Dal 7 ottobre 2023, la Striscia di Gaza ha subito una distruzione senza precedenti del proprio patrimonio religioso e culturale. Secondo l’ultimo rapporto della Commissione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati (consultabile qui), almeno 75 siti sono stati danneggiati, tra cui chiese, moschee, musei, monumenti e siti archeologici. Un dato aggravato da un’ulteriore stima della Banca Mondiale che, nel febbraio 2025, ha calcolato che il 53% dei beni culturali della Striscia risulta danneggiato o completamente distrutto. A questi dati si aggiunge il monitoraggio condotto dall’UNESCO, che al 27 maggio 2025 ha verificato danni a 110 siti culturali a partire dal 7 ottobre: 13 siti religiosi, 77 edifici di interesse storico e/o artistico, 3 depositi di beni culturali mobili, 9 monumenti, 1 museo e 7 siti archeologici.
Tra i luoghi più rilevanti colpiti figurano il porto di Anthedon, il cimitero romano, il Palazzo del Pascià (sede di un museo archeologico), il Bagno Samaritano e la Grande Moschea Omari. I danni complessivi sono stati quantificati in 120 milioni di dollari, mentre le perdite economiche per il settore culturale si aggirano sui 55 milioni. Per confronto, i danni del conflitto del 2014 furono stimati in 1,2 milioni di dollari, indicando un’escalation di cento volte nell’entità delle distruzioni. Nonostante la presenza di linee guida interne dell’amministrazione israeliana che suggerivano di minimizzare i danni ai siti archeologici e vietavano i saccheggi, il rapporto documenta sospetti di spoliazione da parte di militari israeliani in diversi siti, tra cui il museo dell’hotel Al-Mat’haf, quello dell’Università Israa, e da un magazzino appartenente all’ École Biblique et Archéologique Française di Gerusalemme. In ogni caso, l’assenza di prove tangibili rende difficile confermare tali episodi.
Tra gli attacchi più gravi figura quello alla Chiesa greco-ortodossa di San Porfirio, colpita il 19 ottobre 2023 da un’esplosione che ha ucciso 19 persone, tra cui otto bambini e cinque donne, mentre circa 450 sfollati vi avevano trovato rifugio. La Commissione ha evidenziato che il punto d’impatto si trovava a soli cinque metri da uno degli edifici ecclesiastici, e ha ipotizzato l’uso di un ordigno impreciso da parte delle forze israeliane. Il Palazzo del Pascià è stato colpito due volte nel dicembre 2023 da bombardamenti e bulldozer, causando la distruzione della maggior parte della struttura e dei reperti. Sorte simile per il Bagno Samaritano, anch’esso demolito con l’impiego di munizioni e mezzi corazzati. In entrambi i casi, Israele ha parlato della presenza di obiettivi militari, ma non ha fornito elementi verificabili. L’attacco alla Grande Moschea Omari, risalente al XIII secolo, ha prodotto gravi danni alla struttura. Anche qui, Israele ha dichiarato di aver individuato un tunnel sotterraneo riconducibile a Hamas, senza tuttavia presentare prove. Un altro attacco ha interessato il Centro culturale Rashad al-Shawa nel quartiere di Rimal, bombardato due volte e poi distrutto con bulldozer. La Commissione ipotizza che si trattasse di un “obiettivo simbolico”, colpito per il suo valore identitario più che per finalità militari.
Due episodi hanno causato un elevato numero di vittime civili: il bombardamento della moschea Ihya al-Sunna il 15 novembre 2023, durante la preghiera serale, ha ucciso 109 persone; mentre l’attacco alla moschea Saad al-Ghafari, avvenuto all’alba del 10 agosto 2024, ha provocato almeno 90 morti. In entrambi i casi, Israele ha giustificato le azioni sostenendo la presenza di strutture militari all’interno degli edifici religiosi, ma il rapporto sottolinea l’assenza di riscontri oggettivi. L’uso di munizioni guidate, peraltro, non ha impedito un numero elevato di vittime civili. Secondo la Commissione, le forze israeliane hanno trasformato alcuni siti culturali in basi militari, come l’hotel-museo Al-Mat’haf, dove è stata issata la bandiera della Brigata 261. Il vicino complesso della moschea Al-Khaldi risulta completamente distrutto. In nessuno di questi casi è stata fornita una giustificazione militare.
Anche in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, si sono verificati attacchi o appropriazioni di siti religiosi. La moschea Al-Ansar a Jenin è stata gravemente danneggiata da un raid aereo il 22 ottobre 2023. Sono stati documentati episodi di vandalismo contro moschee nei villaggi di Marda e Al-Mu’arrajat, dove, in quest’ultimo caso, il luogo di culto è stato incendiato. A ciò si aggiungono sequestri, scavi e lo sviluppo di siti culturali, spesso destinati al turismo religioso ebraico, a discapito delle comunità locali. Nel maggio 2023, il governo israeliano ha destinato 32 milioni di nuovi shekel (circa 8,9 milioni di dollari) allo sviluppo del sito archeologico di Sabastiya, antica capitale del Regno biblico di Israele tra l’VIII e il IX secolo a.C. L’area custodisce testimonianze stratificate che abbracciano l’età del ferro, i periodi ellenistico, romano, bizantino, crociato e islamico.
Il caso di Silwan, a Gerusalemme Est, rimane tra i più emblematici. Qui, il sito archeologico della “Città di Davide”, riconosciuto dagli esperti come un sito che ospita manufatti di numerose culture degli ultimi 7.000 anni, è stato espanso sotto la gestione dell’organizzazione di coloni Elad, con l’appoggio delle autorità israeliane. Sempre secondo la Commissione infatti, l’intero processo ha portato all’espulsione di famiglie palestinesi e alla demolizione di abitazioni e centri comunitari, senza riconoscere il legame storico-culturale dei palestinesi con il territorio. La Commissione afferma che Israele utilizza il patrimonio culturale come strumento per rafforzare le proprie rivendicazioni territoriali, favorendo la continuità insediativa e riducendo l’accesso dei palestinesi ai luoghi storici. Le azioni documentate, dalle demolizioni alle escavazioni, dalle conversioni turistiche all’annessione legislativa, rappresentano una violazione del diritto internazionale umanitario, della Convenzione dell’Aia per la protezione dei beni culturali e di numerose risoluzioni delle Nazioni Unite. A partire dal 1967, le autorità israeliane hanno condotto attività di scavo archeologico in Cisgiordania attraverso la figura del funzionario archeologico dell’Amministrazione Civile. La maggior parte di questi interventi è stata classificata come “scavo di salvataggio”. In seguito, numerosi siti sono stati trasformati in poli turistici, mentre i reperti rinvenuti sono stati trasferiti in Israele, dove alcuni sono stati inseriti nelle collezioni museali.
Nel gennaio 2023, la gestione dei siti archeologici in Cisgiordania è passata dal comando militare israeliano, operante sotto l’autorità del Ministro della Difesa, al Ministero del Patrimonio. Successivamente, il 10 luglio 2024, la Knesset ha approvato in prima lettura una modifica alla legge sull’Autorità per le Antichità, aprendo la possibilità per l’Autorità Israeliana per le Antichità di operare direttamente in Cisgiordania, sostituendo così il funzionario archeologico preposto. Inoltre, la Commissione ha registrato due episodi di attacchi contro siti culturali in Israele attribuiti a gruppi armati palestinesi, avvenuti il 7 ottobre 2023 e nei giorni successivi. Il primo ha riguardato una galleria d’arte, che sarebbe stata incendiata e completamente distrutta nel kibbutz Be’eri il 7 ottobre. Il secondo episodio risale al 23 ottobre, quando un razzo ha colpito un museo situato nel kibbutz Yad Mordechai.
L'autrice di questo articolo: Noemi Capoccia
Originaria di Lecce, classe 1995, ha conseguito la laurea presso l'Accademia di Belle Arti di Carrara nel 2021. Le sue passioni sono l'arte antica e l'archeologia. Dal 2024 lavora in Finestre sull'Arte.