Non si farà il McDonald's alle Terme di Caracalla. La sentenza del Consiglio di Stato


Il Consiglio di Stato respinge il ricorso contro il Tar del Lazio che aveva confermato la sospensione dei lavori per il McDonald’s alle Terme di Caracalla: non ci sarà il fast food vicino all’area archeologica.

Non si farà il McDonald’s alle Terme di Caracalla. Il progetto che era stato avviato nel 2019 e che puntava alla realizzazione di un fast food nell’area dell’ex Eurogarden, vicino alle Mura Aureliane e nei pressi del complesso delle Terme di Caracalla, è stato definitivamente accantonato a seguito della sentenza 08641/2021 del Consiglio di Stato che respinge il ricorso presentato nel 2020 da Mcdonald’s Development Italy Llc contro la Regione Lazio, Roma Capitale e il Ministero dei Beni Culturali, che nel 2019 aveva annullato il parere della Soprintendenza di Roma.

Di conseguenza, il Tar del Lazio, con sentenza 5.757 del 2020, aveva bloccato i lavori di realizzazione del McDonald’s e del relativo parcheggio in viale Guido Baccelli: McDonald’s aveva fatto ricorso contro la sentenza del Tar, e in seguito al ricorso si erano costituiti in giudizio sia il Comune, sia il Ministero dei Beni Culturali, sia il Codacons, e veniva fissata al 21 dicembre 2021 la decisione sulla causa.

Il Consiglio di Stato ha rilevato che il progetto di realizzazione del fast food, che avrebbe trovato sede in un immobile sito nei pressi dell’area archeologica, “si presentava come un intervento di restauro conservativo, con cambio d’uso, da commerciale/servizi (uffici) a pubblico esercizio dell’edificio, che darebbe vita alla riqualificazione dell’edificio e ad un generale risanamento ambientale dell’area di intervento limitrofa; in sostanza è prevista la realizzazione di un ristorante della omonima catena”. Il progetto aveva inizialmente ottenuto riscontri favorevoli della Regione Lazio, della Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area archeologica di Roma del MiBAC in relazione ai profili archeologici, e della Soprintendenza Capitolina che rilevava tuttavia che, ricadendo l’area in area con Vincolo Unesco, per le opere con rilevanza esterna, era necessario acquisire il parere della Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma (che dava parere favorevole). Parere favorevole anche da parte del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica – U.O. Permessi di Costruire – Ufficio Autorizzazioni Paesaggistiche del Comune di Roma, secondo cui i lavori non necessitavano dell’Autorizzazione Paesaggistica in quanto si sarebbero applicate le norme di tutela del Piano generale di gestione degli insediamenti storici iscritti nella lista dell’Unesco.

Questi fatti risalgono alla fine del 2018. Successivamente, nel luglio del 2019, ai gestori dell’immobile veniva notificata la determinazione di sospensione dei lavori della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Mibact: il ministero disponeva infatti l’annullamento d’ufficio, in autotutela, del parere reso dalla Soprintendenza speciale archeologia, belle arti e paesaggio di Roma. Questa iniziativa, presa dalla Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, veniva giustificata sulla base del rilievo per cui “l’area in questione ricade totalmente entro il perimetro del PTP 15/12 ‘Valle della Caffarella, Appia Antica ed acquedotti’, approvato con DCR del Lazio n. 70 del 10 febbraio 2010 e che la detta area è sottoposta alle ‘Prescrizioni particolari per le zone a tutela orientata’ di cui alla sottozona TOc.3, le quali stabiliscono che ‘nella sottozona TOc.3 si prevede la riqualificazione complessiva dell’intera sottozona (…); pertanto, ad oggi, ogni opera che dovesse interessare l’area di cui all’oggetto sarebbe da considerarsi abusiva, in quanto priva dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’articolo 146 del D. Lgs. n. 42/2004, a norma del quale i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili o aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge o in base alla legge, ‘hanno l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato dalla prescritta autorizzazione, ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuto l’autorizzazione’”. Anche da parte del Comune, il 5 agosto 2019, veniva avviato un procedimento di annullamento in autotutela del parere paesaggistico rilasciato nel febbraio del 2018.

“Nel caso di specie”, si legge nella sentenza del Tar, “oltre al limitato periodo temporale trascorso fra il rilascio degli evocati assensi e l’intervento di rimozione, assumono preminente rilievo i plurimi elementi posti a base degli atti impugnati, pienamente coerenti ai principi predetti: la disciplina vigente ed il conseguente previo necessario rilascio dell’autorizzazione [...], nei termini già sopra condivisi; la relativa erronea rappresentazione degli elementi di fatto e di diritto rilevanti nella fattispecie; la circostanza che i lavori di trasformazione erano appena stati avviati senza alcun consolidamento, con conseguente connessa valutazione della relativa situazione giuridica dei privati interessati. Emerge altresì dagli atti l’approfondimento motivazionale degli interessi pubblici connessi alla tutela dell’area e del contesto culturale coinvolto, nei termini correttamente indicati sia dalla sentenza impugnata che dalla difesa erariale, oltre che del tutto coerenti ai principi sopra richiamati in tema di autotutela”. Inoltre, prosegue la sentenza, “assume rilievo dirimente il carattere della norma, desumibile sia dal dato letterale – di valenza generale - che dalla collocazione sistematica e strumentale della stessa. In proposito, l’art. 150 attribuisce espressamente sia alla Regione sia al Ministero il potere di ordinare la sospensione di lavori atti ad alterare i valori paesaggistici del territorio, a tutela sia dei beni già vincolati sia di aree che si intende tutelare con l’imminente adozione di un futuro vincolo paesaggistico; si tratta, pertanto, di un potere che può essere esercitato anche a salvaguardia di aree o immobili non ancora dichiarati di interesse culturale o paesistico. Nel caso di specie peraltro, sulla scorta di quanto sopra evidenziato, la disciplina vigente conferma la sussistenza del vincolo – nei termini predetti – e la conseguente necessità dell’autorizzazione paesaggistica, la cui mancanza ha pertanto in ogni caso giustificato e legittimato il ricorso al potere inibitorio in esame”.

Soddisfazione da parte di Italia Nostra: “l’appello presentato da McDonald’s Development Italy Llc”, ricorda il sodalizio, “evocava la preminenza della disciplina del PTPR, che non prevede il previo rilascio dell’autorizzazione paesistica, rispetto al PTP Caffarella (n. 70 del 2010), che invece lo prevede. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che il susseguirsi dei piani paesistici, però, stabilisce ’esigenze di tutela del patrimonio culturale, con la conseguenza che le relative previsioni attuative non possono certo essere oggetto di interpretazione riduttiva’. Pertanto, il Consiglio di Stato ha rigettato la richiesta” in quanto l’intervento in autotutela è suffragato dall’art. 150 del D.Lgs 42/2004 (il Codice dei Beni Culturali). “Questa precisazione”, commenta Italia Nostra, “è importantissima per le future tutele del nostro patrimonio culturale e archeologico. Le criticità emerse in questa vicenda sono evidenti a tutti: Italia Nostra ritiene che per il futuro non si debba fare affidamento sull’intervento in extremis della Direzione Generale, ma portare a termine il processo di co-pianificazione Stato/Regione adottando i Piani Paesistici su tutto il territorio nazionale e non solo in quattro regioni”.

Immagine: le Terme di Caracalla

Non si farà il McDonald's alle Terme di Caracalla. La sentenza del Consiglio di Stato
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