acrilico su tela, 35,5 x 28 cm)
Beatrice Pediconi, Parliamo di Fiori, Veduta dell'allestimento Z2O Sara Zanin gallery, Arte Fiera, 2023. Foto: Sebastiano Luciano
Beatrice Pediconi, Parliamo di Fiori, Veduta dell’allestimento Z2O Sara Zanin gallery, Arte Fiera, 2023. Foto: Sebastiano Luciano
Beatrice Pediconi, Diario di un Tempo Sospeso, (2020; 43 emulsions lift su carta per acquerello, 22,5 x 19 cm ciascuno), Veduta dell'allestimento Collezione Maramotti, Reggio Emilia, Italy, 2023. Foto: Dario Lasagni
Beatrice Pediconi, Diario di un Tempo Sospeso, (2020; 43 emulsions lift su carta per acquerello, 22,5 x 19 cm ciascuno), Veduta dell’allestimento Collezione Maramotti, Reggio Emilia, Italy, 2023. Foto: Dario Lasagni

Nel tuo percorso hai sperimentato diversi media, fra questi il video: ti interessa sempre l’idea dell’immagine in movimento oppure oggi preferisci immagini ferme?

In effetti il video è un medium che ho utilizzato molto. Ciò che più mi affascina di questo linguaggio è la possibilità di rappresentare un processo attraverso l’idea di movimento. Ho realizzato cinque lavori video e Gaea del 2015 è l’ultimo che ho prodotto ed esposto a New York. Come già raccontavo, la contaminazione di tecniche e mezzi differenti è ciò che guida la mia ricerca, ciò che mi consente di andare oltre e sperimentare ogni volta, confrontandomi con diversi strumenti espressivi. I lavori su carta e su tela, così come le fotografie, sono per loro natura fermi, come dici tu; nel mio caso, essi documentano però un processo in movimento, un divenire e una trasformazione costanti, tanto quanto il video. Tutti i miei lavori sono originati da un processo di trasformazione della materia, e questo aspetto racchiude in sé un’idea di cambiamento intrinseca e sempre presente, che si tratti di immagini ferme o di immagini in movimento. Non escludo però di riprendere il video come mezzo espressivo; ho in cantiere l’idea di lavorare a una grande installazione a più canali al fine di ricreare un ambiente immersivo, così come feci per la mostra 9’/Unlimited alla Collezione Maramotti nel 2013.

Che cosa succede alle opere quando non c’è nessuno che le osserva, l’esistenza di un’opera d’arte può prescindere dalla presenza di un osservatore?

Ti rispondo con una delle citazioni che maggiormente ha influenzato il mio pensiero e che ho riportato in Presenze, il catalogo del progetto espositivo per la sala della Gipsoteca della Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma (Maggio - Giugno 2023): “La questione dell’opera d’arte, della sua vita. Gli ultimi quartetti di Beethoven sono belli anche quando nessuno li suona e la Passione secondo San Matteo, anche non riesumata da Mendelssohn e rimasta negletta per tutti i secoli dei secoli, sarebbe sempre un sublime capolavoro. Così la Venere di Milo sepolta ed ignota e così addirittura le opere ignote forse distrutte di Apelle. Perché le opere d’arte sono ‘spiriti’” (Fausto Melotti). Al centro della Gipsoteca della Galleria Nazionale, nel riallestimento voluto da Cristiana Collu, è stato collocato un grande tavolo con vari bozzetti in gesso e terracotta, un tempo pensati per adornare piazze e palazzi italiani e ora parte delle collezioni permanenti del museo. I busti sono stati posizionati in modo che il loro sguardo sia rivolto verso le pareti circostanti, in varie direzioni. Invitata a realizzare un progetto per questo luogo, ho deciso di creare un dialogo tra i miei lavori e queste “presenze” silenti. Ho mostrato un insieme di grandi opere su carta da acquerello in cui i segni tracciati mediante l’impiego di emulsione fotografica, sottratta a dei miei lavori precedenti, imprimono sulla superficie tracce filiformi e fluttuanti che testimoniano di un’esperienza personale e di una memoria collettiva caratterizzate da stati d’isolamento, divisione e perdita. Ho più volte fantasticato che, con il calare del sole, quando il museo si accingeva a chiudere le sue porte al pubblico, quegli stessi bozzetti potessero iniziare a muoversi e danzare, conversando tra loro e con i miei lavori, entrambi con storie e memorie da raccontare. Con questo capirai ancora di più quanto io mi riconosca della citazione di Fausto Melotti con cui ho iniziato a risponderti: le opere d’arte sono spiriti, e non hanno necessariamente bisogno dell’osservatore per vivere e attivarsi.

Secondo te l’artista dove si pone nei confronti della sua opera?

Ho sempre pensato che le opere fossero i figli degli artisti. Non è così!?


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