Padova, il caso del degrado di Palazzo Gradenigo finisce in Parlamento


Palazzo Gradenigo è la più grande villa veneta del Piovese, territorio a sud di Padova, ma versa da anni nel degrado, nonostante il suo altissimo pregio. Adesso il caso finisce in Parlamento con un’interrogazione al ministro Franceschini.

Finisce in Parlamento il caso di Palazzo Gradenigo, la splendida dimora nobiliare di Piove di Sacco (Padova) che è anche la più importante villa veneta della Saccisica, il territorio, detto anche “Piovese”, che comprende una decina di comuni su di una superficie di 253 chilometri quadrati e che è situato nella parte sud-orientale della provincia di Padova. Palazzo Gradenigo, detto anche “la Reggia della Saccisica”, si estende su quattromila metri quadrati e ha un parco di tre ettari e mezzo, si trova nel centro della cittadina e aspetta da tempo di essere recuperato. Così, cinque senatori, ovvero Margherita Corrado (prima firmataria), Luisa Angrisani, Bianca Laura Granato e Nicola Morra (tutti del Gruppo Misto) ed Elio Lannutti (Italia dei Valori) hanno rivolto un’interrogazione al ministero della cultura Dario Franceschini, per chieder conto di cosa il governo intenda fare dinnanzi all’“incuria” e alle “precarie condizioni di conservazione dell’intero complsso”.

Il declino di Palazzo Gradenigo, ricostruiscono i senatori, ha origini lontane: è infatti cominciato nel periodo a cavallo delle due guerre mondiali, con la parcellizzazione in 12 unità poi date in affitto che portarono all’imbiancatura delle pareti affrescate dei salotti e alla creazione di tramezzi per dividere i grandi spazi in entità minori. Dagli anni Settanta al 2002, poi, il solo residente presente nell’immobile è stato Alberto Radini-Tedeschi, che però era sprovvisto delle risorse per far fronte ai lavori di restauro, col risultato che il degrado di Palazzo Gradenigo è andato avanti. Nel frattempo, l’Istituto regionale ville venete, resosi conto della situazione, aveva provveduto a far sistemare il tetto e altri lavori che però avevano lasciato l’edificio senza imposte e colmo di materiale di risulta in ciascun piano.

La storia continua nel 1996, quando si forma un’associazione no profit, gli “Amici del Gradenigo”, che attraverso attività informative e una raccolta fondi riescono a mettere insieme 1,65 miliardi di lire (regionali e ministeriali), anche grazie alla visita in loco della Commissione Istruzione pubblica e beni culturali del Senato. Il cantiere della Soprintendenza fu avviato nel 2002, senza che però fosse stata firmata, a causa dell’infermità di Radini-Tedeschi che lo avrebbe poi portato alla scomparsa pochi mesi dopo, la prevista convenzione per l’apertura al pubblico. Esauriti i fondi, i lavori subirono uno stop: il palazzo era stato messo in sicurezza e le facciate erano state restaurate, ma rimaneva ancora molto da fare, e addirittura le finestre erano rimaste chiuse solo da telai provvisori rivestiti di nylon. Gli Amici del Gradenigo avevano però fatto in tempo ad allestire per qualche tempo un minimo percorso di visita che, per la prima volta, aveva consentito al pubblico di ammirare le opere ancora conservate nell’edificio.

Nel 2004, dopo la scomparsa di Radini-Tedeschi, il nuovo proprietario, il trevigiano Roberto Clamar, “non solo interrompe i rapporti con le autorità comunali e ministeriali, nonché con i volontari della predetta associazione”, affermano i senatori, “ma svuota il palazzo di tutti i beni mobili, comprese le statue che ornavano il giardino, dove fa tagliare moltissimi alberi e che lascia incolto infrangendo il regolamento comunale. È noto, peraltro, che la biblioteca del palazzo conteneva numerosi documenti storici relativi alla fitta collaborazione intessuta nei secoli dai Gradenigo e i Radini-Tedeschi col Comune di Piove di Sacco”. Addirittura, nel 2014 i Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale (TPC) di Venezia si videro costretti a sequestrare l’immobile a causa della trasformazione non autorizzata dell’ex oratorio del palazzo in un centro massaggi e di parte del giardino in un parcheggio a quello funzionale. Nel 2016 furono estirpati i gelsi secolari e si procedette con la potatura di alberi ad alto fusto che furono capitozzati, per iniziativa del consorzio di bonifica Bacchiglione, con cui Clamar si era preventivamente accordato, “di nuovo senza previa autorizzazione della Soprintendenza”, ricostruiscono i firmatari dell’interrogazione, che aggiungono: “Alla denuncia nei confronti di entrambi da parte di Legambiente non si associa il Comune, sempre silente nonostante gli scempi a danno della villa, né alcuna difesa dell’interesse pubblico arriva dal Ministero per i beni e le attività culturali, nonostante le previsioni normative del decreto legislativo n. 42 del 2004”.

“L’indolenza del Comune ha una spiegazione”, affermano i senatori: “proprio con l’ente locale, fin dal 2008, Clamar avvia diversi tentativi di trasformazione immobiliare. Presentano insieme, infatti, in quell’anno, un programma di utilizzo del complesso che può prevederne lo smembramento in 12 ’realtà’ coabitative, associative e di rappresentanza, programma che ’dimentica’ i finanziamenti pubblici dei restauri eseguiti e comporta una valutazione economica del complesso sovradimensionata. Nel convegno organizzato ad hoc dall’associazione ”Amici di Gradenigo“, il 24 maggio 2008, detti propositi sono però sconfessati e una valutazione più accorta dimezza la stima asserita”.

Qualche anno dopo, una nuova valutazione da parte dell’Agenzia delle entrate, richiesta da altra amministrazione comunale, ridusse ulteriormente il valore della villa, che l’ente proponeva allora al Ministero di espropriare per pubblica utilità. con la prospettiva di creare una cordata pubblico-privato per affrontare l’acquisto. Tuttavia, nonostante il parere favorevole del Ministero, la caduta di quella Giunta interrompe i piani e la nuova amministrazione rispolverò, nel 2019, il programma di utilizzo immobiliare iniziale, prevedendo ancor più esplicitamente che in precedenza la coesistenza delle funzioni commerciale e abitativa, oltre a mostrarsi più interessata alla risistemazione degli spazi verdi per “ospitare eventi pubblici” e al “completamento monumentale di via Garibaldi” in vista di “una ulteriore valorizzazione dei negozi e delle abitazioni dell’area” che non alla conservazione e promozione del costruito storico.

Infine, il 29 ottobre 2021, gli Amici del Gradenigo hanno lanciato un appello per il recupero del Palazzo, sottoscritto da 1.080 cittadini. L’appello era stato rivolto al sindaco di Piove di Sacco, alla Regione Veneto, alla Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso, che ha ricevuto i rappresentanti dell’associazione lo scorso settembre e compiuto un sopralluogo in dicembre, ai Carabinieri TPC. Del caso si sono occupati diversi quotidani locali, come Il Mattino di Padova, Padova Oggi, Radio Gamma 5. Al momento, scrivono i senatori, “mentre la vegetazione spontanea si abbarbica sui muri rinnovati di fresco e il nylon dei telai posti a chiusura provvisoria dei punti luce è da anni un ricordo, sì che la villa è tornata ad essere ricovero di piccioni, pare che l’acqua piovana abbia ricominciato a penetrare nell’edificio anche dal tetto e che ignoti asportino giornalmente mattoni del muro di recinzione, senza che alcuno intervenga”. Il presidente degli Amici del Gradenigo, Mario Miotto, lo scorso agosto, in un’intervista proprio al Mattino di Padova, affermava che “dopo 17 anni di incuria, le facciate ovest e nord sono irriconoscibili. Senza contare la compromessa situazione igienico sanitaria del parco, a due passi dall’ospedale”. Palazzo Gradenigo, ha sottolineato, “è stato consegnato al proprietario come perfettamente visitabile, proprio com’era stato richiesto dalla Soprintendenza. Ciò però non è mai avvenuto e la responsabilità di tutte queste negligenze è da ricercare nella proprietà e proprio negli enti di tutela del patrimonio culturale, gli stessi peraltro che hanno finanziato il cantiere. Analoghe responsabilità ricadono anche sulle amministrazioni comunali che si succedute dal 2004 a oggi perché non sono state in grado di tutelare il monumento più importante della città. Un bene che, benché privato, è stato destinatario di consistenti finanziamenti pubblici e, se aperto al pubblico, potrebbe rappresentare il fulcro culturale della Saccisica. Per quanto ci riguarda persisteremo nelle nostra opera di persuasione e informazione”.

I firmatari chiedono dunque al ministro se è possibile sapere quali azioni a tutela di palazzo Gradenigo abbia intrapreso la Soprintendenza prima e dopo l’intervento di restauro d’inizio anni Duemila, e in particolare se e quando abbia ingiunto alla proprietà, come la normativa vigente le impone, di attivarsi per garantire la sicurezza e la conservazione del monumento, salvo intervenire al posto di quella per poi rivalersi a posteriori ove incontrasse, come incontra, un ostinato rifiuto. Ancora, i senatori chiedono di sapere quale esito abbia avuto il sopralluogo condotto dalla Soprintendenza a dicembre 2021 e quali iniziative intenda assumere il Ministero per contrastarne una rovina che sembra essere causata soprattutto dall’ignavia e dalla mancata volontà dei decisori istituzionali di opporsi ai ricorrenti tentativi di speculazione finora contrastati solo dall’associazionismo locale. Infine, si chiede di sapere quando il soprintendente provvederà a concordare con la proprietà modi e tempi di accesso del pubblico in quel monumento di alto valore culturale e identitario.

Nella foto: Palazzo Gradenigo (Google Street View)

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