Schmidt a Vienna: un argomento da campagna elettorale per l'Austria, un problema per l'Italia?


Il trasferimento di Eike Schmidt a Vienna è un forte argomento per l'attuale campagna elettorale in Austria, che andrà al voto tra un mese. Ma è anche un problema per l'Italia.

Al fine di comprendere appieno le motivazioni che hanno portato il ministro della cultura austriaco ad annunciare che l’attuale direttore della Galleria degli Uffizi, Eike Schmidt, andrà nel 2020 a dirigere il Kunsthistorisches Museum di Vienna, occorre guardare all’Austria, più che a Firenze. Là, infatti, tra meno di due mesi si terranno le elezioni per il rinnovo del Nationalrat e del Bundesrat, che corrispondono, a grandi linee, alla Camera e al Senato del nostro Parlamento: la differenza principale consiste nel fatto che, essendo l’Austria una Repubblica Federale, il Bundesrat è una camera che rappresenta i nove Länder austriaci, gli stati federati, e il suo peso sulla politica nazionale è inferiore rispetto a quello del Nationalrat che, al netto delle eccezioni, può legiferare senza ascoltare il parere del Bundesrat. Equivalgono alle nostre elezioni politiche: anche lì, il leader della coalizione vincente diventerà primo ministro assumendo la carica di cancelliere. Occorre pertanto un rapido sunto delle vicende che si stanno consumando sulle rive del Danubio: cancelliere uscente è Christian Kern, a capo dell’SPÖ, il Partito Socialdemocratico dell’Austria, che si presenta alle elezioni teso e affannato, in notevole calo di popolarità, e surclassato negli ultimi sondaggi dai rivali dell’ÖVP, il Partito del Popolo Austriaco, d’orientamento democristiano.

La cultura, in Austria, ha un peso politico piuttosto importante, e l’attuale ministro della cultura, Thomas Drozda, è stato spesso criticato per le sue scelte, a cominciare dalla decisione di trasferire un’importante collezione privata, la collezione Essl (che rischiava la dispersione), all’Albertina di Vienna, con la formula del prestito fino al 2044 e sostenendola con un milione di euro l’anno (molti in Austria non hanno ben visto il pagamento di una somma così consistente per per supportare la collezione di un privato), oppure la nomina di Bogdan Roščić a direttore della Wiener Staatsoper, alquanto controversa per il fatto che Roščić è un manager della Sony Music. I giornali austriaci, nelle ultime ore, stanno mettendo in relazione la nomina di Schmidt (che, giova precisare, giunge a conclusione d’un bando pubblico al quale Schmidt aveva partecipato assieme ad altri candidati: un po’ come successo da noi due anni fa) con la volontà di offrire ai cittadini un’immagine forte delle politiche culturali dell’SPÖ: Philipp Wilhelmer, responsabile della cultura al Kurier, uno dei principali quotidiani austriaci, ha definito l’operazione Schmidt una “decisione spettacolare”. Il perché è presto detto: Schmidt è un direttore dal solido curriculum e viene da un’esperienza estremamente significativa, dato che gli Uffizi sono il museo italiano più riconosciuto all’estero e che l’Italia, ovviamente, è nota per il suo patrimonio artistico. Annunciare che alla direzione del Kunsthistorisches Museum di Vienna arriverà l’attuale direttore degli Uffizi è una mossa politica di peso. Quella che, in apparenza, risulta una decisione alquanto bizzarra, dacché dal nostro punto di vista non sussistono valide ragioni per un annuncio simile a due anni dalla scadenza del mandato di Schmidt, sembrerebbe invece, banalizzando brutalmente, un argomento da campagna elettorale in Austria.

Eike Schmidt
Eike Schmidt

A prescindere dalle motivazioni che hanno portato Eike Schmidt ad accettare l’incarico, circa le quali non vogliamo entrare nel merito, e limitandoci a bollare l’annuncio del ministro austriaco, dalla nostra prospettiva, come un gesto veramente inopportuno nei confronti dell’Italia, ciò che preme domandarsi è quali ripercussioni potrà avere questa situazione nei riguardi della cultura italiana. Di certo possiamo asserire che non si tratta di una buona notizia. Anzi: si può affermare che l’Italia, da oggi, ha un problema in più. Intanto, perché è piuttosto facile immaginarsi che l’addio di Schmidt contribuirà a far irrigidire le posizioni di quanti sono stati finora contrarî alla riforma Franceschini (una riforma pensata male e partita peggio, d’accordo: ma limitatamente all’argomento "direttori dei musei", ritengo non sia azzardato affermare che stavamo timidamente iniziando a intravedere alcuni buoni risultati, e penso soprattutto alla Pinacoteca di Brera e alle Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Roma). C’è dunque da attendersi che lo scontro sulle politiche culturali non farà che acuirsi sul breve termine. Ed è esattamente ciò di cui non abbiamo bisogno. Ci troviamo in un momento cruciale, perché una buona parte del personale del Ministero è vicina all’età pensionabile, e il problema del turn over è uno dei nodi fondamentali che riguarderanno le politiche ministeriali negli anni a venire. L’età media dei dipendenti del MiBACT, come denunciato da più fonti, s’aggira attorno ai 58 anni, ed entro il 2020 saranno diversi i pensionamenti: discutere su un tema importante come quello del turn over (così come di altri argomenti decisivi: il nodo dei servizi aggiuntivi, quello dell’autonomia dei musei, quello del futuro delle Soprintendenze e molti altri che occorrerà affrontare nell’immediato futuro) in un clima di tensione tra le parti politiche sarà alquanto deleterio.

Per non parlare, poi, della motivazione del personale. Un personale, come detto, vicino all’età pensionabile, e oltretutto già sfiduciato per una riforma da molti avvertita come calata dall’alto e percepita come delegittimante nei confronti della vecchia classe dei funzionarî ministeriali, s’è trovato stamattina sul giornale la notizia che un direttore nominato appena due anni fa per dirigere il museo più visitato e più noto d’Italia ha annunciato il suo trasferimento a Vienna a fine mandato. E soprattutto, un personale che fin da subito s’è dimostrato in gran parte ostile alle nuove figure dei “direttori-manager”.

Esiste poi un altro argomento su cui riflettere: l’immagine dell’Italia nell’ottica della competizione internazionale potrebbe uscire ridimensionata da questa vicenda, più di quanto non lo fosse già in partenza. Interessante in tal senso il commento dell’architetto Stefano Boeri, membro del Comitato Scientifico degli Uffizi, che ha affidato le sue riflessioni alla propria pagina Facebook: “è un brutto segnale. Per il profilo di Eike Schmidt: non si lascia un Museo come gli Uffizi (neppure per un’istituzione come il Kunsthistorisches Museum) dopo meno di due anni di Direzione. E per il profilo internazionale della prima delle nostre istituzioni museali, usata come un trampolino”. Dunque, se proprio dobbiamo approfondire le ragioni che hanno condotto Schmidt alla sua decisione, dovremmo cercare di comprendere quanto hanno inciso sulla scelta dell’attuale direttore delle Gallerie degli Uffizi le difficoltà che caratterizzano l’apparato burocratico del paese, le prospettive che il nostro sistema assicura o meno ai direttori, i fragilissimi equilibrî d’una situazione politica sulla quale pendono molti interrogativi e che potrebbero riservare sorprese alle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento, che si terranno al più tardi nel 2018. Questo, al netto delle ovvie trivialità che già circolano in queste ore sui social network, e ciò su cui occorre riflettere.

Evitare le facili dietrologie, interrogarsi su quale tipo di governance debbano avere i musei in Italia (stabile, duratura, di qualità, indipendente... ), cercare di comprendere se l’Italia può aspirare a ricoprire un ruolo di primissimo piano a livello internazionale in ambito culturale (e in che modo l’Italia intende porsi sul mercato), come la notizia delle ultime ore può contribuire a schiarirci alcune idee, cosa succederà agli Uffizi nei prossimi due anni, in che modo affrontare le questioni sulle quali si fonderà il futuro dei beni culturali in Italia: ecco cosa dovremmo ricavare dalla notizia del trasferimento di Eike Schmidt a Vienna.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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