La Natività di Zacchia da Vezzano: storia della pala rubata e ritrovata, in parte, a pezzi


La Natività è una delle più importanti opere di Zacchia da Vezzano. Rubata e ritrovata a pezzi, i tre frammenti si trovano nella chiesa di Sant'Agostino a Pietrasanta.

“Le rimanenti parti non sono riapparse ancora, ma la diffusione della fotografia del dipinto si spera che conduca al completo recupero di esso onde poterlo ricomporre nella chiesa per cui venne eseguito”. Questo auspicio chiudeva un articolo apparso nel 1922 sulla rivista Emporium, nel quale si dava conto del ritrovamento di alcuni dipinti trafugati nei mesi precedenti. Uno di questi dipinti era la Natività di Zacchia da Vezzano (vero nome Ezechia, documentato a Lucca dal 1510 al 1561), pittore che, come il nome ci suggerisce, era originario di Vezzano Ligure, borgo a metà strada tra Sarzana e La Spezia. Un artista oggi noto anche come Zacchia il Vecchio, soprannome che gli fu affibbiato da Luigi Lanzi per distinguerlo da un discendente, anch’egli pittore, ovvero Lorenzo Zacchia (detto Zacchia il Giovane). La Natività (in realtà, più propriamente, un’Adorazione dei pastori) era stata rubata nel 1921 dall’altare che la ospitava, all’interno della chiesa di Sant’Agostino a Pietrasanta, oggi sospesa al culto e utilizzata come sede di mostre. Malauguratamente, i ladri ebbero la pessima idea di smembrare una pala che aveva superato indenne quattro secoli di storia, essendo stata dipinta nel 1519: speravano di poterla piazzare meglio sul mercato, perché i frammenti venduti singolarmente sono meno facilmente rintracciabili, perché, al contrario, la pala integra sarebbe stata identificata con facilità trattandosi di un’opera ben nota e anche perché, nei loro intenti, i singoli brani avrebbero portato a guadagni maggiori di quello derivante dalla vendita della pala intera.

Nel 1922 furono rintracciati tre lacerti presso un privato, a Milano. In quello più importante scorgiamo la figura di san Giuseppe, dal capo fino alle spalle, e quella del pastore che si trova dietro di lui. I rimanenti due frammenti ospitano invece due angioletti in volo, che anticamente occupavano il registro superiore della tela. Il quadro oggi è noto solo tramite una fotografia d’epoca, in bianco e nero. Perché, purtroppo, il resto della pala non fu mai più ritrovato, malgrado l’articolo si augurasse un completo recupero.

Per anni, i tre lacerti giacquero ricoverati nei locali della Soprintendenza lombarda, in attesa di essere sottoposti a un restauro e di ripartire per Pietrasanta. Si pensi che nel 1997, quando Federico Zeri redigeva il catalogo ragionato della Pinacoteca di Brera, i brani della pala di Zacchia da Vezzano ritrovati nel 1922 erano ancora conservati presso i depositi del museo milanese. Il grande studioso era comunque convinto che la scena centrale del dipinto, con la Madonna inginocchiata in adorazione del Bambino e i pastori in arrivo più indietro, fosse ancora esistente. Magari nella collezione di qualche privato non meno privo di scrupoli dei ladri. Comunque alla fine i lacerti, rintracciati nei depositi braidensi, furono consegnati alla Soprintendenza di Pisa, sottoposti a quei restauri di cui abbisognavano date anche le “condizioni di conservazione mediocri”, come Zeri stesso segnalava nel 1997, e riconsegnati alla chiesa di Sant’Agostino, dove oggi possono essere ammirati, protetti da una teca di vetro, nella prima cappella destra della chiesa. Ovviamente l’augurio è che, nonostante siano passati ormai quasi cento anni dal furto, si possa prima o poi ritrovare anche il resto della tela di Zacchia.

Zacchia da Vezzano, Frammenti della Natività
Zacchia da Vezzano, Frammenti della Natività (1519; Angelo in volo: olio e tempera su tela, 36 x 44 cm; Angelo in volo con frammento d’iscrizione: olio e tempera su tela, 33,7 x 41 cm; San Giuseppe e pastore: olio e tempera su tela, 74 x 62 cm; Pietrasanta, Sant’Agostino)


La Natività di Zacchia da Vezzano nella foto d'epoca
La Natività di Zacchia da Vezzano nell’unica foto che la ritrae prima del trafugamento (foto Brogi).


Il frammento principale (san Giuseppe e il pastore)
ZIl frammento principale (san Giuseppe e il pastore)

Anche perché si tratta di un dipinto fondamentale del percorso artistico di questo pittore ligure, ma lucchese d’adozione: è infatti la sua prima opera documentata. Una delle descrizioni più dettagliate della Natività veniva fornita, nel 1871, dallo storico dell’arte lucchese Enrico Ridolfi che quell’anno aveva scritto un libretto interamente dedicato a Zacchia e intitolato Della patria e delle opere di Zacchia il Vecchio, pittore (una curiosità: curatore del volume era lo storico montignosino Giovanni Sforza, che lo aveva dedicato ad Alessandro D’Ancona, in occasione delle nozze del noto studioso e letterato con Adele Nissim). Ecco come Ridolfi aveva descritto l’opera: “è questa la bella ancona rappresentante la Natività, dipinta dal Zacchia per la chiesa degli Agostiniani in Pietrasanta, e che porta la sua cifra e la data MDXIX. È collocata nella cappella dell’Annunziata ove nel 1512 una confraternita di donne che v’era istituita, fece erigere lo splendido altare marmoreo che vi si vede, adorno di pregevolissimi bassorilievi scolpiti e indorati. Piena di umiltà, di tenerezza e di grazia raffaellesca è l’attitudine della Vergine che adora il nato bambino, disegnato e mosso con garbo bellissimo. Dignitosa e tranquilla la figura del san Giuseppe, in variate e giuste attitudini di ammirazione gli accorsi pastori; incantevoli per leggiadria di forme e di movimento gli angioletti, che librati sopra le nubi esultano del nato Messia. Anche il paese, e quel gruppo di cavalieri su bizzarri palafreni, che vedesi lontano, ricordano Raffaello. Il colorito n’è alquanto offuscato dal sudicio e da un cattivo restauro, ma pur si dimostra vago ed armonioso. Infine è un prezioso quadretto che ti innamora di sé e ti fa tosto ricorrere alla mente il nome di que’ due gentilissimi pittori di sacre istorie”.

I due “gentilissimi pittori di sacre istorie” ai quali Ridolfi si riferisce sono Raffaello e fra’ Bartolomeo: è infatti nel solco del Rinascimento maturo classicista che si sviluppa la formazione di Zacchia. Il pittore, allievo di un artista locale, Agostino Marti, aveva presumibilmente compiuto dei viaggi a Firenze dove, oltre alle opere dei succitati Raffaello e fra’ Bartolomeo, aveva potuto osservare da vicino i dipinti di altri importanti artisti del tempo, come il Perugino, Michelangelo e Ridolfo del Ghirlandaio. Tutte queste esperienze si sommano nella Natività, che fin da subito si presenta, nel suo insieme, come una composizione di derivazione peruginesca: la scena equamente ripartita tra la capanna a destra e il paesaggio a sinistra, l’albero su un lato che bilancia gli elementi, la Madonna e san Giuseppe distanti e in posizione simmetrica con il Bambino al centro, sono tutti elementi che trovano puntuale riscontro nelle opere del Perugino (la celebre Adorazione dei Magi della Galleria Nazionale dell’Umbria, quella nella predella del Polittico di San Pietro, la Natività del Collegio del Cambio), a cui l’impostazione generale dell’opera di Zacchia sembra rifarsi.

Confronto tra la Natività di Zacchia e le Adorazioni dei Magi del Perugino
Confronto tra la Natività di Zacchia e l’Adorazione dei Magi del Perugino (Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria) e l’Adorazione dei Magi del Perugino nella predella del Polittico di San Pietro (Parigi, Louvre)


Confronto tra la Natività di Zacchia e quella del Perugino
Confronto tra la Natività di Zacchia e quella del Perugino (Perugia, Collegio del Cambio)

Al modello peruginesco, tuttavia, il nostro artista apporta alcuni aggiornamenti derivanti, come anticipato, dall’approfondita lettura dei grandi maestri del Rinascimento maturo. Gli angioletti che svolazzano in alto sembrano derivare da fra’ Bartolomeo (quello a sinistra è quasi identico a quello che possiamo osservare nella pala Carondelet dipinta dal frate fiorentino), mentre la Madonna, così inginocchiata di profilo, somiglia, come notava lo storico dell’arte John Pope-Hennessy in un articolo sul Burlington Magazine dedicato ai due Zacchia, alla Maddalena in ginocchio nella Madonna con Bambino e santi di Ridolfo conservata a Firenze, alla Galleria dell’Accademia, ma anche alla figura femminile che compare nell’Assunta del Duomo di Prato. E sempre a Ridolfo del Ghirlandaio rimanda la bizzarra posa di Gesù Bambino, sdraiato ma in procinto di alzarsi e già con la schiena elevata: è simile al Bambino che compare al centro del Tondo Beit di Ridolfo, oggi a Manchester. Tutte raffaellesche sono invece la grazia, l’eleganza e le attitudini dei protagonisti, come del resto già notava Ridolfi nel suo libro.

Confronto tra l'angelo di Zacchia e quello di fra' Bartolomeo
Confronto tra l’angelo di Zacchia (in alto a sinistra nel frammento e in basso a sinistra intero nella foto d’epoca) e quello di fra’ Bartolomeo nella pala Carondelet (Besançon, Cattedrale)


Confronto tra la Madonna di Zacchia, e le figure di Ridolfo del Ghirlandaio
Confronto tra la Madonna di Zacchia, la Maddalena di Ridolfo del Ghirlandaio nella Madonna con Bambino e santi (Firenze, Galleria dell’Accademia) e la donna nell’Assunta (Prato, Duomo)


Confronto tra il Bambino di Zacchia e quello di Ridolfo
Confronto tra il Bambino di Zacchia e quello di Ridolfo del Ghirlandaio nel Tondo Beit (Manchester, Art Gallery)

Certo: poter vedere la pala, nel suo insieme, avrebbe consentito di apprezzare meglio questi continui rimandi, le citazioni, la grande raffinatezza del pennello di Zacchia. È possibile rimediare parzialmente, osservando i frammenti superstiti, oltre alle due splendide pale di Zacchia conservate poco lontano da Pietrasanta, a Lucca, nel Museo Nazionale di Villa Guinigi, un’Assunzione e un’altra Natività non distante, per modi, composizione, equilibrio e influenze, da quella versiliese. Se è lecito sperare che il resto della tela possa prima o poi tornare a Pietrasanta, per gli amanti d’arte che si recano nella cittadina della Versilia è ben più che consigliata una visita alla chiesa di Sant’Agostino. Si potrà poi discutere sul fatto che molte volte gli allestimenti delle mostre temporanee siano altamente impattanti e mettano in secondo piano le opere della chiesa: ma questo, pur impedendo di apprezzare l’integrità dell’ambiente, niente toglie al pregio delle opere conservate, e ai tre brani della pala di Zacchia.

Bibliografia di riferimento

  • Federico Zeri (a cura di), Pinacoteca di Brera: addenda e apparati generali, Mondadori Electa, 1997
  • Patrizia Giusti Maccari, Ripercorrendo Zacchia il Vecchio in Momus, V-VI, 1996, pp. 39-51
  • Clara Baracchini, Severina Russo, Arte sacra nella Versilia medicea: il culto e gli arredi, Centro Di, 1995
  • Ernesto Borelli, Nel segno di Fra´ Bartolomeo. Pittori del Cinquecento a Lucca, Pacini Fazzi, 1984
  • John Pope-Hennessy, Zacchia il Vecchio and Lorenzo Zacchia in The Burlington Magazine, CDXXII, 1938, pp. 213-223


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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