Michele Chiossi: “finalmente anche l'arte è ripartita. Ma dobbiamo lavorare più e meglio”


Intervista a Michele Chiossi, uno dei maggiori scultori contemporanei del marmo, che ci illustra i suoi nuovi progetti e ci propone il suo punto di vista sulla scena italiana contemporanea.

Con la Art Week di Milano possiamo dire ufficialmente che il mondo dell’arte contemporanea è ripartito a pieno ritmo, dal vivo. Tra gli artisti che si sono presentati in pole position figura Michele Chiossi (Lucca, 1970), uno dei nomi più noti e interessanti della scultura in marmo contemporanea in Italia. Chiossi ha presentato i suoi ultimi lavori alla mostra Orbital in corso alla boutique di Vivienne Westwood a Milano. Abbiamo raggiunto l’artista per farci raccontare i suoi ultimi lavori e il suo punto di vista sulla ripartenza della scena italiana. L’intervista è a cura di Federico Giannini.

Michele Chiossi
Michele Chiossi

Sta per concludersi la Sua mostra alla boutique di Vivienne Westwood a Milano, il Suo ultimo progetto. Può parlarci di questa esposizione? Com’è andata?

Orbital è il secondo progetto che realizzo da Vivienne Westwood (la prima mostra, intitolata Artyvisme, si è tenuta nel 2018): sono l’unico artista ad aver esposto da loro in Italia e per questo secondo progetto sono stato invitato nell’ambito di un evento del Fuori Salone di quest’anno. La mostra fortunatamente ha avuto successo: il titolo si riferisce a un’installazione composta da una scultura in marmo e acciaio a zigzag, che è il mio tratto distintivo, sospesa come un mobile di Calder, e nella quale ho riletto il logo di Vivienne Westwood, con un testo critico di Marco Tagliafierro. Io ho spesso lavorato sull’appropriazione di immagini, di loghi di aziende, di emoji che rielaboro in un processo di postproduzione, e l’ho fatto in questo caso con il logo di Vivienne Westwood, inserendolo in un fondale e creando questa installazione spaziale composta da pannelli coperti con un wallpaper realizzato per Creative Space, azienda made in Italy che realizza carte da parti e decorazioni murali. È un marmo di Carrara molto venato, nel quale ho voluto vedere una sorta di spazio, di galassia, dove ho inserito, dipingendoli sempre a zigzag, emoji delle stelle, del sole, della luna, di Saturno, e per l’evento di Vivienne ho inserito anche il suo logo, l’Orb, nel quale ho cercato di vedere una forma saturnina, spaziale, da ri-rappresentare collocandola in questo ambito cosmico, e creando una nuova cosmogonia con la scultura che le ruota intorno. Poi, in questa boutique molto grande, disposta su due piani in corso Venezia a Milano, ho esposto altri pezzi, tutti di produzione tra il 2020 e il 2021, che pur non essendo stati creati per l’evento fanno parte di una selezione di opere che hanno una contingenza linguistica con il mondo di Vivienne Westwood (della quale peraltro sono anche brand ambassador). È nata dunque una mostra più estesa, che non si ferma solo alla vetrina: è un universo che orbita attorno al mondo di Vivienne Westwood. Ho così presentato altre opere: sculture in bronzo, sculture in alluminio, quadri, una scultura del 2000 (la più “storica” tra quelle in esposizione: è un mio omaggio alla Venere di Botticelli per un progetto che feci a Firenze, intitolato proprio La nascita di Venere), una serie di quadri dalla personale Inter Caelum et Terram che si è tenuta alla Galerie21 di Livorno lo scorso anno, e poi sculture nuove come Save the Fate Tattoo: “save the fate” è un motto che ho coniato l’anno scorso tra il primo e il secondo lockdown, parafrasando il tipico “save the date” degli eventi in un momento in cui gli eventi erano vietati e di conseguenza non c’erano più “date” da salvare, né private né soprattutto pubbliche, e quindi l’ho trasformato in “fate” (“destino”, “fato”). Credo fortemente in questa infusione o canalizzazione di energia: è un qualcosa di salvifico, di positivo, che ho poi trasformato in scultura a specchio. Un’idea che peraltro è legata a un tatuaggio che mi sono fatto a seguito di un progetto che ho portato avanti l’anno scorso, proprio quando è nato il motto, rileggendo la old school dei tatuaggi: il motto è poi divenuto una scultura in marmo nero illuminata coi led, visibile in boutique.

Non è la prima volta che la Sua arte incontra la moda: è un mondo a cui è molto legato...

È vero, è un mondo che mi piace molto: a livello personale apprezzo la possibilità che la moda ti dà di poter esprimere te stesso proiettato nella nella società attraverso l’abbigliamento, attraverso gli accessori. Inoltre anche in passato ho lavorato con alcune aziende, per esempio con Les Copains e con la stessa Vivienne Westwood per la mostra Artyvisme. Considero il mio lavoro, o molte delle mie opere, come degli still life o come delle nature morte: ho fatto studi classici e accademici e mi ha sempre colpito questo soggetto, fin dalla prima rappresentazione del tema della natura morta, anche nella scultura, nei rilievi greci, a Pompei, a Ercolano, fino ad arrivare al Seicento, alla scuola fiamminga e italiana. Ho sempre ammirato la seduzione visiva di un genere che può apparire sempice a un primo sguardo ma che cela, per poi rivelarli, messaggi d’altro tipo, un po’ come avviene nella Canestra del Caravaggio con la mela bacata. Trovo che la transitorietà della moda in qualche modo si avvicini all’idea di natura morta: poi basta pensare alle rappresentazioni dei papi, dei re, dei sovrani nel corso dei secoli e di come il costume abbia connotato, per esempio, anche le posizioni sociali nel corso della storia. Amo molto questo aspetto della moda, mi piace come sia codificante.

Dicevamo che molti dei pezzi esposti a Orbital sono nati tra il 2020 e il 2021. Come ha passato il periodo di blocco forzato a cui siamo stati costretti dalla pandemia?

È una domanda interessante perché tutti abbiamo vissuto, e credo che stiamo ancora in parte vivendo, un periodo molto particolare. Io caratterialmente sono una persona sempre positiva, e nonostante le difficoltà che erano veramente contingenti, ho cercato di trarre quel periodo a mio vantaggio. Da una parte sono stato fortunato perché casualmente, prima del lockdown di marzo 2020, ho lasciato Milano dopo vent’anni per un periodo non ben specificato e sono tornato a vivere in Versilia, quindi ho avuto la fortuna di avere anche un giardino dove potevo dedicarmi alla cura delle piante, dei fiori, un’attività che mi piace molto e che mi ha dato la possibilità di avere uno spazio privato all’aperto. Durante il primo lockdown c’è stata la più bella primavera della nostra vita, con un caldo che a marzo e ad aprile non s’era mai visto, e non abbiamo potuto goderne perché eravamo tutti rinchiusi in casa: io per fortuna ho avuto modo di stare un poco all’aperto. Ho poi avuto un’altra fortuna, perché all’inizio del 2019 ho ripreso a dipingere, con una nuova tecnica di pittura su poliestere che poi applico su marmo. E il caso ha voluto che mi fossi comprato il poliestere sufficiente per lavorare a casa: gran parte del mio lavoro scultoreo, al 95%, lo realizzo nei laboratori, e in quel periodo ovviamente non era possibile andare in laboratorio. Sono stato quindi fortunato perché nel primo lockdown ho dipinto molto e ho pensato a possibili opere da realizzare una volta che saremmo stati di nuovo nella possibilità di uscire di casa. Durante il secondo lockdown, cioè durante l’inverno scorso, ho dipinto carte da parati in fiore per Creative Space, e quindi è stato un momento di grande riflessione e, per quanto mi riguarda, anche di produttività.

Michele Chiossi, Orbital (2021; marmo statuario, acciaio, corde nautiche, 100x100x62 cm). Su gentile concessione dell'artista e Vivienne Westwood Milano
Michele Chiossi, Orbital (2021; marmo statuario, acciaio, corde nautiche, 100x100x62 cm). Su gentile concessione dell’artista e Vivienne Westwood Milano
Michele Chiossi, Mnemosine (2021; marmo statuario, acciaio, car varnish, 64 x 38 cm). Su gentile concessione dell'artista
Michele Chiossi, Mnemosine (2021; marmo statuario, acciaio, car varnish, 64 x 38 cm). Su gentile concessione dell’artista
Michele Chiossi, Save the Fate tattoo (2021; marmo Marquina, acciaio, led, 120 x 32 x 12 cm). Su gentile concessione dell'artista
Michele Chiossi, Save the Fate tattoo (2021; marmo Marquina, acciaio, led, 120 x 32 x 12 cm). Su gentile concessione dell’artista
Michele Chiossi, Cimopolea (2021; bronzo, palladio, candela, 37x18 cm). Su gentile concessione dell'artista
Michele Chiossi, Cimopolea (2021; bronzo, palladio, candela, 37x18 cm). Su gentile concessione dell’artista
Michele Chiossi, Natura Naturante (2020; marmo, poliestere, smalti, acciaio verniciato, 64 x 31 x 4 cm). Su gentile concessione dell'artista e Galerie21
Michele Chiossi, Natura Naturante (2020; marmo, poliestere, smalti, acciaio verniciato, 64 x 31 x 4 cm). Su gentile concessione dell’artista e Galerie21
Michele Chiossi, Save the Fate Mediterranea (2021; specchio, alluminio, bronzo, candele, incensi, 74 x 60 cm). Su gentile concessione dell'artista
Michele Chiossi, Save the Fate Mediterranea (2021; specchio, alluminio, bronzo, candele, incensi, 74 x 60 cm). Su gentile concessione dell’artista

Riflessione ma anche ritorno alle origini, visto che Lei è comunque originario della Versilia e qui ha passato la prima parte della Sua vita.

Sì, anche se io non sono proprio versiliese ma toscano: mia mamma era di Lucca e il papà emiliano, ma ho fatto tutti gli studi in Toscana e parte della mia vita l’ho passata proprio in Versilia. Poi da adulto ho scoperto Carrara e Pietrasanta e i loro laboratori: questo è il mio luogo d’elezione e anche del cuore, dove posso realizzare tutti i miei progetti e i miei sogni, è un posto a cui sono molto legato, mi piace dal punto di vista naturale, mi piace la vista della roccia, della pietra, delle Alpi Apuane, amo la sua natura così bella e selvaggia, il suo mare, la socialità della Versilia e di Forte dei Marmi. C’è insomma un bell’equilibrio, e sebbene anche Milano sia nel mio cuore cerco spesso di tornare in Versilia.

Com’è andato invece, per l’appunto, il ritorno a Milano e con i grandi eventi? Orbital faceva parte della Art Week, e benché quest’anno abbiamo avuto una Art Week un po’ in sordina rispetto agli anni scorsi, per ovvi motivi, è stata comunque la prima occasione che il mondo dell’arte contemporanea ha avuto per riunirsi...

È stata una grande gioia tornare nella settimana di Miart e della Art Week per incontrare di nuovo gli amici, i collezionisti, i galleristi, gli artisti dopo due anni di social: con qualcuno c’eravamo visti ovviamente anche dal vivo, però non con tutti, quindi è stato molto emozionante. Devo dire di aver trovato un mondo un po’ come fuori allenamento, ho riscontrato che c’è un po’ di affanno, di fiatone, manca quel solito sprint che c’era in precedenza, ma credo sia normale e lo sia stato per tutti. Andare alle fiere è sempre un momento importante, ma prima lo davamo quasi per scontato, c’era un calendario molto fitto. Rivedere Milano viva con Miart, con la Art Week e con la Fashion Week è stato molto bello. Io stesso ho avuto ottimi riscontri sul lavoro. Certo: trovo che tutti, me compreso, siano un po’ guardinghi per l’incognita sull’inverno che verrà, ma certamente posso dire che sia nel mondo dell’arte sia in quello della moda, che ho testato passando quasi tutti i giorni in boutique, c’è molta voglia di fare, di ripartire, di socialità. Credo che sia proprio nello spirito dell’uomo vivere in comunità e non da asceti o da chi si ritira, quindi l’ho trovato molto positivo.

Come vede la scena dell’arte contemporanea italiana dopo questo anno e mezzo di fermo? Siamo pronti per ripartire?

Penso che occorra rimboccarsi le maniche e lavorare tanto (come sempre d’altronde): la scena italiana ha tanto da dare, è giunta a un livello di produzione artistica che secondo me è più competitivo sul mercato globale rispetto anche a solo pochi anni fa. È chiaro che poi la scena italiana è, diciamo così, un po’ più “paesana” e più in affanno rispetto alla scena americana o anche a quella tedesca, ma di contro abbiamo delle specificità uniche che ritengo sia giusto mantenere e salvaguardare. Spero che, almeno sul piano della cultura, la globalizzazione si fermi un poco, nel senso che è bello che le unicità di espressione dei singoli artisti appartenenti a determinate nazioni continuino a rimanere tali. Poi, naturalmente, la contaminazione, com’è giusto che sia, fa parte dell’evoluzione dell’uomo, ma credo che l’Italia da questo punto di vista, e parlo da artista, sia veramente ricca di talenti. E com’è per gli artisti, anche il sistema delle gallerie e dei musei credo debba fare lavorare duramente e fare ancora un po’ di più: Dobbiamo migliorare tutti: dagli artisti alle realtà private come le gallerie e a quelle pubbliche come i musei, dobbiamo imparare dagli americani e dagli inglesi, cercare di migliorarci sempre di più proprio per dar vita a un sistema arte che sia anche professionalmente sempre più valido.

Per chiudere questa nostra conversazione: quali sono i progetti che ci proporrà di qui a breve?

Grazie per la domanda: ho varie proposte da valutare, ma ancora non posso fare dei nomi specifici, però posso dire che a breve ci saranno eventi che mi riguarderanno. Inoltre, sempre prossimamente verrà pubblicato un libro che farà un po’ il punto di tutta la mia produzione degli ultimi anni. Non voglio chiamarla “monografia”, però sarà un bel libro dove andrò a toccare tutti i miei vari punti espressivi e produttivi.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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