Giuliano Dal Molin nasce a Schio (Vicenza) nel 1960, vive e lavora a San Vito di Leguzzano (VI). Il percorso di formazione e sperimentazione di Dal Molin lo porta ad avvicinarsi all’arte moderna e contemporanea per individuare nel 1987 un proprio indirizzo di lavoro. Le sue opere vengono selezionate per la partecipazione alle collettive presso la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia nel 1984, 1989 e 1991; nel 1992 ha una sala personale presso la stessa Fondazione e nel 1993 è presente a DETERRITORIALE alla XLV Biennale di Venezia. La ricerca recente di Dal Molin è concentrata sullo spazio: l’artista cerca una sinergia con il sito che ospita le sue opere, pensando i suoi lavori sia in legame con lo spazio che le circonda, sia tra di loro. Inoltre, la produzione recente di Dal Molin è sostenuta da una meticolosa ricerca sul colore, che trae le sue origini della storia della pittura. La ricerca sul colore si manifesta anche nelle sue opere tridimensionali, nei progetti e nei disegni, che sono il risultato di un processo di sintesi volto a togliere l’eccesso e il superfluo per dare voce al colore e alle forme. Giuliano Dal Molin racconta la sua arte in questa conversazione con Gabriele Landi, in in occasione della mostra presso gli spazi milanesi della Galleria Lia Rumma, visitabile fino al 16 marzo.
GL. Giuliano, partiamo dal principio. In che anni prende il via la tua attività artistica e che lavori facevi all’inizio?
GDM. Inizio giovanissimo da autodidatta verso la metà degli anni Settanta e fino a quasi tutti gli anni Ottanta sperimento vari linguaggi: dal figurativo risolto in vari modi (sono gli anni della Transavanguardia), astrazione, informale, poi un lavoro sui materiali e la materia per arrivare verso il 1988-1989 a chiarirmi le idee e iniziare il mio percorso artistico. Sono lavori su legno con inserti metallici, piccoli rilievi che formano degli orizzonti molto astratti e dalla forte fisicità. Questi primi lavori racchiudono già alcuni elementi che poi ho sviluppato nel tempo: sono forme concrete tridimensionali (quasi mai vere e proprie sculture), minimi spostamenti in rilievo della superficie in cui compare la pittura; ho capito successivamente che questi lavori avevano una forte relazione con la luce, l’ombra e lo spazio.
Poi come evolve?
Da questo momento ho iniziato a rendere il lavoro sempre più essenziale. Nel giro di un paio di anni sono arrivato a definire una serie di forme concave/convesse sulla cui superficie appariva una griglia ortogonale riducendo la pittura a una traccia velata. Verso la metà degli anni Novanta ricompare il colore. Inizialmente sono opere monocrome con colori saturi: primari, complementari, composti ma anche il bianco e nero. Forma e colore sono diventati il filo conduttore del mio lavoro (c’è il desiderio di rompere gli schemi, di uscire dal limite rappresentato dal quadro/finestra che racchiude il racconto per liberare la forma/colore nello spazio) manifestandosi in installazioni con uno o più elementi tridimensionali pensati per il luogo. Sono opere in cui diventano importanti la forza della forma, i rapporti di colore, l’incidenza della luce e l’ombra che ne viene determinata e, chiaramente, il rapporto con l’ambiente.
Guardando a questi lavori si assiste ad una sensualizzazione della forma?
Sì, le forme sono sempre più essenziali ma la loro superficie mantiene una sensibilità e e luminosità quasi tattile.
Pittoricamente come li hai realizzati?
Da questo momento il colore è realizzato associando pigmenti, o colori acrilici, un legante e polveri/sabbie di varia natura (inizialmente usavo della polvere di gomma per poi passare a microsfere di vetro e negli ultimi anni uso, quasi sempre, sabbie di quarzo o marmo). È mia intenzione ridurre al minimo il gesto pittorico. La superficie rimane vibrante ma non ci sono concessioni alla gestualità; questo rafforza l’essenzialità dell’opera. Forma e colore diventano un tutt’uno, come a dire: questo lavoro è fatto di colore, la forma è colore.
In questo senso mi viene in mente il lavoro di Yves Klein per esempio…
Sì, molti sono stati gli influssi. Ovviamente poi nel tempo gli interessi cambiano, così si incontrano cose diverse, ad esempio ricordo che negli anni Novanta ho guardato molto a Kapoor. Ricordi quando faceva quei buchi con il blu che poi guarda caso era lo stesso usato da Klein!
Esiste nel tuo lavoro una tensione di tipo spirituale?
Sì, l’intenzione è proprio questa. Chiaramente si tratta di una spiritualità laica, il mio è un tentativo di andare oltre l’immagine. È la volontà di creare con il mio lavoro uno spazio nuovo, un luogo in cui ritrovarsi.
Esiste ovviamente una tensione anche al dialogo? In questo senso anche il dialogo con lo spazio in cui vai di volta in volta ad inserire il tuo lavoro è un veicolo di scambio, di incontro?
Sì, questa è una dimensione essenziale del fare arte. Oltre ad essere un bisogno personale, l’arte ha bisogno di uscire, di incontrare lo sguardo delle persone; se non esiste questo incontro, che è il mio modo di comunicare, è difficile pensare che il lavoro abbia senso. Diventa perciò importate dove e come si espone l’opera e come si crea l’ambiente in relazione alla persona.
Che rapporto hai con la geometria, vedo che le forme che impieghi sono apparentate con lei?
Per mia natura ho una certa avversione per le regole, per il calcolo, per tutto quello che è prestabilito. In realtà, con il tempo, ho capito che questi elementi sono la colonna portante del mio lavoro. Ho capito anche che la geometria ha un suo ruolo visto che le forme che costruisco hanno a che fare con il mondo dei numeri, con la misura… Un aspetto importante è la costruzione dei lavori che realizzo in prima persona (disegno/progetto/costruzione tridimensionale). In tutti i casi sono l’emozione e la sensibilità che mi guidano e mi portano all’opera.
Che importanza hanno la luce e la ritmicità in quello che fai?
La luce sul lavoro tridimensionale è sempre determinante perché lo rafforza e gli da vita (se la luce è naturale c’è un continuo mutare della visione dell’opera). Nei lavori composti da più elementi la ritmicità è determinata sia dalla struttura che dall’accostamento cromatico. Sono i lavori che mi permettono di sperimentare il bisogno di sintesi, di essenzialità e allo stesso tempo di liberare il colore in composizioni più complesse.
Parlando di colore mi sembra che nel tuo caso esista un’attenzione particolare da parte tua verso la tradizione, la pittura del passato nello specifico quella tonale, quella della tua terra, il Veneto.
Sì, un tempo guardavo più agli artisti contemporanei, oggi più all’arte del passato. Quando vedo le opere del Bellini, di Tiziano, del Lotto sento che sono una fonte inesauribile di ispirazione (pensando solo a come utilizzavano il colore siamo di fronte a qualcosa di straordinario). Tutto questo mi è di grande aiuto e conforto.
Questo aspetto mi sembra palpabile in quello che fai, non te lo dico per piaggeria ma perché lo si risente concretamente in quello che vedo…
Grazie! È una cosa che mi piace, questo legame con la nostra storia il nostro passato con l’arte che ci ha preceduto che in qualche modo aiuta e dà supporto e vitalità al lavoro, o almeno mi piace pensare che sia così…
Ho visto che qualche anno fa hai fatto una mostra in un convento vicino a dove sei nato, Schio, e il dialogo con lo spazio e il luogo mi sembra molto forte!
Questo intervento nasce da un mio legame affettivo con questo luogo. È stata un’esperienza molto interessante anche dal punto di vista umano. Ho avuto la possibilità accedere anche a spazi non abitualmente aperti al pubblico e la completa libertà di realizzare delle opere che fossero in dialogo con questo spazio sacro.
In qualche modo tramite questo intervento hai rivitalizzato il luogo, mi sembra che si stabilisca una forma molto intima di dialogo fra il tuo intervento ed i manufatti, le opere ed i segni presenti all’interno del monastero…
Direi proprio di sì, con le opere in dialogo con lo spazio e con il senso di spiritualità che emana questo luogo.
L'autore di questo articolo: Gabriele Landi
Gabriele Landi (Schaerbeek, Belgio, 1971), è un artista che lavora da tempo su una raffinata ricerca che indaga le forme dell'astrazione geometrica, sempre però con richiami alla realtà che lo circonda. Si occupa inoltre di didattica dell'arte moderna e contemporanea. Ha creato un format, Parola d'Artista, attraverso il quale approfondisce, con interviste e focus, il lavoro di suoi colleghi artisti e di critici. Diplomato all'Accademia di Belle Arti di Milano, vive e lavora in provincia di La Spezia.