Il 18 novembre 2025 il Nucleo Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale di Venezia ha consegnato ai Musei Reali di Torino e alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Venezia dodici reperti archeologici recuperati nel corso di un’indagine avviata nell’agosto 2024. I beni, tutti di rilevante interesse storico-artistico, saranno destinati al Museo Archeologico Nazionale “Vito Capialbi” di Vibo Valentia, individuato dal Tavolo ministeriale per l’assegnazione dei reperti rientrati nel territorio nazionale.
Tra gli oggetti restituiti spicca un cratere a mascheroni in ceramica apula a figure rosse, con sovradipinture in bianco e giallo, databile al IV secolo a.C. e alto 150 centimetri. Considerato uno degli esemplari più grandi finora noti, il vaso presenta sul lato principale una complessa articolazione iconografica disposta su tre registri. Nel registro superiore è raffigurato un consesso di divinità, nel quale sono riconoscibili Ares, Atena, Afrodite ed Eros, con Zeus seduto al centro su un trono. La fascia mediana raffigura due carri in corsa trainati ciascuno da quattro cavalli. Sul primo carro compaiono due figure femminili interpretate come Demetra e Persefone, mentre sul secondo si osserva una figura maschile armata, verosimilmente Ade, in atteggiamento d’inseguimento nei confronti delle due donne. Nel registro inferiore sono rappresentate figure maschili e femminili affiancate da animali fantastici, tra i quali emerge un drago cavalcato da una giovane. Il lato opposto del cratere mostra un piccolo tempietto (naiskos) di stile ionico che inquadra una scena di offerta funebre. La decorazione prosegue sul collo e sul piede del vaso con motivi elaborati che confermano la qualità della manifattura.
Accanto al cratere, il gruppo di reperti comprende un’hydria a figure rosse, una coppa da vino (kylix) a figure nere, una brocca (oinochoe) a figure rosse, un vaso (lekythos) per profumi e oli a figure nere, una testina fittile, una statuina tanagrina, due vasi per liquidi oleosi (askoi), uno in terracotta a forma umana e uno in bronzo, una piccola kore in bronzo, uno specchio in osso con decorazioni a sbalzo e un balsamario in vetro verde chiaro. Gli oggetti, della cui provenienza si è ricostruita una parte della storia, sono ritenuti con buona probabilità frutto di scavi clandestini avvenuti in contesti funerari, presumibilmente principeschi almeno per quanto riguarda il cratere.
L’indagine che ha portato al loro recupero ha avuto origine nell’ambito di un’attività ispettiva svolta dalla Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Venezia in un palazzo vincolato del capoluogo veneto. Nel corso delle verifiche, effettuate nel 2024, la collaborazione tra tecnici della Soprintendenza e militari del Nucleo TPC ha fatto emergere elementi che hanno spinto la Procura della Repubblica di Venezia ad avviare accertamenti specifici. Le successive perquisizioni, eseguite nel dicembre 2024 a Venezia e Torino, in un’abitazione privata e presso un’impresa del settore, hanno permesso di individuare i reperti e di sequestrarli con il supporto operativo del Nucleo TPC territorialmente competente.
Gli approfondimenti svolti hanno evidenziato come i beni fossero giunti nelle mani dei più recenti detentori dopo passaggi intermedi non documentati, successivi alla ricettazione da parte di soggetti rimasti ignoti. È stata rilevata inoltre l’assenza di titoli idonei a giustificare la proprietà privata dei reperti. In questo contesto, la normativa vigente stabilisce una presunzione di appartenenza al demanio culturale per i beni archeologici provenienti, certamente o presumibilmente, dal territorio italiano. Per rivendicare la proprietà di tali reperti, un privato deve dimostrare che essi siano stati assegnati dallo Stato in premio per ritrovamenti fortuiti, che siano stati ceduti dallo Stato come indennizzo per l’occupazione di immobili, oppure che risultino in possesso privato in data anteriore all’entrata in vigore della Legge 364 del 20 giugno 1909. Il Codice dei Beni Culturali stabilisce inoltre la nullità delle alienazioni e degli atti giuridici compiuti in violazione delle disposizioni relative alla tutela e alla circolazione dei beni archeologici.
Nel corso delle indagini i Carabinieri TPC hanno operato con il supporto tecnico della Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Venezia, con la collaborazione della Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Torino e dei Musei Reali di Torino, e con l’assistenza dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia. Al termine dell’iter investigativo, nel marzo 2025, la Procura di Venezia ha disposto il dissequestro e la restituzione dei reperti allo Stato, rappresentato dal Ministero della Cultura, in attesa dell’assegnazione definitiva. Il Nucleo TPC di Venezia continua a concentrare una parte rilevante delle proprie attività investigative sul recupero di reperti che fanno parte del demanio culturale, attraverso un monitoraggio costante dei commerci di settore e grazie alla raccolta di segnalazioni provenienti da studiosi e appassionati. La collaborazione con gli uffici del Ministero della Cultura e con le Soprintendenze di Bolzano e di Trento contribuisce a individuare contesti a rischio e a favorire il rientro di oggetti che testimoniano la storia dei territori e delle comunità. Secondo quanto stabilito dal Ministero, i reperti recuperati saranno valorizzati presso il Museo Archeologico Nazionale di Vibo Valentia.
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