Less is more: la poltrona Barcelona di Ludwig Mies van der Rohe


Chiarezza delle forme, semplicità, essenzialità: le caratteristiche della poltrona Barcelona, un grande classico del design, capolavoro di Ludwig Mies van der Rohe.

“Per favore, non [si] confonda il semplice con il facile, vi è una grande differenza. Io amo la semplicità, a causa della sua chiarezza, non per la sua facilità o per altri motivi […] Per raggiungere una chiarezza dobbiamo semplificare praticamente ogni cosa. È un lavoro duro. Bisogna combattere, e combattere, e combattere”. Con poche parole, Ludwig Mies van der Rohe (Aquisgrana, 1886 – Chicago, 1969) riassume uno dei principî cardine della sua vita da architetto, designer e teorico dell’architettura, vissuta a cavallo tra Ottocento e Novecento.

Ludwig Mies van der Rohe (il cui cognome deriva dalla fusione di quello del padre, Mies e di quello della madre, Rohe, uniti dalla particella olandese van der) viene considerato, a ragione, una pietra miliare della storia dell’architettura e del design, per il suo modo di concepire l’architettura e tutto ciò che si trova al suo interno. Figlio di uno scalpellino e marmista di Aquisgrana, si forma giovanissimo grazie all’attività del padre: impara a conoscere i materiali, soprattutto il marmo, che ritornerà infinitamente nella sua produzione e si avvicina all’arte del costruire. Al tempo stesso è la sua città a formare la sua visione di un’architettura chiara, solida, vera: all’ombra della Cappella Palatina, edificio medievale, imponente e materico, situato in una città in crescita grazie all’industrializzazione di fine Ottocento, Mies realizza che “la forza di quegli edifici [mi] impressionava perché essi non appartenevano a nessuna epoca. Erano lì da più di mille anni e continuavano ad essere impressionanti. In essi nulla poteva cambiare. Tutti i grandi stili erano passati, ma loro erano rimasti. Non avevano perduto nulla e stavano bene come il giorno della loro costruzione. Erano edifici medievali privi di un carattere particolare, però erano realmente costruiti”. Così inizia a prendere forma l’idea che non ci si possa sottomettere alle mode del momento, ma che gli edifici debbano esprimere significati profondi, comunicando “lo spirito del tempo” in cui sono stati costruiti.

Ludwig Mies van der Rohe
Ludwig Mies van der Rohe
Ludwig Mies van der Rohe, Casa Riehl (1907). Foto: Folkerts Architekten
Ludwig Mies van der Rohe, Casa Riehl (1907). Foto: Folkerts Architekten
Peter Behrens, Fabbrica di turbine AEG (1908). Foto: Doris Antony
Peter Behrens, Fabbrica di turbine AEG (1908). Foto: Doris Antony
Ludwig Mies van der Rohe, Il Padiglione di Barcellona (1929). Foto: Ashley Pomeroy
Ludwig Mies van der Rohe, Il Padiglione di Barcellona (1929). Foto: Ashley Pomeroy

La formazione di Mies prosegue ed egli inizia a dar vita ai primi progetti, come Casa Riehl, in cui appare in nuce un elemento, discendente dall’architettura classica, che connoterà sempre la sua architettura: il podio. Un punto di svolta è l’incontro con Peter Behrens (Amburgo, 1868 – Berlino, 1940), architetto e designer con cui Mies lavora dal 1907 al 1912, condividendone il pensiero e affiancandolo in importanti progetti, non senza qualche attrito. Comprendere la portata dell’opera di Behrens e il suo collegamento con il pensiero di Mies è possibile osservando un edificio che riassume una specifica idea di architettura: la fabbrica di turbine dell’AEG a Berlino, progettata da Behrens nel 1908 per la più grande azienda tedesca elettro-meccanica del tempo. Un edificio imponente dai volumi semplici e sobri, in cui gli elementi strutturali sono evidenti e denunciano il loro funzionamento, senza essere mascherati da alcun tipo di decorazione; un edificio pensato per ospitare l’industria e creato con i materiali dell’industria, primo fra tutti il vetro; una sorta di “tempio” di matrice industriale, come dichiara il grande frontone in facciata.

Questa attenzione alla chiarezza delle forme, alla semplificazione – ma non banalizzazione – degli elementi, all’utilizzo dei materiali in un’ottica funzionale, influenzeranno tanti protagonisti del Movimento Moderno, tra cui, appunto, Mies, che sviluppa un pensiero originale, supportato da una solida base teorica, convincendosi che la forma sia il risultato di un processo e non l’unico scopo, poiché “la forma come scopo porta sempre al formalismo”.

Il lavoro di riduzione all’essenza approda anche nel design di Mies: un esempio tra tutti, la poltrona Barcelona, diventata ormai iconica. La cornice per cui viene progettata è quella del Padiglione di Barcellona, voluto dalla Repubblica di Weimar per rappresentare la “nuova Germania” all’Esposizione universale di Barcellona nel 1929. L’incarico viene affidato a Mies, che nel frattempo ha continuato a perfezionarsi, lavorando a progetti come il monumento a Otto von Bismark, uno dei suoi primi fotomontaggi (tecnica che padroneggerà con grande maestria) o il grattacielo per la Friedrichstraße – primo di una serie di progetti mai realizzati – che con la sua pianta cristalliforme, può richiamare il sogno espressionista dell’architettura del vetro. A queste date Mies è diventato un professionista affermato, e la sua teoria dell’architettura ha preso forma.

Il Padiglione è espressione di quegli elementi che caratterizzeranno, da qui in poi, i suoi progetti futuri: il podio, i pilastri cruciformi in acciaio, i telai in acciaio e vetro, i rivestimenti in marmo, e, soprattutto, la compenetrazione tra lo spazio interno e l’esterno, tra uomo e natura. È importantissimo infatti l’elemento naturale, in questo caso l’acqua, che si percepisce attraverso la presenza di due vasche di dimensioni differenti. Il Padiglione è uno spazio caratterizzato dal principio della “pianta libera” (innovazione principale introdotta da Mies e da altri esponenti del Movimento Moderno, come Le Corbusier) in cui il visitatore può muoversi in maniera fluida e in cui i pilastri e i setti in marmo determinano gli ambienti lasciando i loro confini incerti, non dividendo mai nettamente e non chiudendo mai completamente rispetto all’esterno. I pilastri poggiano su un podio in travertino e sostengono l’imponente tetto piano, rivelando che sono essi stessi gli elementi portanti, e non più le pareti. La ricercatezza dei materiali, preziosi ed essenziali al tempo stesso, come le diverse tipologie di marmo che caratterizzano gli ambienti, ed estremamente leggeri e funzionali come l’acciaio e il vetro, diventa cifra distintiva di Mies, che rinuncia a qualsiasi tipo di orpello e lascia parlare la materia, secondo il suo celebre adagio “less is more”.

È proprio nell’ambiente principale del Padiglione, caratterizzato da una grande lastra in onice dorato, che trova il suo spazio la poltrona Barcelona. Un oggetto creato “con i mezzi del proprio tempo” e rappresentativo di quel tempo, proprio come voleva il suo creatore. Essa, infatti, è un prodotto che vede la luce grazie ai mezzi dell’industria e a materiali che si prestano alla lavorazione industriale. Il telaio è infatti composto da elementi tubolari in acciaio, che erano oggetto di ricerca e sperimentazione proprio in quegli anni, come dimostra la sedia Wassily realizzata Marcel Breuer nel 1925.

Ludwig Mies van der Rohe, Poltrona Barcelona. Foto: Knoll
Ludwig Mies van der Rohe, Poltrona Barcelona. Foto: Knoll
Poltrona Barcelona. Foto: Knoll
Poltrona Barcelona. Foto: Knoll
Poltrona Barcelona. Foto: Knoll
Poltrona Barcelona. Foto: Knoll
Poltrona Barcelona. Foto: Knoll
Poltrona Barcelona. Foto: Knoll
Poltrona Barcelona. Foto: Knoll
Poltrona Barcelona. Foto: Knoll

I cuscini della seduta e dello schienale, dal tono neutro, sono poggiati sul telaio in acciaio, lucidato a mano con finitura a specchio, e sostenuti da 17 strisce di pelle agganciate ad esso. Ogni cuscino è formato da 40 riquadri tagliati e saldati a mano, trapuntati con bottoni in pelle: un processo che coniuga la lavorazione industriale con una grande artigianalità. Nel Padiglione se ne trovano due esemplari, accompagnati da coppie di sgabelli in pendant, pensati appositamente per il riposo del re e della regina di Spagna durante la visita all’Esposizione. Nel realizzare questa impresa, tuttavia, Mies non è solo, ma coadiuvato da Lilly Reich (Berlino, 1885 – 1945), architetto, designer di tessuti, attivissima nel campo dell’allestimento fieristico, tra le prime e uniche donne ad aver insegnato nella Bauhaus – di cui Mies diventerà direttore all’inizio degli anni Trenta – e coautrice di molti progetti, tra cui proprio la poltrona Barcelona.

Ma come arriva fino ad oggi un oggetto pensato per essere ospitato in un’architettura effimera come quella di un padiglione nazionale? Tutto avviene grazie ad un incontro, quello tra Ludwig Mies van der Rohe e Florence Knoll (Saginaw, 1917 – Coral Gables, 2019), architetta e designer formatasi con i grandi maestri della Bauhaus emigrati in America, tra cui proprio Mies, che più di tutti le ha trasmesso il suo approccio al design: metodico e rigoroso. L’incontro fra i due avviene infatti durante il lungo periodo che Mies trascorre in America, a causa dell’ascesa di Hitler in Europa, dove diventa docente all’Illinois Institute of Technology di Chicago, in cui Knoll era studentessa. Tra i due nasce un rapporto di amicizia e stima reciproca che, nel 1953, porta Mies a cedere personalmente i diritti di riproduzione della poltrona Barcelona alla Knoll Associates, azienda gestita proprio da Florence Knoll e dal marito Hans. Così la Knoll, seguendo alla lettera gli standard dati da Mies, inizia a produrre in serie, pur conservando una forte componente artigianale, uno degli oggetti più simbolici non solo dell’azienda, ma anche del Movimento Moderno e della storia del design.


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