Parla Eike Schmidt: “ecco perché ho scelto Vienna. Ma adesso ci sono gli Uffizi”


Intervista al direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt, sul suo futuro trasferimento a Vienna e sui prossimi progetti a Firenze.

Nei giorni scorsi, il ministro della cultura austriaco, Thomas Drozda, ha annunciato che l’attuale direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, sarà il prossimo direttore del Kunsthistorisches Museum di Vienna. Eike Schmidt lascerà dunque il museo fiorentino al termine del suo mandato. Lo abbiamo raggiunto per conoscere le ragioni della sua decisione e per fare il punto su quanto è stato fatto agli Uffizi e quanto c’è ancora da fare. Intervista a cura di Federico D. Giannini, direttore responsabile del nostro giornale.

Eike Schmidt
Eike Schmidt. Courtesy Ufficio Stampa Uffizi

FDG. Dottor Schmidt, quali sono gli aspetti che hanno influito di più sul Suo trasferimento a Vienna?
ES. Il primo è la collezione del Kunsthistorisches Museum. È un polo museale tra i più grandi al mondo, paragonabile per importanza e ricchezza al polo degli Uffizi, ai Musei Vaticani, al Louvre... ma è comunque difficile fare confronti, considerando il fatto che il museo di Vienna contiene le collezioni imperiali del Sacro Romano Impero, e poi dell’Impero Austro-Ungarico, dal Medioevo fino al Novecento. Una collezione che è cresciuta nell’arco di un millennio, e che peraltro è forte di un periodo di oltre centocinquant’anni di sintonia con gli Uffizi. Non c’è nessun altro museo al mondo così fortemente legato alla storia del collezionismo degli Uffizi: da questo punto di vista, quindi, lo ritengo come un proseguimento logico del mio lavoro a Firenze. L’altro fattore importante è il ruolo del Kunsthistorisches Museum come centro di ricerca. Purtroppo in molti musei, in tutto il mondo, viene fatta sempre meno ricerca. Il Kunsthistorisches Museum è invece uno dei grandi centri di ricerca, come il Louvre, che si pone sullo stesso rango del museo viennese, o come alcuni musei americani, a cominciare dal Getty e dalla National Gallery of Art di Washington. Quindi direi che gli aspetti principali sono proprio questi due: le collezioni e l’attività di ricerca.

Invece quanto hanno pesato sulla Sua decisione, da una parte, certe vicissitudini burocratiche (penso alla vicenda del Tar del Lazio) e, dall’altra, l’instabilità politica sulla quale peraltro grava l’interrogativo delle elezioni del 2018?
Direi poco. Non è un segreto il fatto che esista questa possibilità di un rinnovo del mandato per una sola volta: così dice il testo della normativa. Direi che occorra sottolineare bene questo aspetto, perché va al di là di qualsiasi elezione. Si tratta di un aspetto strutturale: credo che il principio della rotazione sia un principio sano. Viene praticato da molto tempo in altri campi (penso ai carabinieri, ai vigili del fuoco, alla diplomazia... anzi: nella diplomazia è un principio introdotto fin dal Settecento) e contribuisce a portare aria fresca nelle istituzioni. Per questo sono stato molto sorpreso da certe reazioni, come quelle che mi vorrebbero poco contento dell’Italia. Era chiaro a tutti che il mio è un mandato pro tempore, un mandato a scadenza. Non ci vedo niente di male, e secondo me è un bene che sia così.

A proposito delle reazioni: gli scontenti sono stati davvero tanti. Ecco: questa cappa di “negatività” potrebbe, secondo Lei, creare un clima di sfiducia attorno ai nuovi direttori?
Beh, questo clima di sfiducia esiste fin dal primo giorno, e non è una novità. Anzi io credo che sia anche piuttosto divertente osservare che coloro che ritengono uno scandalo il fatto che Eike Schmidt se ne vada siano le stesse persone che, nel 2015, ritenevano che fosse uno scandalo il fatto che Eike Schmidt arrivasse... ! Quindi questo clima c’è, ma non solo: adesso come allora c’è anche una forte vena polemica. Non vedo comunque questa vena polemica come un aspetto del tutto negativo. Sono molto a favore di una discussione pubblica su tutto, anche se i toni talvolta sono antipatici, perché spesso emergono novità interessanti. Questo è un principio dialettico a mio avviso molto buono e necessario per una democrazia che funzioni.

Teme che la Sua decisione possa avere delle ripercussioni sul Suo lavoro agli Uffizi? Penso, per esempio, al rapporto con i dipendenti, al rapporto con i sindacati e, appunto, anche al rapporto con quanti continuano a essere ostili ai nuovi direttori...
È molto ironico a mio avviso che un sindaco, il cui mandato finirà nel maggio 2019, abbia chiesto con questa motivazione che venisse subito nominato un nuovo direttore per le Gallerie degli Uffizi, sebbene il mio mandato finirà solo a novembre 2019, sei mesi dopo il suo. Bisogna rendersi conto che non ho svolto neppure metà del mio mandato: sono agli Uffizi da venti mesi, e ne ho davanti ventisei. Quindi direi che chi pensava che io avessi intenzione di inchiodarmi alla seggiola, tra quanti erano contro la riforma dei musei, dovrebbe essere piuttosto contento che arrivi qualcun altro... ! Ma forse temono che arrivi qualcuno ancora più forte, più fresco o con più energie, anche se devo dire che io mi impegno già così tanto che è difficile immaginare una cosa del genere. Comunque si tratta pur sempre di speculazioni. Io ho sempre le stesse energie che avevo all’inizio e ho la stessa volontà di portare avanti il programma di rinnovamento della riforma del MiBACT, in accordo con l’ideale della prima riforma museale del mondo, fatta agli Uffizi nel 1769 da Pietro Leopoldo di Toscana. Una riforma che già allora intendeva mettere ricerca, educazione e divulgazione al centro del museo. Così sono stati fondati i musei, questo è il senso dei musei, e ciò vale in tutto il mondo. E questo senso, negli ultimi decenni, è andato un po’ perso: ma la cosa vale per tutto il mondo e la mia critica non intende rivolgersi a istituzioni specifiche.

Il trasferimento avverrà alla fine del Suo mandato: è vero che in Austria c’è la propensione a fare programmazione pensando sul lungo termine, e questo nessuno lo mette in discussione. Ma secondo Lei perché l’annuncio è stato dato con tanto anticipo? Un conto è programmare, un conto è annunciare...
Ho letto il Suo articolo di sabato, l’ho trovato molto ben scritto e anche molto convincente, tuttavia non concordo con l’assunto di fondo, e Le dico subito perché. Il ministro Drozda ha nominato diversi nuovi dirigenti per le istituzioni culturali più importanti dell’Austria. Quest’anno, oltre al direttore del Kunsthistorisches Museum, ha nominato il direttore della Staatsoper e del Burgtheater, e questo è successo alcuni mesi fa, molto prima che in Austria si pensasse alle elezioni. E anche in questi casi i miei futuri colleghi inizieranno il loro mandato nel 2019 e nel 2020, quindi non mi pare che possa configurarsi come un’operazione in vista delle elezioni austriache. È semmai una strategia politica che Drozda persegue fin dall’inizio del suo mandato, perché ha fatto così anche con gli altri dirigenti, annunciando cioè due o tre anni prima dell’inizio del servizio. Poi, un altro argomento che contraddice la presunta connessione delle nomine “anticipate” con le prossime elezioni in Austria, è il fatto che in Austria e in Germania è una prassi molto comune quella di programmare (e annunciare) il vincitore già con un anticipo di due o tre anni. È stato fatto così anche a Berlino... insomma non è una stranezza.

C’è comunque da dire che non si è considerato quello che sarebbe potuto nascere in Italia in seguito a un annuncio simile...
Beh, per me, personalmente, sarebbe stato molto più facile se l’annuncio fosse stato dato più avanti, questo è chiaro. E comunque ora si sa, l’annuncio è stato dato con grande trasparenza, e io credo che a volte occorra essere molto trasparenti anche se questo rende la vita un po’ meno semplice...

Concludiamo con un paio di domande sui futuri progetti agli Uffizi. Secondo Lei, quali sono le priorità da qui al 2020?
Le nostre priorità non cambiano rispetto a quelle già annunciate quando sono stato nominato nell’agosto del 2015. Direi che la principale priorità è il fatto che la visita agli Uffizi è spesso una tortura, anche già prima che cominci: i visitatori, a causa delle code, spesso arrivano all’ingresso della Galleria già esausti. Su questo abbiamo iniziato un progetto di ricerca assieme all’Università dell’Aquila. Il professor Muccini è considerato tra i migliori specialisti internazionali nel campo della gestione dei flussi. All’epoca sondai anche la possibilità di rivolgermi a specialisti americani, ma alla fine la scelta è caduta sull’Aquila proprio perché loro sono andati oltre quello che hanno fatto altri, e oltretutto sono anche qui vicino, dall’Abruzzo a Firenze si arriva molto più facilmente che non dall’America. Per giunta gli Aquilani hanno una profonda conoscenza della situazione italiana. Non si tratta di scrivere qualche nuovo software... si tratta proprio di una nuova ricerca sociologica e socio-economica. È vero che le scienze sociali non sono scienze esatte, e che bisogna sempre sperimentare, ma noi abbiamo messo alla prova alcuni dei componenti del futuro sistema proprio in questi mesi di domeniche gratuite, e abbiamo visto che con alcune variabili si possono effettivamente accorciare le code in maniera sostanziale. Per darLe un esempio, durante l’ultima domenica gratuita, quella di tre giorni fa, nessuno ha aspettato in coda più di un’ora, mentre nelle giornate d’ingresso a pagamento, nei mesi scorsi, talvolta abbiamo anche registrato attese di circa tre ore. L’accorciamento delle code rimane quindi la massima priorità.

Un’ultima domanda: se dovesse trarre un bilancio di questi primi due anni alla direzione degli Uffizi, su cosa vorrebbe porre maggiormente l’accento?
Vorrei porre l’accento sulla programmazione culturale che spesso viene dimenticata, specialmente da quanti guardano al museo con quest’ottica un po’ da “massaia”, attenta alla goccia d’acqua che cade, ma senza guardare bene alla programmazione culturale, alle mostre. Abbiamo fatto delle mostre straordinarie: penso, per esempio, a Splendida minima, un’esposizione tra le più belle che si siano viste, e basata sulla ricerca, aspetto che per me rimane un principio imprescindibile per la valutazione di una mostra. Guardo sempre se ci sono forti elementi di ricerca e di divulgazione scientifica, creati appositamente per l’occasione delle mostre che programmiamo. Poi penso anche al dialogo che la programmazione culturale può instaurare, e qui vorrei fare l’esempio dell’arte contemporanea, ma anche dell’introduzione, nel museo, della danza, del teatro e della musica, che non utilizzano il museo come “cornice” (lo ritengo un concetto molto antiquato, e però, purtroppo, anche molto frequente), ma creano un dialogo e una tensione contenutistica tra l’opera d’arte visiva e l’arte “dal vivo”. E ritengo che far entrare l’arte “dal vivo” all’interno di un museo sia veramente molto importante. Similmente, tra le mostre che stanno per aprire, vorrei sottolineare la mostre sul cardinal Leopoldo, che sarà ricca di novità scientifiche, e poi la mostra su Ejzenštejn, che tra l’altro apre di nuovo verso il cinema, anche un po’ per proseguire l’iniziativa del cinema all’aperto di questa estate in collaborazione col Comune di Firenze. Un’altra mostra, prolungata fino a ottobre, è la mostra Omaggio al Granduca sui piatti di San Giovanni: è una versione amplificata della mostra che c’è al Bargello su Doccia. Abbiamo coperto pressoché tutta la storia di Doccia nell’Ottocento ed è un capitolo molto importante nella storia della porcellana di Doccia, finora mai scritta: vedere queste due mostre come un dittico fa capire tutta l’importanza di questa manifattura, salvata come museo proprio quest’anno, grazie alla collaborazione tra il Comune di Sesto Fiorentino, il MiBACT e i finanziatori privati. Aggiungo ancora altre mostre che mi sembra importante citare: vorrei sottolineare l’importanza del ciclo sulle donne artiste, che si tengono ogni anno con una mostra su una donna artista del passato e una donna artista del presente. Un progetto iniziato quest’anno, che proseguiremo anche l’anno prossimo, ma già stiamo definendo anche le artiste per il 2019, e abbiamo anche idee per il 2020.

Si è sempre trattato di mostre di ricerca...
Sì, questo è importante. Non abbiamo mai fatto mostre blockbuster, in nessuna maniera. Poi, con le nostre mostre, i funzionari storici dell’arte hanno sempre potuto dedicarsi alla ragione per la quale hanno vinto i loro concorsi, ovvero fare ricerca ed educazione. Ecco, continuando a parlare degli aspetti su cui vorrei porre l’accento: dal punto di vista amministrativo io ho tolto molte responsabilità ai funzionari storici dell’arte, molte perdite di tempo gestionali, e le ho date ai funzionari amministrativi. Ho fondato un dipartimento legale, che si occupa anche di contratti in modo da affidare a personale apposito queste materie che, nel passato, pesavano sulle spalle dei funzionari storici dell’arte, e hanno solo sottratto del tempo alla ricerca e all’educazione. Questo lavoro amministrativo che ho avviato nei miei primi due anni non è apparente per il grande pubblico, ma è comunque fondamentale, lo vedo come un lavoro di aratura, e solo dopo il lavoro di aratura si può cominciare a seminare. E credo che i frutti si vedano già, nelle mostre ma anche nelle pubblicazioni: c’è anche un numero veramente alto di pubblicazioni scientifiche prodotte dai funzionari, che sono in preparazione, e alcuni di questi volumi dovrebbero uscire quest’anno, altri invece verranno pubblicati l’anno prossimo.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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