I pesantissimi costi ambientali della Crypto Art


La Crypto Art, la forma d'arte digitale alla quale tutti si stanno appassionando, ha dei costi ambientali pesantissimi. Un artista-ingegnere ha calcolato qual è l'impatto sull'ambiente che hanno le opere Crypto.

Mentre nel mondo cresce l’interesse per la Crypto Art e per gli NFT (Non-Fungible Tokens: in breve, i “certificati” che autenticano le opere digitali e includono informazioni su autore, proprietario, transazioni e così via), crescono anche le preoccupazioni per l’enorme costo ambientale di questa forma d’arte. Gli NFT vengono infatti prodotti attraverso la tecnologia blockchain: si tratta di una sorta di piattaforma-database che crea i token (si possono immaginare come lunghi codici crittografati che contengono le informazioni sull’opera) e li autentica. Il problema però è che il “minting”, ovvero la creazione di un NFT, giunge alla fine di un processo noto come proof-of-work che fa uso di macchine dotate di elevata potenza di calcolo che emettono grosse quantità di Co2. Il processo per validare le opere (e le transazioni) si basa sulla risoluzione di equazioni molto complesse che richiedono un’alta potenza computazionale, che a sua volta richiede un grande dispendio di energia elettrica. E benché molti computer che servono le blockchain siano alimentati a energia rinnovabile, la gran parte risulta invece alimentata con energia di origine fossile.

Il più completo studio sull’impatto ambientale degli NFT (la cui appetibilità per i collezionisti è data dalla loro unicità: sono, in pratica, degli oggetti da collezione virtuali) è stato svolto da Memo Akten, artista e ingegnere inglese di origini turche classe 1975 (vero nome Memet Akten) che, a partire da settembre 2020, ha analizzato circa 80.000 transazioni relative a 18.000 NFT scambiati sul marketplace SuperRare e creati su diverse piattaforme. Per una di queste ultime, Ethereum (una delle più note e utilizzare blockchain del mondo della Crypto Art), Memo Akten ha, intanto, calcolato che una singola transazione costa in media, in termini di consumi di energia elettrica, circa 35 kWh, l’equivalente del costo dell’energia elettrica che un singolo cittadino europeo consuma nell’arco di quattro giorni. In pratica, un singolo clic di un mouse (quello che serve per concludere la transazione) produce 20 kg di Co2, causati dall’ammontare di energia necessario per autenticare la transazione: in paragone, scrive Memo Akten, guardare un’ora di video su Netflix produce 36 grammi di Co2. Ne consegue che una sola transazione su Ethereum ha un impatto ambientale di migliaia di volte superiore rispetto alle normali attività che chiunque compie su internet.

Tornando invece a SuperRare, in questo caso i costi sono ancora più alti, dal momento che si parla di singole transazioni che costano in media 82 kWh, con emissioni di 48 kg di Co2. Tuttavia un singolo NFT può generare diverse operazioni classificabili come “transazioni”: si va dal minting alle offerte quando un NFT viene messo all’asta, ai trasferimenti di proprietà. Analizzando le singole componenti del processo, lo studio di Memo Akten calcola che il minting costa 142 kWh (83 kg di Co2, praticamente il consumo di circa due settimane di energia elettrica di un singolo cittadino europeo), fare un’offerta su un marketplace costa 41 kWh (24 kg di Co2), cancellare un’offerta 12 kWh (7 kg di Co2), una vendita ha un costo di 87 kWh (51 kg di Co2) e un trasferimento di proprietà costa 52 kWh (30 kg di Co2). Nel complesso, l’analisi dei circa 18.000 NFT analizzati da Memo Akten ha portato alla conclusione che, in tutto, un solo NFT ha una carbon footprint di circa 340 kWh che corrisponde all’emissione di 211 kg di Co2. Per dare un’idea, è l’equivalente del consumo di energia elettrica di un cittadino europeo di un mese, dell’utilizzo di un computer portatile per tre anni, di un viaggio in auto di 1000 km, o di un volo da Roma a Londra.

Naturalmente, scrive Memo Akten, un artista non mette in vendita un solo NFT, di conseguenza è stato calcolato anche l’impatto della presenza media di un artista su SuperRare, che equivale a 10 MWh e a 6 tonnellate di emissioni di Co2 per un’attività media di 11 mesi (l’equivalente del consumo di energia elettrica di un cittadino europeo in 3 anni, dell’uso di un laptop per 83 anni, di un totale di 57 ore in volo o di 30.000 km con un auto).

I dati si possono moltiplicare se un NFT viene venduto in editions, che possiamo immaginare come i multipli di un’edizione a stampa. Memo Akten ha studiato il caso di un artista che sulla piattaforma NiftyGateway ha venduto 800 multipli in meno di tre mesi, producendo 86 tonnellate di Co2 che equivalgono a 100 voli transoceanici e al consumo di energia elettrica di un cittadino europeo per un tempo di 40 anni. E, fa notare Memo Akten, non è stato quello che ha venduto di più (e che quindi ha consumato di più). Queste operazioni si sostengono non soltanto con le somme che i collezionisti pagano per avere le opere, ma anche con le fee che gli artisti pagano ogni volta che vogliono che una loro opera venga “tokenizzata” (gli ammontari possono raggiungere anche alcune centinaia di dollari). Peraltro, la distribuzione dei proventi delle vendite è fortemente iniqua: Memo Akten ha infatti calcolato che il 20% degli artisti guadagna il 75% delle vendite, con addirittura lo 0,1% che guadagna l’8% e l’1% che guadanga il 21%. Di conseguenza, la Palma Ratio (PR) di SuperRare (la PR è un indice che misura l’iniquità della distribuzione dei redditi) raggiunge un valore altissimo, 29 (per avere un’idea, il paese con la peggior distribuzione mondiale dei redditi, il Sudafrica, ha un PR di 7.1).

Molti accusano le piattaforme come SuperRare e NiftyGateway di essere molto poco trasparenti sul loro consumo di energia (molti artisti, argomenta Memo Akten, sono totalmente incosapevoli del costo ecologico delle transazioni). E lo stesso vale per i collezionisti. “Se tu compri un’opera d’arte non vedi i calcoli che ci sono dietro”, ha dichiarato a Time l’analista finanziario Alex de Vries. “Non vedi che il tuo denaro sta andando a un miner che paga per energia fossile. Questo è il vero problema”. Gli sviluppatori di Ethereum, fa sapere ancora Time, hanno promesso di lanciare, nel 2022, un sistema che utilizzerà molta meno energia. Il problema però, spiega la rivista, è che si tratta di piattaforme decentralizzate e non soggette al controllo di organismi come governi o banche centrali, di conseguenza non possono essere costrette a utilizzare sistemi più efficienti. “È abbastanza sicuro”, conclude De Vries, “che i miner continueranno a gestire Ethereum secondo le modalità attuali”, dato il grosso giro d’affari. E il brutto è che, secondo alcuni analisti, il successo e l’onda di entusiasmo per gli NFT potrebbe far nascere altre piattaforme energivore. Stanno già sorgendo, dunque, gli appelli per un Crypto Art più etica: è nato appena dieci giorni fa, per esempio, il sito Cryptoart.wtf che si pone l’obiettivo di lavorare per abbattere i costi ecologici di questo mercato.

Immagine: Beeple, Everydays – The First 5000 Days (2007-20021; file JPG, 21,069 x 21,069 pixel)

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