Collezionismo subacqueo: cosa sapere per acquisire reperti archeologici trovati in mare?


Sono sempre più le persone affascinate al collezionismo di reperti archeologici trovati in mare, come anfore, monete, vasi, suppellettili. Cosa c'è da sapere per acquisire questi oggetti secondo le normative vigenti?

Quando si parla di collezionismo subacqueo si ha spesso a che fare con veri e propri cimeli del patrimonio culturale. Tesori che suscitano un certo fascino negli appassionati, in quanto testimonianze della nostra storia rimaste nascoste anche per secoli nei fondali marini.

Ma per coloro che riuscissero nell’impresa di ritrovare un reperto subacqueo, quali sono le normative di riferimento che ne disciplinano l’accesso? Il commercio di oggetti quali relitti di navi, anfore, monete e suppellettili è libero o, al contrario, l’acquisizione da parte di privati è possibile solo a determinate condizioni? E ancora, in quale misura chi si appassioni al collezionismo archeologico subacqueo deve fare attenzione al luogo del ritrovamento ai fini della lecita provenienza dei beni?

Recupero di un reperto, missione 2021 dell'Eforato delle Antichità Marine della Grecia
Recupero di un reperto, missione 2021 dell’Eforato delle Antichità Marine della Grecia

Dimostrare la provenienza del bene

Per tutti i beni culturali sommersi presenti nelle acque territoriali, ovvero a 12 miglia marine dalla linea di bassa marea lungo la costa, la competenza circa la loro tutela è regolata dalla legge nazionale e pertanto, in Italia, dal Codice dei beni culturali del 2004. Il proprietario dovrà dunque dimostrare la provenienza del bene e la sua legittima acquisizione (e quindi i vari passaggi di proprietà dei beni in epoca antecedente al 1909).

Infatti, salvo prova contraria che dev’esser fornita dal privato che rivendichi la proprietà del bene, quest’ultimo viene ritenuto appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato. Questo vale addirittura anche per quei reperti che dovessero esser rimasti impigliati nelle reti da pesca di un natante battente bandiera italiana fuori dalle acque territoriali, essendo le reti una “estensione” dell’imbarcazione e, dunque, del territorio italiano.

La Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo

Di recente è stata istituita la Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo (DPCM 2 dicembre 2019, n. 169). Dotata di autonomia speciale, con sede a Taranto e centri operativi in Adriatico e Tirreno, la Soprintendenza cura, in coordinamento con le Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio, lo svolgimento delle attività di tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio culturale subacqueo (art. 94 del Codice dei beni culturali), nonché delle funzioni attribuite al Ministero con la ratifica e l’esecuzione della Convenzione UNESCO 2001 sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo, adottata a Parigi nel 2001. Ma non tutti sanno che i beni aventi più di 100 anni, rinvenuti nei fondali marini oltre il limite del nostro mare territoriale, sono tutelati a livello internazionale dalla Convenzione UNESCO del 2001.

La Convenzione UNESCO del 2001

La Convenzione UNESCO 2001 fornisce un insieme di principi base per la protezione del patrimonio sommerso. Si tratta di un dettagliato sistema di cooperazione tra Stati e regole pratiche ampiamente riconosciute per il trattamento e la ricerca del patrimonio culturale subacqueo. Più nello specifico, i principali impegni assunti dagli Stati con la ratifica della Convenzione UNESCO 2001 e delle sue 31 regole concernenti gli interventi sul patrimonio culturale subacqueo allegate al testo, consistono in:

  • Obbligo di preservare il patrimonio culturale subacqueo. Gli Stati firmatari devono preservare il patrimonio culturale subacqueo e assumere conseguentemente azioni in tal senso. Ciò significa che gli Stati che hanno ratificato la Convezione hanno l’impegno di assumere misure commisurate alle proprie capacità e possibilità. La Convenzione peraltro incoraggia la ricerca scientifica e la pubblica fruizione mediante accesso al patrimonio.

  • Tutela in situ come prima opzione. La tutela in situ del patrimonio culturale subacqueo (ossia nel luogo di origine sottomarino) dovrebbe essere considerata quale opzione prioritaria prima di adottare qualsiasi ulteriore e diversa misura. Il rinvenimento di oggetti può, in ogni caso, essere autorizzato per scopi che contribuiscano alla protezione e alla conoscenza del patrimonio culturale subacqueo.

  • No allo sfruttamento commerciale. La Convenzione afferma l’importante principio secondo cui il patrimonio culturale subacqueo non dovrebbe mai essere oggetto di sfruttamento commerciale nel senso di commercio o di speculazione e che lo stesso non sia disperso in modo irreversibile. Questa regola è conforme ai principi morali che si applicano già ai beni appartenenti al patrimonio culturale della terra ferma.

  • Formazione e scambio di informazioni. Gli Stati devono cooperare e scambiarsi informazioni, promuovere la formazione sull’archeologica subacquea e incentivare la sensibilità pubblica verso il valore e l’importanza del patrimonio culturale subacqueo.

Anfore romane
Anfore romane

Come tutelarsi

Gli appassionati di collezionismo archeologico subacqueo devono innanzitutto prestare particolare attenzione al luogo di rinvenimento e alla lecita provenienza dei beni, mediante idonea due diligence legale. In questa direzione risulta fondamentale acquisire tutta la documentazione necessaria a dimostrare la loro autenticità, provenienza, titolo d’acquisto, libera circolazione sul territorio nazionale ed esportabilità all’estero, cosicché ci si possa porre nelle condizioni di vincere la presunzione di appartenenza al patrimonio indisponibile dello Stato nel momento in cui il privato ne dovesse rivendicare la proprietà.

Attestati di autenticità e di provenienza

Non da ultimo assumono particolare importanza gli attestati di autenticità e provenienza che accompagnano il bene ove acquistato sul mercato dell’arte antica. Difatti, per espressa previsione di legge (art. 64 del Codice dei beni culturali), chi esercita l’attività di vendita al pubblico, di esposizione a fini di commercio o di intermediazione finalizzata alla vendita anche di oggetti di interesse storico od archeologico, o comunque abitualmente vende gli oggetti medesimi, ha l’obbligo di consegnare all’acquirente la documentazione che ne attesti l’autenticità o almeno la probabile attribuzione e la provenienza dei beni; ovvero, in mancanza, di rilasciare una dichiarazione recante tutte le informazioni disponibili sull’autenticità o la probabile attribuzione e la provenienza. Tale dichiarazione, ove possibile in relazione alla natura del bene, è apposta su copia fotografica dell’oggetto.


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Silvia Stabile, Manlio Frigo

Gli autori di questo articolo: Silvia Stabile, Manlio Frigo

Silvia Stabile e Manlio Frigo sono Of Counsel dello studio legale BonelliErede e membri del focus team arte e beni culturali.



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