Turismo, cultura e virus, no agli errori dell'estate 2020: la soluzione è il reddito minimo?


Negli ultimi mesi si è fatta strada l'ipotesi (lanciata anche da un appello dei 12 assessori alla cultura delle principali città italiane) di un reddito minimo per i lavoratori di cultura e turismo. Potrebbe essere la soluzione per evitare gli errori dell'estate 2020?

La Grecia ha anticipato tutti: nessun passaporto vaccinale. Per entrare nel paese, dal 14 maggio, sarà sufficiente un tampone negativo recente, o aver contratto il virus, o ancora un certificato vaccinale. E il governo si farà carico delle spese per i turisti costretti alla quarantena nel paese. Era solo questione di tempo: da mesi si discute di come fare in modo che le persone possano spostarsi liberamente a determinate condizioni, e se sia il caso di istituire un “passaporto vaccinale”, in breve un certificato che faccia da lasciapassare e permetta di muoversi liberamente. Non sorprende che sia stata la Grecia ad anticipare tutti, una delle nazioni europee meno colpite dal Covid e la cui economia più dipende dal turismo. Il primo dei due fattori non è secondario: essere stati poco toccati dalla pandemia significa anche avere meno coscienza di cosa possa provocare nella sanità e nella società.

Ma tutto lascia supporre che questo balzo in avanti sarà seguito a ruota da diversi paesi europei, come il nostro, dove il ministro Massimo Garavaglia già un mese fa aveva dichiarato di non voler lasciare “un solo centimetro di vantaggio ai nostri competitor. Quello che faranno loro faremo noi”. Il settore del turismo non chiede altro: ripartire. Alcune delle più grandi e rappresentative associazioni di operatori, albergatori, guide e tour operator hanno chiesto di essere vaccinati in fretta per poter avere garantita la stagione. Ma questo non ricorda forse la disperata voglia di ripartenza “il prima possibile” che si registrava un anno fa?

Un anno fa il lasciapassare era l’idea che il virus “perdesse forza”, con le ormai celeberrime prese di posizione di politici e medici a garantire l’opinione pubblica sull’opportunità di ritornare a una socialità e a un movimento delle persone che somigliasse a quello precedente l’emergere dell’epidemia da Sars-Cov-2. Oggi quel lasciapassare sarebbe il vaccino (o, se ci si dovesse adeguare al modello greco, un tampone negativo o un contagio precedente). Ma cosa sappiamo, di questi vaccini? Sappiamo con certezza che riducono in modo drastico la possibilità di contrarre il virus nelle sue forme gravi, ma sappiamo anche che non esistono ancora dati che escludano la possibilità che il vaccinato possa contrarre il virus e diffonderlo. Abbiamo passato mesi con confini regionali chiusi e limitazioni dure, ed è evidente che la campagna vaccinale, il diffondersi naturale degli anticorpi e, con ogni probabilità, il calo dell’aggressività del virus nei mesi estivi renderà possibile, e auspicabile, un allentamento delle restrizioni. Ma davvero anche quest’anno, come lo scorso, vogliamo incentivare la ripartenza del turismo, inteso come turismo pre-2020, caratterizzato da spostamenti di masse di persone in gruppi da un paese all’altro, da un continente all’altro?

Visitatrice alla Galleria Borghese durante l'estate 2020, dopo la riapertura dei musei
Visitatrice alla Galleria Borghese durante l’estate 2020, dopo la riapertura dei musei

Nel 2020 il turismo globale ha subito un crollo del 90%, ma nell’estate italiana il calo è stato “solo” del 50% grazie alla riapertura generalizzata. Sappiamo tutti, ormai, quanto quella falsa sensazione di sparizione del virus abbia costretto il paese e il continente a nuovi e diffusi confinamenti che ancora non finiscono, e quanti danni economici e sociali ciò stia producendo. L’anno scorso si è persa la possibilità di garantire un reddito diffuso a tutti gli operatori del settore e permettere all’intero comparto, o comparti, la cui vita dipende dall’interazione col pubblico e dallo spostamento e il movimento delle persone. Eppure la primavera scorsa la richiesta era pressante. Si sono preferite indennità occasionali, e l’occasionalità spingeva gli operatori ad accettare la prima offerta di lavoro possibile, anche a costo di mettere a rischio la propria salute e, soprattutto, i salari, che grazie a questo ricatto sono scesi ancora. Si è preferito un Bonus Vacanze, pensando che bastasse dare soldi per far tornare tutto come prima: si è rivelato inefficace e la scadenza continua da mesi a essere prorogata.

Non dobbiamo perdere il contatto con la realtà. Il settore turistico, ma anche dello spettacolo e dei grandi eventi ha la necessità, ormai da un decennio e più, di reinventarsi. Sono settori in cui il lavoro è povero e sfruttato, quando non nero, e che non sono si sono mai fatti sistema. Focalizzandoci sul turismo culturale, abbiamo, o meglio avevamo, pochissime mete che da sole raccoglievano più del 50% del turismo straniero in Italia, una gestione basata sull’esternalizzazione e il buon cuore dei singoli amministratori locali che possono decidere vita o morte di una località o di un’istituzione, dove la norma è rivolgersi a pubblici lontani dal territorio perché sono quelli che garantiscono maggiore spesa e quindi maggiori consumi, dimenticandosi degli altri. Un discorso simile si può fare con i grandi eventi, festival, biennali o capitali di vario genere: realtà puntuali, spesso a gestione privata, che portano ricchezza troppo spesso limitata nel tempo e con una enorme differenza nella distribuzione degli introiti tra chi gestisce e chi invece lì lavora garantendo la qualità del servizio.Tutto questo era noto prima, ed era noto che fosse un sistema insostenibile sul lungo periodo. La pandemia ha solo reso questa necessità di riforma ancor più impellente e urgente: migliori e rinnovate condizioni di lavoro, migliore e più organica gestione, nuovi paradigmi a guidare l’operato dell’ente pubblico e delle aziende. 

L’anno scorso è stato un anno di frenata brusca, imprevista, questo può essere un anno di rallentamento organizzato, fornendo a tutte e tutti il necessario per vivere, indipendentemente dalla produzione, e mettendo quindi in condizione l’intero comparto di ragionare, di sperimentare, di ristrutturarsi lavorando con il territorio, andando a superare alcuni dei modus operandi del recente passato: tutte cose che si possono fare anche nei tempi delle vacche grasse, sia chiaro, ma certo se già le cose non vanno, diventa ancor più semplice decidere di cambiarle. Tutti hanno bisogno di lavorare, pochi, pochissimi hanno bisogno di tornare alla realtà di prima. E i cittadini hanno tantissima fame di cultura, e tantissima voglia di viaggiare in modo sostenibile nel rispetto di alcune semplici norme.

Dopo il grossolano errore commesso l’anno scorso, perdere anche quest’anno rincorrendo la chimera della ripartenza a tutti i costi, scommettendo tutto sui vaccini come lasciapassare collettivo, sarebbe un secondo errore imperdonabile: dopo 12 mesi che sono sembrati buttati, non è più tempo di scommesse. Ci sono dei problemi da risolvere, e un anno di rallentamento strutturale può essere un’opportunità che non si ripeterà facilmente. Investire per garantire un reddito diffuso ha un costo, economico e sociale, enormemente inferiore a quello che avrebbe un nuovo acritico “liberi tutti” che rischia di aumentare lo sfruttamento del lavoro e, se per caso ci fossero nuove sorprese impreviste, di farci ritornare nuovamente al punto di partenza. 


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Leonardo Bison

L'autore di questo articolo: Leonardo Bison

Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.



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