Tacete, o maschi: un libro recupera i versi delle poetesse marchigiane del Trecento


La casa editrice Argolibri pubblica “Tacete o maschi”, libro che recupera le liriche delle poetesse marchigiane del '300, il primo gruppo unitario al femminile della letteratura italiana. Con le immagini di Simone Pellegrini.

Un libro che coniuga letteratura e arte: la casa editrice Argolibri pubblica Tacete o maschi. Le poetesse marchigiane del Trecento (64 pagine, € 18,00, ISBN 9788831225045), a cura di Andrea Franzoni e Fabio Orecchini, con le immagini di Simone Pellegrini. Il volume compone un’antologia di quattro poetesse attive nelle Marche nel XIV secolo, ovvero Leonora della Genga, Ortensia di Guglielmo, Livia da Chiavello ed Elisabetta Trebbiani, le cui liriche sono accompagnate dai versi di tre poetesse contemporanee (Mariangela Gualtieri, Antonella Anedda e Franca Mancinelli) e, appunto, dalle opere su carta di Pellegrini.

Per molti si tratterà di una vera scoperta: le figure delle quattro poetesse sono infatti poco note ma, scrivono Mercedes Arriaga Flórez e Daniele Cerrato nel saggio introduttivo, rappresentano la “prima generazione di scrittrici della letteratura italiana”, le prime dunque a costituire un gruppo unitario (non sono però le prime in assoluto, dal momento che conosciamo alcune esponenti donne della scuola siciliana, vissute prima delle poetesse delle Marche). Donne ben inserite negli ambienti culturali del loro tempo (a Ortensia di Guglielmo si attribuisce anche un sonetto rivolto a Francesco Petrarca: è noto anche un sonetto del grande poeta aretino che da alcuni studiosi è ritenuto la risposta alla sua collega), donne che con i loro versi sanciscono, scrivono ancora Arriaga Flórez e Cerrato, “l’affermazione di un io femminile in materia amorosa (che si rifiuta di essere semplice oggetto di desiderio maschile per proporsi come soggetto con capacità di decisione) e la protesta contro le imposizioni familiari in materia di matrimonio”, donne che sono ben consce del potere della loro arte e si considerano pari agli uomini in un’attività, quella della poesia, che in antico era ritenuta appannaggio del sesso maschile.

La copertina di Tacete o maschi. Le poetesse marchigiane del Trecento
La copertina di Tacete o maschi. Le poetesse marchigiane del Trecento

Un sonetto di Leonora della Genga è particolarmente rivelatore delle ambizioni delle poetesse donne a esser trattate al pari degli uomini (si tratta del componimento che dà il titolo al libro): “Tacete, o maschi, a dir, che la Natura / a far il maschio solamente intenda, / e per formare la femmina non prenda, / se non contra sua voglia alcuna cura. [...] / Sanno le donne maneggiar le spade, / Sanno regger gl’Imperi, e sanno ancora / Trovar il cammin dritto in Elicona. / In ogni cosa il valor vostro cade, / Uomini, appresso loro. Uomo non fora / mai per torne di man pregio, o corona”. Il pregiudizio nei confronti delle donne dedite alla poesia sarebbe stato però destinato a durare fino al Novecento, e ancor oggi permangono squilibri negli spazi destinati alle donne nella letteratura, anche perché nei secoli la critica non ha giovato alla poesia al femminile, che proseguì ben oltre l’esperienza delle poetesse marchigiane del Trecento (si pensi a grandi figure del Rinascimento come Gaspara Stampa, Laura Battiferri e Vittoria Colonna, ad esempio): nell’Ottocento, ad esempio, i versi delle poetesse marchigiane erano noti, ma si pensava fossero contraffazioni (ne era convinto, ad esempio, Giosuè Carducci, secondo il quale si trattava di liriche inventate di sana pianta da Andrea Gilio ed Egidio Menagio). Oggi sappiamo invece che Leonora della Genga, Ortensia di Guglielmo e le loro colleghe sono realmente esistite: sono stati rinvenuti documenti, esistono menzioni nelle cronache contemporanee, che hanno consentito alla ricerca contemporanea di affermare con convinzione la reale esistenza delle poetesse marchigiane.

Il libro pubblicato da Argolibri porta dunque il pubblico a conoscenza di questo panorama poco noto: le poetesse marchigiane del Trecento, scrivono ancora Arriaga Flórez e Cerrato, “vengono così a costituire il tassello mancante per completare il quadro letterario di questo secolo, rivelando la dissidenza femminile non già come fenomeno marginale (se non altro in alcune classi sociali come la borghesia e la nobiltà) ma come una realtà già allora dotata di una propria espressione letteraria, in versi e in prosa, sia in ambito religioso che in quello laico”. Sappiamo poi che le poetesse erano anche in dialogo tra loro: un raffinato plazer di Leonora della Genga si rivolge a Ortensia di Guglielmo dedicando un’elevata lode alla sua poesia (“Lasci Tessaglia Apollo, Anfriso, e Delo; / e qui porti la lira, e qui gli armenti / pasca, e qui pianti i sempre verde allori. / Questi i trionfi sien, questi gli onori / di voi Ortensia, a cui soavi accenti / si fa tranquillo il mondo, e s’apre il cielo”). Diversi i temi, dalla volontà di affermare la parità tra i sessi (si legga il meraviglioso sonetto “Io vorrei pur drizzar queste mie piume”, attribuito a Ortensia, nel quale la poetessa esprime il suo desiderio di dedicarsi alla poesia, ma è costretta ad affrontare il pregiudizio del volgo: “all’ago, al fuso, più che al lauro o al mirto, / come che qui non sia la gloria mia, / vuol ch’abbia sempre questa mente intesa”) all’amore, dalla poesia religiosa a quella che osserva con amarezza le vicende contemporanee (Livia da Chiavello: “Veggio di sangue uman tutte le strade / d’Italia piene, il qual per tutto corre: / e disdegnoso e reo Marte discorre / lance porgendo ognor, saette, e spade”).

Come anticipato, Tacete o maschi. Le poetesse marchigiane del Trecento si completa coi versi di Mariangela Gualtieri, Antonella Anedda e Franca Mancinelli che, secondo l’uso antico, rispondono alle poetesse del Trecento con le loro liriche, e con il percorso per figure di un importante artista marchigiano di oggi, Simone Pellegrini, che con le sue opere su carta, con le sue mappe di simboli, le sue visioni ancestrali che creano ponti tra passato e futuro, proietta i componimenti delle poetesse del XIV secolo in uno spazio senza tempo. I generi affrontati da Leonora della Genga, Ortensia di Guglielmo, Livia da Chiavello ed Elisabetta Trebbiani, scrivono i curatori Franzoni e Orecchini, nelle opere di Pellegrini “trasgrediscono le forme, potremmo dire degenerano, estendendo il dialogo all’ambito della visione. L’apparato figurativo di Pellegrini si situa precisamente in questo confine temporale lasciato aperto dalla parola, allo stesso tempo archetipico e futuribile, in cui tutto si trasforma e traduce continuamente, contagiandosi con l’organico, il vegetale e il biologico, proprio come sempre ha fatto la poesia”.

Simone Pellegrini, Vario diafano (2017; tecnica mista su carta, 95 x 165 cm)
Simone Pellegrini, Vario diafano (2017; tecnica mista su carta, 95 x 165 cm)


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