Nel complesso circuito di fiere e mostre di arte contemporanea che si susseguono imperterrite sul territorio nazionale e internazionale, trovi sempre suggestive opere di arte iper-conceptual che mettono lo spettatore di fronte al suo atavico disagio nel doversi misurare culturalmente con l’artista demiurgo dell’inutile pensiero. Però anche l’inutile pensiero, qualcuno potrebbe dire, è un pensiero. Chi si prende la responsabilità di smentire l’intellighenzia del sistema dell’arte così ben consolidato nel tempo e gridare che il re è scemo? In definitiva, molta arte contemporanea invece di essere uno strumento di arricchimento estetico-culturale e di bellezza, è diventata un termometro per misurare l’ignoranza del pubblico che curiosamente si prodiga nel nobile gesto di approfondire l’argomento “arte contemporanea”. Sarà veramente così? Facendomi carico di tutta la responsabilità di quello che dirò, dopo anni di appassionato studio della storia dell’arte del passato, moderna e contemporanea e avendo viaggiato e frequentato il sistema dell’arte in largo, il lungo e di traverso come artista, voglio dimostrare come questi anni di studio, tempo e soldi siano stati spesi inutilmente.
Nel mare magnum della produzione artistica iper-conceptual un’opera in particolare ha catturato la mia attenzione: il bastone appoggiato al muro. Non è stata facile da individuare. Le prime volte che l’ho vista, le passavo davanti senza mostrarle nessuna attenzione. Soltanto quando vidi una targhetta che l’affiancava, capii che era un’opera d’arte. Il rischio che si corre con questa arte è di non individuala facilmente. Anzi, più è invisibile e più è concettuale. Qualche anno fa mi trovavo a visitare il Guggenheim di New York dove era in corso la mostra di un certo Tino Sehgal. I muri erano vuoti e tante persone affollavano la rampa a spirale dell’edificio di Wright. Sospettavo che qualcosa si nascondesse davanti i miei occhi, ma non capivo cosa. Soltanto dopo che ero uscito dal museo venni a sapere che dei bambini presenti tentavano di parlare con gli spettatori e una coppia si baciava in continuazione. Se un artista con questa trovata (performance situazionista?) ha esposto in uno dei luoghi più sacri dell’arte contemporanea, vuol dire veramente che non ho speranza di riuscire ad apprezzare quel tipo di arte.
Torniamo al nostro bastone. Al di là di qualsiasi avveniristica articolata interpretazione alla quale molti adepti immolano le proprie approvazioni, rimane sempre un bastone appoggiato al muro. Di fronte a tale opera ci si pone come se fosse un enigma da risolvere aggrappandosi alle solite risposte risolutive di duchampiana memoria. Quale enigmatico messaggio può nascondere un bastone appoggiato al muro? Bisogna, però, non essere superficiali, non tutti i bastoni sono uguali: alcuni sono in legno colorati, altri rimangono nel loro aspetto naturale (alla ricerca di un primitivismo caro alle avanguardie storiche) oppure geometricamente lineari perfettamente rifilati; possono essere in bronzo o in vetro (quest’ultimi funzionali per rappresentare la fragilità dell’esistenza dietro un’apparente solidità); quelli colorati possono avere una decorazione astratta di tipo geometrico oppure “espressiva astratta” (se si dà un’interpretazione esistenziale è di ispirazione americana oppure se è selvaggia è d’ispirazione tedesca). Da questo piccolo elenco di varianti si evince che il bastone dà la possibilità all’artista di esprimersi nella sua più ambia libertà espressiva.
Un’altra domanda che ci poniamo: quanto costerà un bastone appoggiato al muro? Non sono mai entrato nelle dinamiche economiche che determinano il valore (forse è più corretto il prezzo!) di un’opera concettuale. Tutte le volte che ci ho provato, ho avuto risposte risibili. Quando a un gallerista (o chi per lui) chiedi il prezzo, difficilmente ti risponde: inizia a farti impietosire raccontandoti la vita drammatica dell’artista che è fuggito dalla città per rifugiarsi in Tibet e da sette anni vive isolato nutrendosi solo di aghi di pino; ti elencano tutte le mostre importati a cui ha partecipato; tutti i premi che ha vinto; al fatto che Asclepio ha comprato una sua opera… dopo mezz’ora che ascolti appassionatamente ti dicono che l’opera è già stata venduta a un prezzo altissimo, però se le scarpe che calzi sono costose, ti chiedono di lasciare il numero di telefono. In effetti dopo qualche mese si fanno sentire per dirti che l’artista ha prodotto un nuovo bastone e che te lo vendono a un prezzo speciale.
È ipotizzabile che un collezionista che si porta a casa l’opera del “bastone appoggiato al muro” per una considerevole cifra economica, rischia che qualcuno possa inciamparci e farlo cadere. Se è di legno, ferro o bronzo se la cava con un buon restauro, ma se è di vetro o ceramica, per quanto il restauro possa fare miracoli, non sarà più integro e a quel punto bisognerà chiamare un esperto di arte concettuale che citerà le sorti del “Grande vetro” di Duchamp e il problema sarà risolto.
La questione che mi sta più a cuore non è la sua fragilità, ma il suo prezzo (il valore lo conosciamo benissimo). Finché un collezionista privato spende il suoi dané (come dicono a Milano) per un bastone che poi arrivato a casa appoggerà al muro, il godimento sarà tutto suo, con il proprio denaro ognuno fa quello che vuole. L’aspetto, invece, che più mi sta a cuore e mi fa prudere le orecchie è quando quel bastone viene comprato da un museo pubblico per una cospicua cifra. Sappiamo benissimo che quelle risorse sono originate dalle nostre tasche e il tanto celebrato bastone verrebbe ad appoggiarsi direttamente sul nostro “muro”.
L'autore di questo articolo: Giuseppe Veneziano
Giuseppe Veneziano (Mazzarino, 1971) è uno dei più noti artisti italiani. Dopo gli studi in architettura, si trasferisce a Milano per dedicarsi alla pittura, affermandosi come figura di spicco della “New Pop italiana”. La sua pittura rielabora le icone pop della nostra società in chiave spesso ironica e dissacrante. Con le sue mostre si è reso spesso protagonista del dibattito artistico e culturale nazionale e internazionale.Per inviare il commento devi
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